Un film politico che contiene una storia d’amore lunga sessant’anni, una lotta di indipendenza finita male, una passione per il ballo americano che dà il titolo e che diviene il leit motiv delle due ore di Twist à Bamako. Omaggiando le fotografie di Malick Sidibé (esposte in una selezione alla Fondazione Cartier, Parigi, nel febbraio 2018), Robert Guédiguian si allontana dalla Francia e dai suoi attori feticcio per raccontare una storia ambientata negli anni Sessanta in Africa.
Mali, nel 1960, a poco più di un anno dalla decolonizzazione del Paese, dalla proclamazione dell’indipendenza e della repubblica guidata dal partito USA-RDA del capo del governo Modibo Keïta. Il protagonista, Samba (Stéphane Bak), un giovane attivista socialista, si spinge con due compagni nel deserto, in mezzo al nulla, a predicare il motto nazionale “un popolo, un obiettivo, una fede” (come recita l’adesivo sulla macchina), agli abitanti dei villaggi, non abituati ai concetti di libertà e di rivoluzione. Il giovane ci crede veramente, a dispetto delle contraddizioni, dei rischi, della personale appartenenza a una famiglia di ricchi commercianti che, dall’applicazione di quelle idee, ci rimetterebbe fino, forse, a non sopravvivere.
Con un sapiente gioco di passaggi alternati tra bianco e nero e colore – fermo immagine che sono gli scatti del fotografo che, come un reporter di guerra, segue i ragazzi e li immortala ballerini nel locale da ballo, quando si rinfrescano al fiume, nello studio a posare con la motocicletta –, il regista intriga il pubblico in una vicenda stratificata di amore e rivoluzione: come sempre Guédiguian mescola di sangue e sudore vicende personali intrise dell’impegno civile dei protagonisti, profondamente calati nel momento storico. È complesso tenere in equilibrio i valori comunisti di una nuova società alla voglia di ballare il twist tutte le sere tra innamorati, vestiti alla occidentale, su ritmi appunto provenienti da lontano, che non appartengono alla cultura locale (belle le prime due scene di ballo, ravvicinate, quella del locale, a cui ne seguiranno molte altre, e quella, con tragica fine, attorno al fuoco nel villaggio più sperduto della savana, attorno al quale si danza in maniera più tribale, con movimenti smodati, elementari, come di possessione – qui si presenta al pubblico per la prima volta il personaggio femminile, Lara, interpretato da Alicia Da Luz).
Come un principe delle fiabe Samba si innamora di Lara, della sua fragilità, del suo bisogno di essere salvata: da quando la scopre nel bagagliaio del furgone decide scientemente di prendersi cura di lei, ascolta le sue parole di sposa forzata, osserva la sua silhouette infantile, la conduce in un posto sicuro dove stare. Ma i fatti sono più grandi di loro: il fratello e il marito di Lara (che ha compiuto lo stupro coniugale) sono in viaggio per andare a riprendersela. Lara accompagna Samba nella campagna di propaganda politica in giro per i villaggi più sperduti, lo aiuta a sedare dubbi e incertezze dei contadini davanti alle sue parole, si affranca dalla paura e si lascia amare senza la violenza a cui è abituata: il rapporto dei ragazzi è raccontato con grazia e tenerezza nella sua graduale evoluzione fino a una scena sensuale di seduzione nel negozio di stoffe del padre di lui, tra filari di abiti dai colori vividi – vedo e non vedo – un gioco del nascondino che lascia emergere il lato ludico dei giovani (scena che riporta alla mente, con le dovute differenze, quella famosa del terrazzo coi panni stesi tra Sofia Loren e Marcello Mastroianni in Una giornata particolare di Ettore Scola, 1977).
Nel villaggio lo scontento dei commercianti aumenta giorno dopo giorno: lo stato vuole controllare tutto, vietare lo scambio con i paesi vicini, esige un monopolio con tasse e obblighi che li stringe in una morsa difficile da superare. Samba ha conflitti interni con Lassana, suo padre, commerciante di stoffe (Isaka Sawadogo). Il capo della branca giovanile del partito in cui milita Samba più volte tenta di allontanarlo dalla ragazza che è sposata con un altro: gli mette un amico alle calcagna per spiarlo. La durezza dei rapporti arcaici – raffigurata in pieno dal marito sopraffattore – si alleggerisce nelle molteplici scene di ballo corale: colorati i vestiti, i poster alle pareti, intensa la luce nei sorrisi felici e liberati dal movimento fisico in cui viene sublimato il desiderio, l’insofferenza verso le limitazioni imposte dall’alto, che sia il governo o la famiglia, il ballo al posto dell’ipocrisia degli adulti.
Con un finale circolare – in un paese contemporaneo di nuovo limitato, stavolta da fondamentalismi religiosi – Guédiguian racconta una storia d’amore che alterna leggerezza e dolore, clandestinità pregiudizi utopie, in perfetto equilibrio tra spensieratezza giovanile e malinconia, prima che la realpolitik metta fine al sogno di una società migliore, più libera, in cui ballare tutta la notte senza sentirsi in colpa come di aver peccato contro il proprio paese, la società, la famiglia, il mondo intero.
In sala il 31 marzo ore 18 Cinema Nuovo Sacher all’interno del Festival Rendez-Vous – Nuovo Cinema francese
Twist à Bamako – Regia: Robert Guédiguian; sceneggiatura: Robert Guédiguian, Gilles Taurand; fotografia: Pierre Millon; musica: Olivier Alary; interpreti: Alicia Da Luz Gomes, Stéphane Bak, Isaka Sawadogo, Saabo Balde, Ahmed Deamw, Bakary Diombera, Ben Sultan, Alassane Gueye; produzione: Agat Films & Cie / Ex Nihilo, France 3 Cinéma, Peripheria, Karoninka, Canal+, Ciné+, Canal+ International; distribuzione: Diaphana Distribution; origine: Francia, Canada, Senegal, 2021; durata: 129’