Festival di Locarno 2024 (Concorso): Sulla Terra Leggeri di Sara Fgaier  

Domenica 11 agosto è stato proiettato il secondo film italiano del Concorso Internazionale: Sulla Terra Leggeri, opera di debutto della regista italo-tunisina Sara Fgaier, che lo ha introdotto con queste parole: Grazie a tutti per aver scelto il nostro film e al pubblico per essere qui così numerosi oggi. Anche se ho visto il film tante volte in post-produzione, sono convinta che oggi, rivedendolo insieme a voi, sarà un’altra visione, per me è come se fosse una creatura vivente, noto sempre qualcosa di diverso.

Sara Fgaier era già stata al Festival di Locarno in veste di produttrice e montatrice. Ha lavorato nel cinema prima al servizio degli altri, e poi si è distinta con il cortometraggio Gli Anni (2018), che dando voce al testo omonimo del Premio Nobel per la letteratura Annie Ernaux (2022) , ha vinto l’European Film Award come miglior cortometraggio.

Diverse società e istituzioni regionali hanno sostenuto la produzione di quest’opera, e la produttrice Serena Alfieri, ci ha tenuto a ringraziarle e a specificare: volevamo accompagnare la regista, con alle spalle un percorso di produttrice e montatrice, e il film ha richiesto coraggio e molti sforzi da un punto di vista produttivo. C’era anche materiale di repertorio – sono stati coinvolti più di dieci archivi da tutto il mondo per le ricerche – girato in 16 mm, e ci sono stati molti viaggi. Un film, che ha avuto anche una lunga gestazione, tre anni di ricerche e otto mesi di montaggio.

La regista, Sara Fgaier, ha aggiunto che la primissima volta che ha desiderato un proprio film, è stato quando ha girato il suo cortometraggio. Mi ero appassionata del carnevale sardo, e avevo girato delle immagini in pellicola, oltre ad aver fatto molte ricerche su di esso. Con Sabrina Cusano (cosceneggiatrice) abbiamo iniziato a rintracciare i testi scritti da noi e da altri, e abbiamo notato, che si era creata una voce fuori campo, che portava avanti una storia. Abbiamo fatto ricerche sui sogni e rituali sardi e tunisini, e su tutte le cose che ci riportano ai bisogni primari e a uscire dal proprio Ego. Ovvero, parliamo di amore; non se ne esce mai come prima e c’è bisogno di riorientarsi. È stata la prima volta che scrivevo un film, ma è venuto naturale, perché ho sempre lavorato con le ricerche di archivio, e in questo caso ho portato quel lavoro nella sceneggiatura.

Per scrivere il soggetto di un uomo che perde la memoria, il libro Livelli di vita di Julian Barnes (Einaudi, 2013) è stato di grande ispirazione per la regista che ha detto: Metti insieme due persone che insieme non sono mai state; a volte il mondo cambia a volte no.

La trama parla di Gian (Andrea Renzi ed Emilio Francis Scarpa, al suo primo film, per interpretare il personaggio da giovane), un uomo che dopo aver perso la moglie, lotta contro l’oscurità di un’improvvisa amnesia selettiva. Miriam, sua figlia (Sara Serraiocco) si ritrova improvvisamente sola, da una parte per il lutto della madre e dall’altra per il padre che non la riconosce; perciò, si trasferisce da lui con il figlio (Elyas Turki) e gli consegna i suoi diari, scritti a 20 anni, che ruotano tutti intorno a Leila, la ragazza con cui ha scoperto l’amore nell’arco di una notte. Proseguendo il viaggio nelle sue memorie, ci chiediamo se sarà lei o meno la moglie, perché negli anni si perdono di vista. Il film si sviluppa quasi come un’indagine, che cerca non di ricostruire il passato, ma di scoprirlo.

Anche gli attori si sono espressi sul film.

Sara Serraiocco: la regista ha un’elevata sensibilità umanistica, e il personaggio di Miriam mi ha affascinato, perché è una donna molto matura che ha il compito di portare in vita le memorie del padre, quando la figura paterna si disintegra di fronte a lei. Dal film ho imparato, che una volta che mancano i ricordi, mancano anche le persone; perciò ognuno ha il compito di generare memorie. Inoltre, ringrazio Andrea per come ha interpretato meravigliosamente Gian.

Andrea Renzi: Sono emozionato e felice che il film si presenti in questa cornice. Il personaggio che interpreto si compone attraverso tempi diversi, soprattutto io ed Emilio raccontiamo questa realtà. Siamo stati accomunati dalla sensibilità di Sara sul set, più che di un lavoro fatto in precedenza rispetto ai percorsi dei personaggi. C’era la sensazione di essere sempre alla ricerca di qualcosa, come se lo spettacolo fosse tenuto a distanza per far risaltare il necessario. Quanto si racconta è, che nessuno di noi vive in un tempo lineare, è più facile pensare di avere un orologio che scandisce il nostro tempo in avanti. Viviamo più tempi contemporaneamente, con le parole è cervellotico, ma nella forma cinematografica è concreto e aiuta l’immaginario degli spettatori.

Emilio Francis Scarpa: Per me è stata la prima esperienza. Siccome tutte le riprese erano molto frammentate, per mettermi a mio agio ho interpretato ruoli di tutte le età, perché non avevo nessuno strumento del mestiere.

 In questo film abbiamo subito notato, come la regista abbia messo insieme le sue diverse competenze. È un film composto da tante voci, frammentate a causa dei molteplici filmati di archivio, che si succedono in tutto il lungometraggio mettendo in risalto qualcosa di perduto, in questo caso l’amore e i ricordi. Vediamo un passaggio di testimone tra gli attori, soprattutto nel caso di Gian, che da un vecchio amnesico diventa un Gian ventenne innamorato. L’uno accoglieva la storia lasciata dall’altro.

Anche la scelta fotografica è molto interessante. Il Gian vedovo vive in una casa buia, con le tapparelle abbassate, come se fosse letteralmente rinchiuso in un archivio buio. I suoi ricordi di gioventù, invece, sono ambientati in molti luoghi, come Tunisi, la Provenza (anche se la location in realtà è la campagna romana), la Sardegna, nei pressi di Genova e altre zone di Italia. Quindi vediamo questo contrasto fotografico, con paesaggi aperti e luminosi e le mura domestiche. Man mano che i ricordi si scoprono, le tapparelle si alzano, inizia a filtrare la luce in casa, il cambiamento dello stato d’animo di Gian si ripercuote anche nel suo ambiente. La colonna sonora, composta da Carlo Crivelli, aiuta lo scorrere del film e al graduale recupero dei ricordi.

Si nota sia il lavoro di ricerca di archivio che il montaggio, che fa cambiare prospettiva, da presente a passato, gli eventi separati che si uniscono per diventare una storia, quasi in una nuova dimensione temporale.  Il messaggio che ci consegna è: “I morti non sono morti finché noi non decidiamo di dimenticarli.” (Sara Fgaier)

Foto di Stéphanie-Linda Maserin

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