Premiato a Cannes 2022 con il riconoscimento della FIPRESCI, il terzo film del trentaquattrenne regista iraniano Saeed Roustayi porta il titolo Leila e i suoi fratelli ed è un titolo da leggersi esattamente come le altre due opere che conosciamo con un titolo simile – la tetralogia di Thomas Mann (1933-1943), il film di Visconti (1960) – un titolo, diciamo così, gerarchico-protettivo: Giuseppe, Rocco e Leila: i protagonisti; i fratelli: i comprimari. Giuseppe, Rocco e Leila si prendono cura dei fratelli, cercano in qualche misura di salvarli ma questo tentativo si rivela più o meno fallimentare.
Nel caso di Leila il fallimento del tentativo di “salvezza” è dovuto a un complesso di fattori. Mi piacerebbe dire (e in parte il film in questa direzione sembrerebbe andare) che la prima e la seconda causa di questo fallimento sono, da un lato, la posizione subordinata della donna nella maschilista società iraniana, dall’altro lo stato di grave crisi economica in cui versa lo Stato, schiacciato dall’embargo americano. Sicuramente queste due ragioni hanno un peso, soprattutto in alcune sequenze di questo lungo, a tratti davvero troppo lungo film (160 minuti sono tanti).
Ma, a mio modesto avviso, la ragione principale del fallimento del progetto educativo di Leila è il fatto che siamo in presenza di un campionario di umanità maschile (i quattro fratelli, il padre di Leila) decisamente scadente. Con l’unica parziale eccezione del fratello operaio, i fratelli sono dei bamboccioni ultraquarantenni che non hanno né arte né parte e non l’avrebbero, con ogni probabilità, in nessuna parte del mondo, delle persone che non sono mai cresciute, che non hanno una vita sentimentale, che continuano ad abitare a casa dei genitori. I genitori? Vogliamo parlarne? Il padre è un ometto raggrinzito con un unico grande sogno che non è, come si potrebbe pensare, la felicità e il benessere della sua famiglia, ma diventare il patriarca della Famiglia. La Famiglia è, in un’accezione se non proprio delinquenziale di tipo mafioso, un’istituzione familistica, arcaica e lobbystica, un clan a declinazione quasi esclusivamente maschile. Alla morte del capoclan si scatena una lotta per la successione al titolo di Patriarca che vede il padre di Leila dannarsi l’anima per riuscire ad essere il prescelto. Si capisce che per tutta la vita Esmail, questo il nome del padre, non ha fatto altro che mettere da parte i soldi per potersi di fatto comprare quel titolo onorifico e simbolico, riscatto di tutta una vita di umiliazioni. Peccato che questi risparmi nascosti siano andati a detrimento del benessere della famiglia d’’origine. D’altra parte ci sarebbe da domandarsi, di nuovo, se la scelta del padre sia completamente da condannare vista l’ineducabilità dei figli maschi, la loro irrimediabile coglionaggine. Certo è che il film non lo si può proprio definire uno spot sull’istituzione famiglia perché in moltissime delle tante scene molto parlate è davvero un tutti contro tutti.
Leila e i suoi fratelli è un film molto molto diseguale, lentissimo a decollare, ma con un paio di scene scritte e girate con grande maestria (soprattutto quelle corali), che distribuisce in modo equanime le simpatie o per meglio dire le antipatie fra i personaggi. La stessa Leila che pure è di gran lunga la più sveglia e a tratti la più cinica di tutti. la vorremmo ancor più coraggiosa ed emancipata. La saldatura fra la dimensione più squisitamente psicologico-sistemica e quella socio-politica non sempre funziona. Allorché, per esempio, l’ “impresa” economica dei fratelli fallisce, sembra – in un lungo inserto – che la colpa sia da attribuire ai contraccolpi sull’economia iraniana dei capricci dell’America, un tweet di Trump fa salire a dismisura l’inflazione persiana, o simili. Ecco, in queste sequenze, forse il film rivela una certa qual meccanicità di cui avremmo potuto fare a meno.
Come sempre nei film iraniani: bravissimi gli attori, fra i quali, ovviamente, spicca Leila, ovvero Taraneh Alidoosti, la Elly del film omonimo (2009) di Asghar Farhadi, recentemente al centro delle proteste politiche e femministe, incarcerata e poi liberata a seguito di un movimento di solidarietà internazionale.
In sala dal 6 aprile 2023