Volevo fare la rockstar  di Matteo Oleotto

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Sarà perché, sotto sotto, chiunque – uomo donna etero gay millennial boomer, figli della guerra, figli del boom economico, questi nuovi giovani senza ideologie – almeno per il quarto d’ora di notorietà teorizzato da Andy Warhol, avrebbe voluto fare la rockstar, ma il titolo della serie tv italiana lancia un gancio pressoché a tutti. Che poi si abbia la voglia di sedersi per cinquanta minuti/un’ora davanti a una puntata, la pazienza di superare il primo impatto con una provincia inventata del Nord Italia, l’onestà individuale di rendere onore al lavoro degli altri (dietro un lavoro seriale – ma anche dietro a un lungometraggio di due ore – esiste una quantità molto elevata di gente che si spacca in due per un lungo periodo di tempo), è tutto da vedere e rientra nella sfera personale di ognuno.

Partiamo dai pregi: intero cast in parte, dai protagonisti all’ultimo comprimario; sceneggiatura lineare al primo sguardo, piena di sotto-trame e significati infilati nei dettagli e nelle crepe, densa come solidi albumi montati a neve, pronti a diventar meringhe; location insolite e paesaggi naturali affascinanti; musica e montaggio incastrati ad arte come un puzzle perfetto.

Punti deboli: una trama a tratti prevedibile ma solo per una decisa adesione alla realtà, che a volte è – naturalmente – intuibile.

Due stagioni – la prima composta da dodici episodi, la seconda da otto – girate a cavallo della pandemia, prima e durante – raccontano le vicissitudini estremamente variegate di una famiglia disfunzionale – i Mazzuccato – composta da una ragazza madre (Olivia detta Ollie, Valentina Bellè), due figlie gemelle adolescenti (Emma e Viola, Caterina Baccicchetto, Viola Mestriner), un fratello prima cripto, poi finalmente dichiarato gay (Eros, Riccardo Maria Manera), una nonna ex tossica (Nadia, Emanuela Grimalda), amici intorno di varia estrazione, declinazione, orientamento.

Insomma il casino che è la vita. Gli alti e bassi di una sola giornata, le complicazioni pratiche, le corse da ogni parte, i lavori mal pagati, la scuola, le bollette, la paternità idealizzata, il nonno mezzo pazzo e tutto egoista, le fregature, le attese, l’amore, le parole, la sincerità, le scoperte che esplodono per caso come ordigni sepolti da anni, la grande difficoltà in ogni cosa, in ogni gesto, in ogni sorriso, l’ottimismo sopra ogni altra tendenza.

Volevo fare la rockstar miscela amabilmente dramma e favola, commedia e ironica disillusione: si ride, si sorride, si dice “vabbè, sta cosa no, è un po’ troppo costruita”, per poi tornare indietro e pensare “no, no, è vero, a volte è pure peggio di così”. La costruzione dei personaggi è abile nel renderli multi-strato come una millefoglie, come le indecisioni che si attraversano ogni istante davanti a ogni scelta, dalla più banale alla più decisiva. Nulla è dritto, come ogni stradina tra i boschi, come il lupo che ti guarda negli occhi pacificamente, che forse esiste forse no. Nulla va come deve andare o quando ci va, dopo la fregatura è, come è normale che sia, dietro l’angolo e ti piega le ginocchia. Il desiderio complica tutto ma spinge ed è motore, ruota del carro, freno alla speranza, porta in faccia che ci si sbatte in faccia da sola come quella dei saloon.

Colpi di scena, flash-back, crescite e tante lacrime: fatica, incidenti, ospedali, tribunali, assistenti sociali, la droga, la scuola, il bullismo, l’omosessualità, come tutte le cose si mischiano sempre ed è impossibile districarle a meno di non chiamarsi Houdini.

C’è l’Italia ma c’è il respiro della frontiera vicina (il paesino di fantasia, Caselonghe, è situato in Friuli). C’è di certo ispirazione a esempi riusciti di fiction britannica: humour brillante, a volte scabroso, a volte surreale. Scritta magistralmente, ispirata a un blog realmente esistito quello omonimo di Valentina Santandrea,  la serie Volevo fare la rockstar mette allegria, voglia di fare una corsa nel verde, accompagna un tempo quieto di svago e leggerezza, senza lasciare spengere il cervello.

Giuseppe Battiston

Bravi tutti, dal regista Matteo Oleotto, agli sceneggiatori Alessandro Sermoneta, Matteo Visconti, Andrea Agnello, Daniela Gambaro, Giacomo Bisanti, agli attori Valentina Bellè sulle cui spalle si regge tutto (sulle sue smorfie, sul suo immancabile parka giallo, sulla sua fisicità spinosa e dinoccolata, sui suoi ricci pazzerelli), Giuseppe Battiston, che all’inizio potrebbe sembrare fuori parte e poi invece no, tutt’altro, a Emanuela Grimalda, sfrontata e coraggiosa in una grande interpretazione, a Angela Finocchiaro in perfetta versione snob radical chic.

Share raggiunto medio-basso ma si può far alzare recuperando tutti gli episodi su RaiPlay.

Ottimo il neologismo ad hoc “le Brulle” (usato spesso con funzione sostantivata) applicato alle gemelle: “perché non sono né belle né brutte, sono brulle”.

Su Raiplay


Volevo fare la rockstar –  Regia: Matteo Oleotto; sceneggiatura: Alessandro Sermoneta, Matteo Visconti, Andrea Agnello, Daniela Gambaro, Giacomo Bisanti; fotografia: Duccio Cimatti; montaggio: Consuelo Catucci; musica: Giuliano Taviani, Carmelo Travia; interpreti: Valentina Bellè, Giuseppe Battison, Emanuela Grimalda, Angela Finocchiaro, Viola Mestriner, Caterina Baccicchetto, Riccardo Maria Manera, Anna Ferzetti, Francesco Di Raimondo, Sara Lazzaro, Matteo Lai,  Teco Celio, Diego Ribon; produzione: Rai Fiction, Pepito Produzioni; origine: Italia, 2019/2022.

 

 

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