Non è come Ebbing, Missouri, la cittadina dove era ambientato il film che nel 2018 vinse due Oscar (Tre manifesti a Ebbing di Martin McDonagh), Stillwater (in italiano La ragazza di Stillwater), la cittadina dell’Oklahoma che dà il titolo al film di Tom McCarthy (Il caso Spotlight, 2015) esiste davvero, conta cinquantamila abitanti e in linea con il suo nome è un luogo dove di cose ne accadono poche, anche se proprio all’inizio vediamo Bill Baker il protagonista, un muratore, carpentiere etc, interpretato da un grandioso Matt Damon (che non ha ancora vinto neanche un Oscar, forse lentamente sarebbe il caso) che cerca di porre riparo ai danni causati da un uragano. Presentato fuori concorso alla 74ª edizione del Festival di Cannes e poi uscito con scarso successo in sala l’anno scorso a settembre, adesso approda su Sky.
Ma a parte l’uragano a Stillwater non succede molto altro, al punto che Allison (Abigail Breslin) a un certo punto decide di lasciare Stillwater e di trasferirsi a Marsiglia. Quando le chiedono perché Marsiglia, la sua risposta è semplicemente: perché era un luogo lontano da Stillwater. D’altra parte il padre è stato più o meno sempre assente, la madre si è uccisa e Allison è cresciuta con la nonna Sharon (Deanna Dunagan), non si può dire che Stillwater fosse esattamente la sua Heimat. Peccato che a Marsiglia Allison finisca in galera con una condanna a nove anni perché ritenuta colpevole di aver ucciso la propria compagna di origine araba, Lina – una relazione lesbica, l’americana wasp che uccide una ragazza araba a Marsiglia, beh, non si sa fino a che punto i giudici siano stati liberi di scegliere. Siamo più o meno a metà del periodo, quando ha inizio il film e Bill decide a sua volta di lasciare Stillwater (che di nuovo significa lasciare il tran tran lavorativo di tutti i giorni, oltre al cibo pesantissimo, le brevi ma irrinunciabili preghiere prima dei pasti, le visite rituali alla nonna ormai male in arnese) e di andare a trovare la figlia e di provare a vederci più chiaro, visto che Allison, da sempre, si professa innocente.
E il film, la troupe per le successive due ore si trasferisce a Marsiglia. Torneremo a Stillwater solo nei minuti finali, non diremo chi tornerà e non diremo perché, non vogliamo rivelare troppo di questo film, certamente non geniale ma scritto bene che si regge su interessanti conflitti di fondo mostrando un interesse inusitato (quanto meno per il cinema americano classico) per i conflitti interculturali con l’Europa, e non solo con l’Europa ma con una città come Marsiglia che già al suo interno è una polveriera di conflitti. Insomma Bill arriva a Marsiglia, va a trovare Allison (la sua vicenda ricorda a tratti quella di Amanda Knox) che continua a dichiarare la propria innocenza e animato da una straordinaria forza di volontà ma all’apparenza almeno non proprio una cima (la figlia, e capiremo presto che sbaglia, all’inizio del film, in un’istanza indirizzata a un giudice lo definisce “not capable”, in altre parole “un incapace”) si sbatte per la città fra mille difficoltà, non ultima quella linguistica e cerca, come un cavaliere medievale o un eroe fiabesco di risolvere il compito che si è autoassegnato, nel quale un ruolo non secondario lo riveste l’ansia di riscatto e di risarcimento per non esser stato fin qui un padre esemplare.
Come ci insegna Vladimir Jakovlevič Propp, l’eroe della fiaba ha bisogno di aiutanti che qui si palesano nel terzo e nel quarto personaggio del plot, l’attrice Virginie (Camille Cottin) e soprattutto la deliziosa di lei figlia Maya (Lilou Siavaud) che sia sul piano pratico sia su quello affettivo, simbolico forniscono a Bill le condizioni per raggiungere il proprio obiettivo, ovvero quello di far trionfare la verità, anche se poi la verità si rivela nettamente più complessa del previsto. Il tutto appunto avviene a Marsiglia che con la sua luce straordinaria, le sue tensioni sociali diventa un’ulteriore protagonista del film. Un paio di episodi non ci hanno convinto del tutto perché tributari di una drammaturgia del caso, che poco ci aggrada, ma nell’insieme il film funziona bene soprattutto nel restituire in modo plausibile il conflitto e le potenzialità di integrazione fra un americano fino al midollo (il continuo utilizzo di “sir” e “ma’am” come modo di rivolgersi all’interlocutore collocano il personaggio continuamente ai margini del ridicolo) e un universo europeo, bohémien, alternativo apparentemente inconciliabile. Una buona sceneggiatura e una regia funzionale e poco stucchevole (Marsiglia si sarebbe prestata, eccome) rendono invece le relazioni interculturali, interetniche, interclassiste fra i personaggi incredibilmente possibili.
Su Sky
Cast & Credits
La ragazza di Stillwater (Stillwater) – Regia: Tom McCarthy; sceneggiatura: Thomas Bidegain, Tom McCarthy, Noé Debré, Marcus Hinchey; fotografia: Masanobu Takanayagi; montaggio: Tom McArdle; interpreti: Matt Damon (Bill Baker); Abigail Breslin (Allison); Camille Cottin (Virginie); Lilou Siavaud (Maya), Deanna Dunagan (Sharon); produzione: 3dot productions, Amblin Partners, Anonymous Content, Participant, Slow Pony; origine: 2020 USA; durata: 140′; distribuzione: Universal Pictures.