L’angelo dei muri di Lorenzo Bianchini

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Dopo i numerosi horror realizzati a bassissimo costo e in maniera del tutto autarchica e indipendente, il regista friulano Lorenzo Bianchini realizza con L’angelo dei muri il primo film per una produzione più mainstream, targata Tucker Film e Rai Cinema.

Un lungo piano sequenza ci introduce in un appartamento, vecchio e poco luminoso, un luogo che lo stesso Bianchini, nelle vesti di scenografo, crea e concepisce, e che il direttore della fotografia Peter Zeitlinger (collaboratore di Werner Herzog, Abel Ferrara e James Franco tra gli altri) avvolge in un’atmosfera opaca, fredda, dai colori grigi e verde smeraldo.

Scorrono i titoli.

E nella camera da letto dell’appartamento troviamo l’anziano Pietro (interpretato magistralmente dal celebre attore francese Pierre Richard), l’uomo che per 102’ ci tiene incollati allo schermo, senza quasi mai parlare, che si muove come un’ombra e sospira come il vento; un sibilo senza fine interrotto solo da qualche tuono e dal rumore della pioggia, in un denso impasto, sonoro ed emotivo, che si compatta in un fruscio pieno di angoscia.

Pietro vive a Trieste, in un vecchio palazzo, fino a quando la sua quotidianità non viene devastata da un’ordinanza di sfratto. Non vuole in alcun modo andarsene e mette a punto una strategia per continuare a vivere segretamente dentro casa: costruisce un muro in fondo al lungo corridoio dell’appartamento, un vero e proprio nascondiglio verticale dentro cui sparire. Una grata per respirare, una fessura per simulare un lucernario, qualche buco per studiare le mosse del nemico. È l’inizio della lotta tra la follia e la forza di sopravvivenza, e l’inevitabile perdita di dignità. Pietro diventa tutt’uno con la polvere e la sporcizia, e le crepe dei muri si confondono con le rughe del suo viso.

Pierre Richard

La parte iniziale del film è certamente la più potente: fino a che punto ci si può spingere? Orrore e repulsione appartengono solo al giudizio delle menti benpensanti? Si può accettare di vivere come topi schiacciati tra i solchi dei muri?

Guardando il film di Bianchini non si può non pensare al celebre Parasite di Bong Joon-ho. Ma se nella pellicola coreana c’è un discorso politico di lotta di classe ed è il contrasto sociale a creare un confronto lacerante, in L’angelo dei muri la parabola assume contorni più esistenziali e quasi metafisici.

Di certo, in entrambi i casi, dell’esistenza dei protagonisti non interessa a nessuno: sono semplici personaggi da poter sacrificare in un qualsiasi gioco al massacro tra poveri alla Squid Game. Pietro ormai è anziano, non ha nessuno, e proprio la solitudine, tema caro al regista, è oggetto di una riflessione iniziata con Occhi e sviluppata poi con Oltre il guado. L’appartamento è l’unica certezza rimasta, per quanto miserabile, e il protagonista ci si aggrappa con tenacia e testardaggine per non essere trascinato alla deriva, come fosse una zattera in mezzo al mare.

All’improvviso però l’andamento del film subisce una svolta. La casa viene ripulita. C’è una giovane donna ora, e con lei vive una bambina cieca. A partire da questo momento il film si immerge in una dimensione da fiaba noir. I nuovi inquilini della casa regalano una rinnovata speranza a Pietro, quella di non essere più solo, quella di un possibile abbraccio capace di scaldare il freddo muro con un soffio di vita.

Ma chi sono queste nuove e stranamente familiari presenze? Perché il proprietario continua a presentarsi con le sue chiavi e i suoi progetti di ristrutturazione nell’appartamento?

A Pietro non resta che stare rintanato nel suo buco nel muro, lontano dalla realtà, proprio come la bambina cieca nella sua stanza, che non può vedere il mondo al di fuori. Ma tra i due la comunicazione sembra possibile. Lui è l’angelo dei muri e col mangianastri si possono ascoltare delle fiabe bellissime: l’areostato si innalza verso il cielo, proprio come i gabbiani quando sbattono le ali… perché chi sa volare non precipita in basso.

Si ha a volte la sensazione di girare in tondo, non solo nell’appartamento e nella mente labirintica di Pietro, ma anche nella regia di Bianchini, che realizza un ottimo film, sia pur appesantito da qualche virtuosismo di troppo.

Dal 9 giugno in sala


L’angelo dei muri – Regia: Lorenzo Bianchini; soggetto e sceneggiatura: Lorenzo Bianchini, Michela Bianchini, Fabrizio Bozzetti; fotografia: Peter Zeitlinger; montaggio:Lorenzo Bianchini; musica: Donelly Vanessa interpreti: Pierre Richard, Iva Krajnc Bagola, Gioia Heinz,  Paolo Fagiolo, Alessandro Mizzi, Arthur Defays, Franko Korosec; produzione: Tucker Film, Rai Cinema; origine: Italia, 2021; durata: 102’; distribuzione: Tucker Film.

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