Paula di Florencia Wehbe al Festival di Giffoni

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Sono cinque adolescenti e la mdp si posa sul loro viso, una alla volta, finché poi non è la sigaretta e il profumo a divenire il filo conduttore del gruppo. Poi suona la campanella e si deve entrare a scuola perché la quotidianità continua, e il pomeriggio litighi con la madre perché ti ha comprato vestiti senza chiederti il permesso e la sera vuoi dimenticare la torta che hai appena mangiato, magari accovacciandoci sul cesso. È dopotutto difficile entrare in un vestito della sorella troppo stretto per te, è dopotutto difficile raccontare la mente di una quindicenne, ma Florencia Wehbe ci prova e con Paula porta il messaggio sullo schermo senza slanci tragici e con un’analisi attenta delle varie figure – reali o virtuali – nonché degli eventi semplici ma taglienti che dipingono l’habitat di una adolescente qualunque. No eccezionalità, sì universalità. Il lavoro è genuino e s’intravede la persona, Paula, e tutti, Noi.

Paula (Lucía Castro) abita in Argentina e frequenta una scuola cattolica. Con le sue amiche è in piena adolescenza e pensa sostanzialmente a due cose: divertirsi ed essere ammirata. Dalle proprie amiche, dai ragazzi, da chiunque. Nulla di eccessivo, anzi, il giusto. Crede di essere sempre sotto lo spotlight e perciò ogni dettaglio è amplificato, i pregi come i difetti, e con i difetti vuole giungere velocemente alla resa dei conti. Internet aiuta, gli amici e i consigli fumosi si moltiplicano, le distanze dalle vere amicizie si allungano, e un pensiero dominante prende piede: riuscire a essere come la propria sorella, poter indossare il suo vestito per essere come lei, come tutti. E quando alla fine ci si riesce? Forse iniziano in quel momento i problemi, o forse non si sono mai risolti del tutto e lì si svelano.

Florencia Wehbe presenta in concorso e in première europea al Giffoni Film Festival un lavoro intelligente, per vari motivi. Primo, perché racconta disturbi più comuni di quanto si pensi, bulimia e anoressia; secondo, perché lo fa attraverso una situazione comune, da borghesia media, con un contesto famigliare e sociale che potrebbe essere quello di chiunque o di nessuno; terzo, perché non grida le situazioni, ma ragiona secondo gli occhi di una adolescente, cercando quegli occhi. La mdp si schiaccia così sui volti, l’inquadratura rimane sempre stretta e claustrofobica, di conseguenza si rimarca la differenza tra la vita in famiglia, la vita scolastica e quella sociale, soprattutto le nottate in discoteca. Lì Paula si mostra e si sente guardata, lì le luci e la fotografia possono giocare tra tonalità forti brillantini trucco, lì Paula può sentirsi dire che è bella dal ragazzo della porta accanto e crederci veramente.

Con un cast di attrici alla prima prova (Lara Griboff, Julieta Montes, Tiziana Faleschini, Liz Correa, Lucía Castro), la regista e il drammaturgo Ricardo Ryser hanno cercato di rendere quel periodo unico che è l’adolescenza:

La pubertà e l’adolescenza sono un’età difficile, cambiamo molto. Ho guidato le ragazze nel percorso di costruzione del personaggio. Nessuno di loro aveva esperienza davanti alla cinepresa, quindi è stata una bella sfida. Le ragazze hanno anche dato molto ai loro personaggi e mi hanno aiutato a capire com’è essere un’adolescente oggi. È stato un lavoro molto personale, abbiamo parlato molto e hanno avuto l’opportunità di improvvisare in molte scene, il che ha portato molta freschezza al rapporto tra loro.

In quel periodo ogni evento è tanto sciocco quanto incisivo. Non esistono sospensioni in adolescenza, solo avvenimenti come ferite e mai si è così pronti a ricevere quelle ferite e a versarci lacrime, quelle finte glitterate, quelle vere che scivolano dagli occhi:

Possiamo ricordare molte pietre miliari della nostra vita con perfetta chiarezza: le nostre prime mestruazioni, il nostro primo bacio, un litigio o un incidente che abbiamo avuto. Situazioni o aneddoti che ci hanno fatto crescere o imparare. Ma qual è stato il momento esatto in cui abbiamo appreso che i nostri corpi non bastano? Quando il nostro aspetto è diventato così importante? Chi ci ha insegnato il concetto di bellezza, quali strumenti ha utilizzato?

Il lato sociale allora si aggroviglia con la virtualità e la possibilità di non sentirsi soli si mescola con l’alto mare e il mare moto dei commenti generalisti per cui tutti si è dietologi e “bere un bicchiere di acqua fredda annulla la fame” come alcune pillole prese nei momenti giusti della giornata permettono di non mangiare. Il rischio è quello di non essere alla fine accettati, il rischio è quello di non potersi accettare.

In attesa – ci si augura – di una distribuzione italiana, Paula è un film intelligente e comunque didascalico, che può essere un vantaggio quando si fa registrazione efficace della vita di una quindicenne, si fa invece svantaggio quando affievolisce i vari picchi climatici e non sprona la pellicola. Rimane un’analisi accurata dell’adolescenza e della bulimia, fatta senza grida o tragedia, e con un solo desiderio ipercontemporaneo: il sogno, continuo, di strapparsi la pelle. Strato per strato. Per non essere se stessi, per essere pienamente se stessi.

In anteprima europea al Giffoni Film Festival


Paularegia: Florencia Wehbe; soggetto e sceneggiatura: Florencia Wehbe; co-sceneggiatrice: Daniela De Francesco; interpreti: Lucía Castro, Lara Griboff, Julieta Montes, Tiziana Faleschini, Liz Correa; camera; Darío Mascambroni; scenografia: Julia Pesce; suono: Guido Deniro; musiche originali: Andrea Mangia aka Populous; montaggio: Damián Tetembaum; produzione: Bombilla Cine (Argentina),The Piranesi Experience (Italia); origine: Argentina-Italia, 2022; durata: 92’

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