Doveva succedere prima o poi: qualcuno doveva raccogliere l’eredità di Black Mirror, la leggendaria serie TV inglese che ha reinventato un genere, quello delle distopie tecnohorror, grazie alla brillante intuizione che il futuro è oggi, e non domani, è qualcosa di reale, tangibile, immediato, di cui si possono provare gli effetti, e su cui è possibile speculare in maniera molto più efficace.
Black Mirror, in particolare nelle sue prime stagioni, rimane un’opera straordinaria e tuttora insuperata. Ad un certo punto, la carica eversiva si è esaurita, la qualità degli episodi è calata, l’identità riformulata: lo stesso Charlie Brooker, autore della serie TV inglese, aveva dichiarato di volere spostare il focus verso nuovi paradigmi (vedi le sperimentazioni horror/paranormali dell’ultima stagione), ma già molto prima, la serie aveva subito un tracollo qualitativo devastante, culminato con l’imbarazzante episodio Striking Vipers, dal quale, a parte qualche barlume di genio, non si è mai più ripresa.
Dalle rovine di Black Mirror sono emerse decine di serie che trattano il tema della distopia futura, e questo Dicembre si aggiunge, direttamente dalla Thailandia, Tomorrow and I, una miniserie composta da quattro episodi autoconclusivi con una durata quasi da lungometraggio, dal linguaggio fresco, colorato, intelligente, ognuno con una sua precisa identità, e capace di effettuare una critica accuratissima al mutamento sociale che è già in atto davanti ai nostri occhi, filtrato attraverso un paradigma sociale e culturale, quello thailandese, che si muove lungo binari differenti rispetto a quelli che siamo abituati a conoscere.
Tale sensibilità narrativa unisce ingenuità romantica e brutalità straziante in uno strano continuum dove i due elementi si trasfigurano l’uno con l’altro e si stemperano vicendevolmente. Visivamente, tutto viene tradotto con uno sfarzo di colori, utilizzo del ralenti, immagini dalla composizione sofisticata; ogni singolo episodio probabilmente contiene più idee del necessario; talvolta i cambi di registro sono talmente inusuali che fatichiamo a contestualizzarli; emerge soprattutto una notevole padronanza narrativa di differenti registri, combinati in maniera inaspettata.
Peccato che la serie apra con Black Sheep, il primo episodio, che è senza dubbio il meno riuscito. Si parla di clonazione e di problemi relativi alla ricostruzione dell’identità: un marito decide di trafugare il corpo della moglie morta per clonarla, ma dal momento che il software utilizza la ricomposizione della memoria attraverso fasi cronologiche, sarà il marito a dover fare i conti anche con ciò che la donna avrebbe voluto, e che non ha potuto, essere. Le atmosfere un po’ rarefatte e la retorica struggente-romantica rendono l’episodio piuttosto dimenticabile, nonostante contenga un’importantissima riflessione sulla questione dell’identità di genere.
Paradistopia, il secondo episodio, ci porta nel mondo della prostituzione e nella sua molto plausibile evoluzione: cos’altro se non il sex robot? Le prostitute perderanno il lavoro? Niente affatto, vengono assunte come esperte ed educatrici per addestrare gli androidi. I robot diventano sempre più performanti e capaci di assolvere desideri sessuali dell’essere umano, comprese perversioni violente e pulsioni inconfessate. Guardando l’episodio si ha veramente l’impressione che queste cose succederanno esattamente con le stesse modalità qui presentate. Mentre i toni cupi e dark di Black Mirror si concentravano sul dramma distopico a tal punto da rendere molte puntate, seppur estremamente affascinanti, ancora appartenenti al regno dell’improbabile, Tomorrow and I, invece, racconta le meraviglie e gli orrori del futuro in una miscela che si amalgama in maniera differente, non più necessariamente come monito, ma come prospettiva. L’episodio in questione, infatti, trova gli ostacoli nell’ipocrisia della politica che si ostina a vietare la prostituzione e l’utilizzo dei sex robot in un paese come la Thailandia che, anche senza robot, era già il paradiso della prostituzione (del resto è la stessa paradossale idiozia che si verifica da anni, in molti paesi, con l’utilizzo della cannabis). I personaggi di matrice comica poi risultano sempre scritti in maniera più credibile di quelli impostati per mandare avanti la storia. La protagonista, presidente della compagnia dei sex robot, rivela una backstory drammatica ma possiede un po’ troppi germi eroistici. Il suo compagno, invece, da lei utilizzato come cavia per sperimentare le performance dei vari robot, oscilla tra la macchietta e una maggiore profondità, e questo superficiale livello di spessore risulta molto più adatto ai fini del racconto. A livello visivo, ci ritroviamo di fronte a uno sfarzo impressionante, in cui riferimenti pittorici e pop si mescolano a colori vividi e vibranti. Le scene si susseguono quasi fossero passerelle di moda con esibizioni deliranti di stili (la protagonista cambia outfit ad ogni scena), un calderone enorme di superficie consumistica, che troviamo repulsivo a livello inconscio, ma che siamo dispostissimi ad abbracciare senza farci troppi problemi.
Il più profetico di tutti è forse il terzo episodio: Buddha Data, che affronta la tematica della spiritualità e della religione in un contesto iper-tecnologizzato. Ed è sufficiente guardarci attorno: già stiamo assistendo ad una straniante epidemia di applicazioni preposte alle attività più disparate, e dopo il fitness, la nuova frontiera che già è stata raggiunta è quella della spiritualità. Applicazioni che aiutano e stimolano la meditazione, che tengono traccia dei propri progressi, che aiutano la preghiera, che quantificano il nostro livello di spiritualità e lo ricompensano in base alla nostra dedizione. Il mutamento qui è sottile, ma le conseguenze sono enormi: gamificando la religione e la spiritualità ad atto performativo volto ad ottenere una ricompensa sul mondo terreno, si deturpa completamente il volto di queste istanze. La deriva che viene presentata all’inizio dell’episodio di Buddha Data è infatti rappresentata da un’applicazione che ricompensa “le buone azioni” con punteggi e ricompense spendibili, gettando alle ortiche il vero significato di fare del bene. Ci ritroviamo così con persone che cercano di assolvere le richieste effettuando più buone azioni possibili, economizzando e capitalizzando queste ultime, all’interno di un sistema con criteri discriminatori. La soluzione? La porta la concorrenza, guidata dal monaco protagonista (allarme spoiler): una nuova applicazione che, tramite l’intelligenza artificiale, ricrea la personalità del più grande monaco buddista vivente, plasmata attraverso le sue onde cerebrali. Non prevede un sistema di ricompensa per le buone azioni, e cerca di recuperare i dettami originari, ma anche qui, vedremo, sorgeranno dei problemi.
L’ultimo delizioso episodio, La ragazza calamaro, di stampo più fantasioso ma dal contesto non meno credibile, ci immerge letteralmente in un mondo che il cambiamento climatico ha reso completamente irriconoscibile. Piove ormai da anni ininterrottamente, le città sono allagate, le disparità aumentate, i bambini non sanno cos’è il sole, il governo propone vaccini che hanno come conseguenza mutamenti genetici terribili, ma che rimangono l’unica possibilità di salvezza. È l’episodio più giocoso e drammatico, e forse racchiude, meglio di tutti, questa unione di registri di cui parlavamo prima. Le protagoniste sono due bambine, seguite da piani sequenza elaborati ed estremamente coreografati, attraverso scenografie complesse, volte a ricreare le abitazioni di fortuna costruite su di un quartiere sommerso (c’è un momento comico che è una piccola opera d’arte, protagonisti un gatto mutante, un pesce e una famiglia sgangherata). Forse non è un caso che questo episodio sia l’ultimo: il finale fa emergere dietro alla patinata confezione di un mondo che ci hanno fatto credere non perfetto, ma il migliore possibile, un’altra versione della storia, fatta di rovina ineluttabile, amorale, apolitica, impassibile.
L’ultima serie Netflix thailandese degna di nota, The Girl from Nowhere, aveva momenti estremamente potenti, un’attrice magnetica, ma anche un respiro troppo corto. Tomorrow and I, invece, possiede personalità, carattere, e lo spirito giusto per poterci stupire ancora. Ci auguriamo, con una nuova stagione.
Su Netflix dal 4 dicembre 2024.
Tomorrow and I (Anakho) – Showrunner: Paween Purijitpanya, Pat Pataranutaporn, Jirawat Watthanakiatpanya; Regia: Paween Purijitpanya; sceneggiatura: Abhichoke Chandrasen, Panuwat Inthawat, Pat Pataranutaporn, Paween Purijitpanya, Tossaphon Riantong, Eakasit Thairaat, Jirawat Watthanakiatpanya; effetti speciali: Teerapat Charoenkhet; interpreti: Luka Sero, Pakorn Chadborirak, Chananticha Chaipa, Violette Wautier, Ray MacDonald, Waruntorn Paonil, Wanichaya Pornpanarittichai, Timethai Dharmthai, Aelm Thavornsiri, Pongsatorn Jongwilas, Treechada Hongsyok, Thongchai Thongkanthom; produzione: Surawut Tungkharak per Jungka Bangkok; origine: Thailandia, 2024, durata: (Prima stagione), 4 episodi, 70 minuti circa l’uno; distribuzione: Netflix