Il Nibbio di Alessandro Tonda

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Attenzione (spoiler): non leggere questo articolo se non si conoscono i fatti di cui tratta Il Nibbio. Per coloro, invece, che ne fossero a conoscenza ma che forse non li ricordano per filo e per segno, due parole di sunto. La notte del 4 marzo 2005, a quasi due anni dalla fine della guerra in Iraq e della dittatura di Saddam Hussein, sulla cosiddetta “Route Irish” la strada che collegava Bagdad all’aeroporto, perse la vita, colpito dalla mitraglia “amica” di un soldato americano, il dirigente del Sismi Nicola Calipari. L’uomo stava portando in salvo la giornalista del quotidiano “Il Manifesto”, Giuliana Sgrena, appena liberata da un rapimento ad opera di un commando sunnita. Il tragico evento che all’epoca fece scalpore e che ebbe uno grande strascico di polemiche anche internazionali e nessuna punizione per il colpevole dell’atto (argomenti, però, di cui il film non si occupa) aveva posto fine, a 51 anni, alla vita di quanto si potrebbe definire – senza abusare troppo della retorica – un esemplare “servitore dello Stato”, così raro nel nostro paese, che si era distinto, nel ruolo di responsabile dei servizi segreti italiani in Iraq, in numerosi salvataggi di connazionali. Sempre adottando, a differenza dei metodi spicci degli americani, la tattica di trattare in ogni caso, senza ricorrere ad azioni e all’uso della forza. Questo in due parole il senso, il succo del film di Alessandro Tonda, Il Nibbio, dal nomignolo, nell’ambiente, di Calipari che, a metà tra il thriller politico e il dramma biografico, ricostruisce le vicende del rapimento della giornalista, la sua prigionia e la conclusione tragica dell’evento con la morte del nostro funzionario.

Sonia Bergamasco

Per raccontare la terribile vicenda, si procede a ritroso: nell’incipit ci troviamo appunto a Bagdad il 4 marzo 2005, ventotto giorni dopo il rapimento di Giuliana Sgrena (Sonia Bergamasco) da parte di un gruppo di militanti della resistenza sunnita, mentre il protagonista (interpretato da Claudio Santamaria), insieme ad un suo collaboratore/autista, aspetta che l’accordo per il riscatto stia per concludersi e che la donna venga liberata. Qualcosa però nella macchina del negoziato lungo e paziente con un imprenditore-intermediario con i rapitori, a cui si sono promessi 12 milioni di dollari e un passaporto italiano, sembra, però, essersi improvvisamente inceppato. Più o meno a questo punto concitato, scatta il lungo flash-back che ricostruisce, a partire dal sequestro della giornalista alla fine di una visita in un campo profughi, la  prigionia con le sue comprensibili angosce mentre parallelamente assistiamo all’intervento e alle mosse del protagonista per giungere ad una conclusione felice della vicenda anche in collaborazione (pur da punti di vista abbastanza distanti ma in quel caso coincidenti) con il direttore del “Il Manifesto”, Gabriele Polo (Sergio Romano) che successivamente scriverà un libro sulla vicenda (Il mese più lungo, Marsilio 2015).  Il tutto superando i dubbi politici in casa italiana e le varie discussioni a Forte Braschi, i pericoli sul campo o i compromessi con le autorità locali nonché le possibili complicazioni diplomatiche con gli americani. Per giungere, infine, alla conclusione della liberazione della donna e l’epilogo a cui si è accennato e che tutti noi, non Millennials, ricordiamo.

Già diversi anni fa Enzo Monteleone aveva provato a rievocare cinematograficamente la vicenda partendo dal libro autobiografico di Giuliana Sgrena, Fuoco amico (Feltrinelli, 2006), ma poi il progetto non riuscì ad essere realizzato – per tante ragioni forse insondabili (ma chissà?). Oggi in un clima politico tutto diverso viene alla luce Il Nibbio e, comunque, abbastanza diverso è stato l’intento che ha guidato Alessandro Tonda nella realizzazione del suo film. Sulla base della sceneggiatura di Sandro Petraglia, infatti, la narrazione degli eventi si è incentrata non dal punto di vista della rapita ma di chi poi è riuscito a liberarla e ne ha pagato con la vita. Il che ha portato ad approfondire soprattutto la figura psicologica del protagonista in diverse sequenze di vita familiare e personale con la moglie (Anna Ferzetti) o la figlia contestatrice (Beatrice De Mei), che si intrecciano con le vicende d’azione e i contrasti all’interno dell’unità di crisi per cui è stata inventata una fittizia figura, l’unica di tutto il film, di tal Giulio Carbonaro (Gerry Mastrodomenico) che rappresenta, a mo’ di sintesi, gli antagonisti, nei servizi, della strategia negoziale, “morbida”, quasi filo-pacifista, di Nicola Calipari.

Anna Ferzetti e Claudio Santamaria

Non era semplice mantenere un equilibrio trai vari piani su cui si è andato articolando Il Nibbio: quello storico-fattuale – anche a distanza di un ventennio – e quello privato, considerando il fatto che la famiglia Calipari, almeno inizialmente, si era dichiarata contraria al progetto del film, almeno da quanto abbiamo appreso in conferenza stampa. E poi per una narrazione da tendenziale thriller d’azione a sfondo politico era difficile costruire una suspense dove la fine è universalmente (o quasi) nota.

Malgrado alcune evidenti semplificazioni nella costruzione a tutto tondo della figura del protagonista o qualche lungaggine di troppo, a noi sembra che Alessandro Tonda sia riuscito a realizzare un film onesto e poco retorico, tutto sommato asciutto ed avvincente, sia dal punto di vista della ricostruzione dei fatti sia per l’efficace resa data dagli interpreti. Resta da domandarsi (ma ce lo augureremmo) se a distanza di anni una tale vicenda possa ancora appassionare e trovare un pubblico che non sia quello di quanti la storia la conoscano già.

In anteprima martedì 4 all’Auditorium di Roma, nel ventesimo anniversario della morte di Calipari.
In sala dal 6 marzo 2025.


Il Nibbio – Regia:  Alessandro Tonda; sceneggiatura: Sandro Petraglia; fotografia: Bruno Degrave; montaggio: Chiara Vullo; musica: Paolo Vivaldi; scenografia: Sabrina Balestra; interpreti: Claudio Santamaria, Sonia Bergamasco, Anna Ferzetti, Massimiliano Rossi, Andrea Giannini, Maurizio Tesei, Beniamino Marcone, Sergio Romano, Biagio Forestieri, Antonio Zavatteri, Jerry Mastrodomenico, Beatrice De Mei, Tommaso Ricucci, Silvia Degrandi, Jonv Joseph, Fethi Nouri, Lorenzo Pozzan; produzione: Guglielmo Marchetti, Stefano Bethlen, Joseph Rouschop per Notorius Pictures, Tarantula, Rai Cinema, con il sostegno di Wallimages, Regione Lazio; origine: Italia/Belgio, 2025; durata: 108 minuti; distribuzione: Notorious Pictures.

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