Per i trent’anni dalla morte di Giovanni Falcone: Arte vs mafia – la forza della bellezza di Simona Risi

Tra le tante, doverose iniziative del piccolo schermo per i trent’anni dalla morte di Giovanni Falcone, ce n’è una che tocca un punto fondamentale nella lotta alla mafia: è una riflessione sul rapporto di opposizione estrema tra l’arte – concetto che abbraccia anche la cultura, la morale e la bellezza – e Cosa nostra. Arte come risposta al male, come antidoto, come anticorpo per distruggere la potenza del virus.

Arte come arma, meglio ancora come medicina, per sconfiggere la piaga letale. Ne parla un interessante documentario dal titolo Arte vs mafia – la forza della bellezza, in onda il 23 maggio, alle 21.15 su Sky Arte (e recuperabile anche in streaming e on demand su Now). Nasce da un soggetto di Didi Gnocchi ed è diretto da Simona Risi, che sceglie di partire dalle parole chiare e toccanti di Paolo Borsellino: «La lotta alla mafia – spiega il grande magistrato assassinato il 19 luglio del ’92 – il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti, specialmente le giovani generazioni, le più abituate a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità».

Questo potente pensiero si poggia sulle immagini di un fotografo che stampa i suoi scatti in una camera oscura: è Tony Gentile, che poi racconta l’importanza della foto con cui immortalò, nel marzo del ’92, Falcone e Borsellino mentre si parlavano all’orecchio e sorridevano. Parla dell’immagine divenuta simbolo riprodotto, «per la sua forza e la sua potenza, in mille forme e in mille contesti diversi», come spiega il giornalista Michele Smargiassi, che aggiunge come «l’icona di quegli anni» mostri un «sorriso» e «non la morte». Il suo «significato cambia», riprende Gentile, con la morte di Falcone e Borsellino. Quella foto «ha più vite: è nata più volte»: la «gente se ne appropria trasformandola in qualcosa di più potente». Diventa «anche un’opera d’arte», quando, 25 anni dopo, l’Associazione Magistrati Italiani commissiona a due artisti il murale che oggi campeggia su un palazzo di Palermo. Quell’istante fermato da Gentile evolve in un servizio per tutti: si fa strumento che accompagna e sostiene la fragilità e la forza silenziosa della società.

C’è una piccola grande storia, in questa fotografia, che racchiude e sintetizza il contenuto di questo documentario fatto di tante riflessioni e testimonianze: ci sono quella di Maria Falcone, tra le tante, di Fiammetta Borsellino, di Selma Giuliano: la figlia di Boris Giuliano, il capo della squadra mobile di Palermo ucciso da Cosa nostra nel luglio del ’79. Quella di Claudio Fava, figlio di Giuseppe, giornalista anch’egli ucciso dalla mafia e intellettuale, drammaturgo e anche pittore dilettante, per passione, spesso autore di soggetti «ricavati dalle stanze di cronaca del giornale», dice ancora il figlio Claudio, precisando che «le foto segnaletiche erano i suoi soggetti di ispirazione più felice».

Parlano anche Attilio Bolzoni, l’artista Emilio Isgrò e Igor Scalisi Palminteri: l’autore del murale con il volto don Pino Puglisi che domina la piazza del quartiere Brancaccio di Palermo in cui il prete fu ucciso dalle cosche. «Un magistrato non basta – commenta lo street artist – ci vuole anche un prete e ci vuole anche un pittore», capace di rendere immortale ed utile ogni giorno il sorriso gigante di un sacerdote «voce di una Palermo sofferente”, anche «politico in qualche modo”, uno che «ha amato la città”, donatore di una possibilità nuova in un quartiere che non ne dava.

La testimonianza di Palminteri rafforza il senso di Arte vs mafia, nel quale ascoltiamo anche la voce della grande fotografa palermitana Letizia Battaglia, scomparsa lo scorso 13 aprile. A lei, al suo talento e al suo carisma, anche la Rai dedica – in concomitanza con l’anniversario della morte di Falcone e con la Giornata della Legalità – una buonissima fiction in due prime serate (il 22 e 23 maggio) dal titolo Solo per Passione – Letizia Battaglia fotografa.

L’ha diretta con bravura Roberto Andò ed è un sincero e articolato ritratto (grazie anche all’ottima interpretazione di Isabella Ragonese) di questa donna coraggiosa che coi suoi scatti ha raccontato la guerra di mafia in Sicilia e più in generale la città per anni. «La fotografia è un mezzo artistico che traduce in immagini un dolore», dice Letizia Battaglia in uno degli intensi passaggi di Arte vs mafia, partecipando a quello che è anche, inevitabilmente, il racconto di una grande ferita nazionale, di un lungo e doloroso libro su grandi persone italiane spazzate via dal crimine.

Un pezzo di Storia del nostro Paese che proprio quest’anno vede ricorrere tristi anniversari: oltre ai trent’anni di Falcone e Borsellino, anche i quaranta dalla scomparsa di Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa (al quale sarà dedicata in autunno una serie tv prodotta da Stand by me in collaborazione con Rai fiction e diretta da Lucio Pellgrini e Andrea Jublin, con Sergio Castellitto nei panni del Generale assassinato il 3 settembre del 1982).

Anche questa sarà arte contro la mafia, arte come strumento per capire, per non dimenticare, per spiegare il bene e il male, la differenza tra bellezza e orrore attraverso il racconto, oppure un’immagine in sé, che può essere una foto, oppure la gigantografia di quell’ormai preziosa street art che sa rigenerare un quartiere, e con questo una città. Che sa farsi strumento della relazione con quella bellezza odiata dalle mafie perché potente, perché rigenerante per l’essere umano, la cui debolezza interiore, al contrario, come spiega bene Arte vs mafia, è grande alleata del male

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