Ci sono in Germania due registi quasi omonimi, uno si chiama Marcus H. Rosenmüller (1973) e l’altro Marcus O. Rosenmüller (1963). Il primo ha avuto un momento di grande notorietà con un divertente Heimatfilm bavarese dal titolo Wer früher stirbt, ist länger tot (2006) (Chi muore prima, è morto più a lungo) che vinse diversi premi in Germania, salvo poi di fatto sparire o comunque restare confinato in un ambito televisivo e bavarese. L’altro non è di fatto mai stato, neanche in Germania, particolarmente famoso. Si conta una sterminata produzione televisiva, soprattutto puntate di film polizieschi, ma al cinema ha fatto davvero molto poco, se ho fatto bene i conti di film, ne ha fatti quattro nell’arco di 25 anni. L’ultimo che ha fatto Münter & Kandinsky, a 61 anni, rischia di diventare il suo più famoso, potenzialmente anche distribuibile nei circuiti internazionali, per almeno tre ragioni: appartiene a un genere molto diffuso e molto amato negli ultimi anni, ossia il biopic, racconta di un personaggio molto noto, ossia il pittore Vasilij Kandinskij (1866-1944) e lo fa da una prospettiva non banale, ossia da quella di un’artista, certamente meno nota di lui, ma non meno importante che è quella di Gabriele Münter (1877-1962), figura di grande rilievo soprattutto nel primo quindicennio del Ventesimo Secolo, presente in e/o fondatrice di associazioni di artisti che si battevano per un radicale rinnovamento delle arti figurative, in particolare della pittura. Una per tutte: Der Blaue Reiter, ovvero il Cavaliere Azzurro, fondato a Monaco di Baviera nel 1911 e attivo almeno fino allo scoppio della guerra.
Di Kandinskij, Gabriele Münter fu per almeno un quindicennio l’amante, la compagna, la sodale; Kandinskij le promise ben presto che non appena avesse sciolto un precedente matrimonio contratto in Russia, l’avrebbe sposata, ma mai lo fece, arrivando al punto di non volerla mai più incontrare – e infatti dopo un ultimo incontro a Stoccolma nel 1916, i due non si videro mai più. Dopo un lungo e giustificato risentimento, dopo aver fatto pervenire all’ex compagno gli effetti personali e aver ottenuto il diritto di disporre delle opere conservate nella comune casa acquistata nella cittadina bavarese di Murnau, Münter, raggiunta l’età di 80 anni, decise nel 1957 di far dono di tutte le opere di Kandinskij in suo possesso (insieme ad opere di altri importanti autori come Franz Marc, August Macke e ovviamente anche le proprie) ad una delle gallerie, proprio per questo, più importanti al mondo, ossia la Städtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco, ciò che ha permesso ai visitatori di tutto il mondo di conoscere la gran parte delle opere del Cavaliere Azzurro e di una stagione irripetibile della pittura novecentesca.
Di tutto ciò tratta il film di Rosenmüller – nei titoli di testa si afferma “Questo film si basa su eventi autentici a causa di alcune lacune storiche, alcune parti della trama sono state integrate con elementi finzionali”. Non sappiamo quali e neanche, forse, ci interessa. Quel che con certezza risulta è lo sforzo del regista, dotatosi anche di adeguata consulenza storico-artistica, di restituire ad un tempo una drammatica vicenda sentimentale (l’amore in fin dei conti infelice della donna per Kandinskij), una vicenda, diciamo così, di emancipazione femminile (le accademie non permettevano, ancora all’inizio del ‘900, la frequenza alle donne, e più in generale le donne dovevano, anche in presenza di un conclamato talento, stare un passo indietro rispetto ai loro mariti e compagni) e infine di documentare il più possibile le tendenze, gli argomenti, le teorie dominanti nel settore avanguardistico delle arti figurative agli albori del Ventesimo Secolo.
Quest’ultimo aspetto – risultante da una serie di ripetuti ed estenuanti dialoghi che sembrano l’assemblaggio di tante dichiarazioni estetiche a mo’ di aforismi – è indubbiamente il più noioso di tutto il film. Tutta questa disamina il regista se la sarebbe potuta anche risparmiare, tenendo conto che il film dedica comunque moltissimo spazio alla realizzazione delle opere, quelle di Kandinskij, quelle di Münter e anche quella di altri pittori; della serie: se lo spettatore ha occhi per guardare si rende conto da solo della clamorosa novità rappresentata da un’arte che rifiuta vieppiù ogni forma di figurativismo. E invece no: regista e sceneggiatrice ci vogliono spiegare tutto, ma proprio tutto. Altro difetto del film è la struttura per tappe (data la conclusione verrebbe da definirle: tappe di una via crucis), ambientate sempre in luoghi diversi, rispondenti alle varie città dove i due, o anche la sola Münter hanno vissuto, peccato che queste città vengano rese in modo assolutamente posticcio con trasparenti spesso inguardabili che si tratti di New York oppure di Stoccolma. Più accettabile è il tentativo di restituire una certa atmosfera artistica, non solo figurativa ma anche teatrale e cabarettistica della Monaco di inizio secolo, il mitico quartiere di Schwabing, che troveremo celebrato per l’ultima volta in Heimat 2 di Edgar Reitz. Nell’insieme si tratta di un film marcatamente didascalico, qua e là estetizzante (carrelli circolari, primissimi piani, soluzioni cromatiche che intendono ricalcare gli esperimenti cromatici e sinestetici degli artisti e delle artiste di allora) non privo di ripetizioni ma capace comunque di evocare un momento epocale della storia della cultura del Novecento.
Münter & Kandinsky – Regia: Marcus O. Rosenmüller; sceneggiatura: Alice Brauner; fotografia: Namche Okon; montaggio: Raimund Vienken; interpreti: Vanessa Loibl (Gabriele Münter), Vladimir Burlakov (Vasilij Kandinskij), Felix Clare (Franz Marc), Marianne Sägebrecht (Frau Mayr); produzione: CCC Cinema and Television, MZ Filmproduktion; origine: Germania 2024; durata: 126 minuti.