Wanted di Fabrizio Ferraro

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Alla fine della proiezione ci proviamo a interrogare sull’eventualità tutta da dimostrare che se il quindicesimo film di Fabrizio Ferraro avesse conservato il titolo originario, Una donna è fuggita, ci forse sarebbe apparso un po’ meno inaccessibile; fornendoci una possibile chiave d’accesso purchessia di fronte al baluginare magmatico di codici segnici davvero molto criptici. Avremmo probabilmente provato ad appassionarci alla sorte del personaggio della “prigioniera” (così definita già nel copione) interpretato da Denise Tantucci, perennemente in fuga da un gruppo di occhiuti e opprimenti inquisitori. Il regista però ci ha privato anche di questo labilissimo appiglio, scegliendo di optare per una cifra stilistica dichiaratamente esoterica. Si pensi che il senso ultimo del film doveva restare oscuro persino agli interpreti, cui è stato impedito di conoscere il copione all’infuori delle proprie battute.

Si capisce così che Wanted è l’ultima tappa di un percorso autoriale rigoroso fino all’intransigenza, che rifugge orgogliosamente da qualsivoglia compromesso commerciale. L’autore in questione è il già menzionato Ferraro, un passato di studi filosofici e musicali e una passione per la fotografia. Un artista a 360° che qui cura regia, fotografia e montaggio; con una filmografia ricca di 14 titoli tra film di finzione e documentari, proiettati nelle cineteche europee più autorevoli e nei musei d’arte.

Con tali premesse il rischio molto concreto è di realizzare un cinema afasico e autocompiaciuto, intellettualistico e autoreferenziale. Secondo noi tale rischio non è del tutto scongiurato. Vediamo perché.

Scritto prima della pandemia e girato prima della guerra in Ucraina, il film di Ferraro si propone di narrare le vite di tre donne che si intrecciano in un ambiguo gioco di fughe e catture, nel quale i ruoli di vittima e carnefice si scambiano fino a confondersi. Ma per capirlo così nettamente occorre leggere attentamente il pressbook. La visione della pellicola ci aveva detto piuttosto di una giovane donna (Denise Tantucci) che dentro un bar riceve la visita di un uomo che poi si scopre essere una donna. Torchiata spietatamente da una serie di aguzzini tra cui riconosciamo Fabrizio Rongione, Chiara Caselli e Giovanni Ludeno, la prigioniera seguita a coprire la donna per ragioni misteriose. Tutto ciò in un gioco di specchi e luci al neon, di scambi di persona e capovolgimenti di ruoli, di iterazioni e raddoppiamenti, di interrogatori spietati e scambi di ruolo, di vittime travestite da carnefici e viceversa. Un film parlatissimo tra stridori e clangori e tuttavia popolato di silenzi interminabili e tempi morti, congelato nella architettura razionalista di scenografie alla Mondrian. Sporadicamente si scorge la terza donna interpretata da Caterina Gueli, nel duplice ruolo di un’infiltrata e della voce narrante.

Come si vede da questo breve riassunto, ci troviamo di fronte a un’opera volutamente ostica, sino al limite della provocazione autoreferenziale. Un affresco raggelato che non concede nulla allo spettatore, nell’ottica di un’autorialità quasi punitiva per il pubblico medio.

Se si supera il senso di ermetismo vagamente respingente insito nello sguardo dell’autore, si capisce che dietro alla trama ellittica si cela una riflessione anche interessante sugli aspetti più distopici della contemporaneità. Un’indagine sul nuovo ordine mondiale che indaga e reprime, un’investigazione non banale sui meccanismi del potere. Qualcosa che avrebbe potuto porsi nello stesso campo di analoghe narrazioni come quella di George Orwell e del suo citatissimo 1984 (e relativo adattamento cinematografico) o come quella scabra dell’Elio Petri di Todo modo. Un apologo politico e morale che si sarebbe potuto sintonizzare sulle stesse frequenze del cinema di Yorgos Lanthimos. La pretesa e rivendicata cifra “Art house” del suo regista glielo ha impedito, al di là delle intenzioni.

Già ci par d’udire l’obiezione: in un mondo della comunicazione e dell’espressione artistica compromesso con i ricatti dell’imperante consumismo che tutto corrompe, ben venga quel cinema d’autore che rifiuta anche aristocraticamente ogni cedimento. E ancora: mettere in scena degli enigmi che echeggiano le inquietudini dell’oggi senza suggerirne le soluzioni è il compito del vero artista, che non deve dare risposte ma eventualmente porre delle domane. È verissimo, a patto di non eccedere. Anche la riflessione sui i generi cinematografici (poliziesco, crime, mistery e  drama), che pretenderebbe di capovolgerli per uscire dai codici che solitamente li caratterizzano, in definitiva rimane sulla carta dei buoni propositi, senza farsi mai dramma, conflitto, emozione. Ciò che dovrebbe essere, a parere di chi scrive, il cinema. Anche quello più rigorosamente autoriale.

Può anche darsi però che ci abbiano invece visto lungo Marta Donzelli e Gregorio Paonessa che producono e distribuiscono il film per Vivo film.

Presentato alla Festa di Roma 2023 (Sezione Freestyle)
In sala dal 20 novembre 2024.


Wanted Regia, soggetto e sceneggiatura: Fabrizio Ferraro; fotografia: Fabrizio Ferraro; montaggio: Fabrizio Ferraro; interpreti: Chiara Caselli, Denise Tantucci, Caterina Gueli, Giovanni Ludeno, e con la partecipazione di Fabrizio Rongione; produzione: Vivo film con Rai Cinema; origine: Italia, 2023; durata: 90’ minuti; distribuzione: Vivo Film.

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