Notre-Dame in fiamme di Jean Jacques Annaud

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Qual è la linea di demarcazione tra la rappresentazione di un evento realmente accaduto  e la sua trasfigurazione in una chiave narrativa per quanto riguarda il racconto e spettacolare dal punto di vista estetico? Sono le due domande fondamentali da porsi per cercare di comprendere il senso di un’operazione come Notre-Dame in fiamme, che ricostruisce l’incendio della famosa cattedrale parigina, avvenuto il 15 aprile 2019,  della quale i pompieri riuscirono ad evitare il crollo totale, nonostante gli ingenti danni e la distruzione della guglia e del tetto.

A dirigere è Jean Jacques Annaud, regista che ha sempre cercato di abbinare un piglio documentaristico e d’inchiesta (basti pensare al suo primo film, Bianco e nero a colori, 1977, sul coinvolgimento del popolo camerunense durante la prima guerra mondiale sotto la colonizzazione francese) con le esigenze dell’intrattenimento popolare; partendo dai codici del film di genere- storico, d’azione, di guerra –  non è mai riuscito veramente a integrarli in una vera e propria poetica personale, ma ne ha fatto comunque negli anni un suo segno di riconoscibilità, con un occhio sempre  più ammiccante al grande pubblico che alla ricerca di nuove forme e  nuovi linguaggi.

Il fuoco, tra l’altro, è un’ immagine che ci rimanda ai suoi film di maggior successo a partire dall’emblematico La guerra del fuoco (1981), in cui ricostruiva le origini dell’umanità e la prima scintilla di civilizzazione proprio attraverso la scoperta e le modalità di utilizzo di questo elemento potenzialmente vitale o mortale; e infatti il ruolo del fuoco cambia completamente di segno ne Il nome della rosa (1986), adattamento un po’ effettistico e “arty”  del best seller medioevalista di Umberto Eco, dove l’invasato e bigotto frate benedettino metteva in fiamme i libri di cultura e di scienza che avrebbero potuto mettere in discussione la dedizione assoluta e timorosa alla fede cristiana. In questi due casi si trattava di opere completamente di finzione, in un periodo cinematograficamente predisposto a produrre e a realizzare un certo tipo di film – gli anni ’80 in cui proliferavano molte co-produzioni con bandiere di varie nazionalità, spesso recitate in un amorfo inglese standard e senza una loro vera, profonda identità – mentre ora Annaud prova a fare i conti con una nuova modalità di fare cinema spettacolare, che ha già trovato, anche nella serialità delle piattaforme on line, un marchio, una collocazione e un nome. Notre-Dame in fiamme è a tutti gli effetti una docu-fiction, che alterna materiali di repertorio (telegiornali, ma anche l’incombente presenza dei social network come strumento di riproduzione e fruizione immediata) a una messa in scena di effetti speciali, drammatizzazione delle gesta dei pompieri e alcune sequenze che hanno addirittura la pretesa di caricare di un simbolismo facile e retorico in particolare il salvataggio delle opere d’arte contenute nella cattedrale, come emblema delle origini cristiane in cui si identifica tutta la cultura europea: nulla di sbagliato, si intenda, e  che in qualche modo tiene fede, letteralmente e metaforicamente, alla  percezione e al sentimento provato dalle persone di fronte a quella scena che, come l’11 settembre 2001, travalicava la possibilità di ogni verosimiglianza e al tempo stesso l’immaginazione di ogni fantasia.

Il problema, tornando con la domanda fatta a monte, sta nel come tutto ciò è stato realizzato da Annaud,  e c’è una sequenza  in questo senso che lascia un’impressione di manipolazione e forzatura, in dissonanza  con un tono che vorrebbe anche essere secco e sobrio (come la recitazione minimale e realista degli attori): quando il prete-pompiere sfida l’inferno per recuperare le ostie benedette abbandonate sull’altare, a un certo punto la mdp lo segue per la navata della chiesa, di spalle, mentre cammina sull’acqua che ha spento le fiamme, come un novello cristo con in sottofondo la musica (pomposa, invadente , estenuante) di Simon Franglen.

Quello di Annaud è quindi uno sguardo che non rispetta la natura intrinseca di un gesto, che non ne cerca bressonianamente  la verità nella semplicità e nel mistero insondabile del suo essere, ma forza la mano di un regista/Dio onnisciente che ha un progetto da portare a termine ed è convinto di sapere  ancora prima di vedere.  Lo stesso effetto ha l’immagine della bambina che, pur di accendere una candela e fare il voto per affidare alla Madonna il destino di Notre Dame, torna indietro rischiando di rimanere intrappolata durante l’evacuazione,  quello cioè di un espediente narrativo , oppure la tematizzazione, esplicita e didascalica, di una tesi: la sopravvivenza di Notre Dame come resistenza, un po’ conservatrice e reazionaria, di una fede e di un culto  minacciati dal terrorismo islamico a cui allude uno scambio di battute tra i due addetti alla sicurezza che scoprono l’incendio, peraltro ridicolmente pronunciato mentre corrono in maniera frenetica giù per le scale a lanciare l’allarme …..la lotta dei pompieri per trovare le vie d’accesso e agganciare le pompe d’acqua con un getto sufficientemente potente possiede, al contrario, una sua godibilità in questo aspetto concreto, logistico , organizzativo reso con buon mestiere dalla regia  riportata alla sua funzione osservativa di uno stato quasi primitivo, da “guerra del fuoco” appunto, per domare e controllare qualcosa di minaccioso e pericoloso. La stessa dicotomia  inferno-paradiso, con gli imponenti Gargolyes di Notre Dame troneggianti tra le fiamme come diavoli custodi della materia combustibile e corrotta dall’incuria, dall’avidità e dall’odio degli esseri umani, è infatti cosi sottolineata ed enfatizzata da risultare irritante e soprattutto, vista oggi, completamente dissociata da un mondo in cui è saltato qualsiasi punto di riferimento, con l’orribile e il meraviglioso, il sublime e l’abominevole, l’ordinario e lo straordinario sovrapposti, mischiati, confusi  in un frammentato Hellzapoppin’ di visioni e narrazioni.

Ma forse il classicismo consolatorio di Annaud va preso per quello che è: l’illusione che, una volta consumati gli ultimi focolai e spente le videocamere dei nostri smartphone, ce ne possiamo tornare al letto, innocenti come una ragazzina tornata da una gita finita male, a sognare un mondo vero come la finzione.

Dal 31 marzo in sala e dal 15 aprile su Sky cinema


Notre-Dame in fiamme (Notre-Dame brule)– Regia: Jean Jacques Annaud; sceneggiatura: Jean Jacques Annaud e Thomas Bidegain; fotografia: Jean-Marie Dreujou; montaggio: Reynald Bertrand; interpreti:Samuel Labarthe, Jean Paul Bordes, Mickael Chirinian,Jules Sadoughi, Jeremie Laheurte, Xavier Male;  produzione: Pathé  origine: Francia,2022; durata: 110’; distribuzione: Vision Distribuition e Wildside.

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