The 8 Show di Han Jae-rim

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Che The 8 Show – scivolata, nel volgere di un paio di settimane, nella seconda metà della top ten delle serie più viste – non potesse bissare il successo di Squid Game, cui frettolosamente è stata accostata, c’era forse da aspettarselo. E non si tratta necessariamente di un male.

Perché, a ben vedere, la serie sceneggiata e diretta da Han Jae-rim, tratta dai “webtoon” Money Game e Pie Game di Bae Jin-soo, interroga anzitutto noi spettatori. Ma su questo punto torneremo a tempo debito.

Di esempi di serialità televisiva che hanno riflettuto sulle distorsioni economiche, sociali e finanziarie presenti nell’odierna società  sudcoreana (il cui debito privato ha, da qualche anno ormai, superato il Pil nazionale), della commistione perversa tra capitalismo occidentale di matrice calvinista e le derive del confucianesimo come strumento morale per legittimare l’ordine costituito, ne abbiamo già viste. Di migliori anche, non solo sotto il profilo spettacolare, se allarghiamo lo sguardo dalla TV al cinema, e a quello di Bong Joon-ho, in particolare.

Se vogliamo, anzi, nel raccontarne gli squilibri, la cristallizzazione delle classi sociali coreane, The 8 Show appare a tratti sin troppo didascalica. Nondimeno, la sua forza è altrove: in quella propensione all’auto-riflessività consapevole, nello studio e nella dissezione dei meccanismi di dipendenza e fascinazione verso quell’ipertesto delle immagini, di quella iconosfera che permea le nostre vite. Una meta-narrazione sulle nuove frontiere del medium televisivo, dei suoi format e delle sue nuove modalità di fruizione, tale da farne un punto di arrivo difficilmente superabile.

Narrata dall’inusuale punto di vista di un perdente, il protagonista Jin-su, ovvero “Terzo Piano” (interpretato da Ryu Jun-yeol), uomo senza qualità alcuna, rassegnato al proprio status sociale nell’ottica confuciana di cui si è detto, perseguitato dagli strozzini, che vive di espedienti e di piccoli lavori mal retribuiti, la vicenda vede riuniti un gruppo di otto individui invitati a partecipare a uno show televisivo. La promessa, manco a dirlo, è quella di ricevere un ingente premio in denaro, indipendentemente dal piazzamento raggiunto. Di costoro ci viene rivelato poco – di alcuni non conosciamo nemmeno i nomi – al di là di piccoli brandelli di passato immediatamente precedenti il loro ingresso nello show. All’interno di quello che sembra un enorme studio televisivo, a metà strada tra la casa del Grande fratello e – molto poco casualmente – un centro commerciale multipiano, a ciascuno di essi, per una logica casuale che  molto somiglia a un destino manifesto, viene assegnato un appartamento cui sono legati maggiori o minori privilegi a seconda del piano in cui sono collocati. Ai concorrenti basterà guadagnare tempo (in modi che qui non riveliamo) per prolungare la permanenza nello show e guadagnare più denaro. A un iniziale stato di collaborante equilibrio, seguirà presto una contrapposizione tra chi concepisce la convivenza forzata in termini egualitari e redistributivi, e chi invece rivendica le possibilità offerte dal privilegio, arrogando a sè l’accumulo di beni in un’ottica di opulenza e di spreco. Il denaro potrà essere speso dai concorrenti per qualsiasi bene materiale, ma non per acquistare la libertà dal gioco.

Diviso in otto puntate, con i giorni che si susseguono senza sosta tra le atrocità e le angherie perpetrate dagli uni sugli altri, carnefici e vittime entrambi coscienti del proprio ruolo, con i secondi a tratti rassegnati alla passività, pare quasi di assistere a un esperimento di psicologia sociale sulla falsariga del famoso esperimento Milgran del 1961. Ma pare anche di assistere a un viaggio attraverso il tempo e l’etere sulle forme contemporanee e di maggior successo che la televisione ha assunto negli ultimi vent’anni. Tutte, sinistramente, legate alla fascinazione per il denaro facile e alla riproduzione catodica della propria immagine, anche solo per i famosi “quindici minuti di notorietà”.

Una rassegna che parte dalla TV senza qualità nell’era del reality puro e del quiz Show, alla TV dei talenti nella quale, a venire premiata, è l’altissima specializzazione e l’attitudine iper-competitiva dei concorrenti. Arrivando, in una sorta di cortocircuito mediatico tutto coreano, al survivor show di ultima generazione, dove sono richieste una buona propensione alla sopraffazione, anche fisica, dell’altro, e un insano gusto per la crudeltà delle prove da superare (si veda, sempre su Netflix,  Physical: da 100 a 1, survivor show spurio ispirato a Squid Game).

Dunque, sotto il profilo della scrittura di fiction, possiamo definire The 8 Show un esercizio furbetto, un puro e autorefenziale distillato citazionista dei successi di fiction prodotti da Netflix? Un meta-testo che parla a se stesso, di una tv narcisista che sfrutta le possibilità offerte dalla profilazione degli utenti operata dai famigerati algoritmi? Di un patchwork di situazioni narrative già viste? Della volontà di sfruttare, creandolo, un gusto condiviso e condivisibile in tutto il globo terracqueo (cit. Presidenza del Consiglio dei Ministri) che il colosso di Los Gatos persegue con tanta ostinazione?

Per nostra fortuna, crediamo di no.

Per parlare di un sistema culturale che vede noi spettatori parte attiva, non solo assuefatti alle logiche dell’iper-competitività, dell’esclusione – dalla “casa,  dal talent o dal cooking show, poco importa –  e dello scarto, anche umano, non basta solo mettere assieme  qualche Twist narrativo ben studiato, un po’ di dark comedy, e le istanze sempre attuali desunte dal filone “Heat the Rich”.

Perché, dietro questo gioco al massacro, non c’è l’idea consolatoria di un Dio crudele che si diverte a scapito delle proprie creature, di un gruppo di grossi, opulenti magnati annoiati che sborsa fior di quattrini per assistere a come il senso di umanità si venda al giusto prezzo, qualunque esso sia. Nulla di tutto ciò. Sarebbe troppo facile.

Come ogni giallo che si rispetti, l’identità del colpevole è celata sino alla fine, forse anche oltre. E per venirne a capo, è necessario porsi l’unica domanda che abbia davvero senso: chi c’è all’altro capo delle telecamere disseminate per tutto lo studio?

Su Netflix dal 17 maggio 2024


The 8 Show –  Showrunner: Han Jae-rim ; sceneggiatura: Han Jae-rim dai “webtoon” Money Game e Pie Game di Bae Jin-soo; interpreti: Chun Woo-hee, Lee Joo-young, Ryu Jun-yeol, Park Hae-joon, Moon Jeong-Hee, Park Jeong-min, Bae Sung-woo, Yul-Eum Lee, Ell, Rch Ting, Yuuki Luna, Nicole Fong, Lee Ju-young, Kagga Jayson, Anzu Lawson; produzione: Lotte Entertainment , Studio N, Magnum Nine; origine: Corea del Sud, 2024; durata: 8 episodi: 46- 68 minuti; distribuzione: Netflix

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