Terrifier 3 di Damien Leone

Dal terzo capitolo di una serie horror che tra l’altro ne ha annunciato già un quarto in lavorazione, sarebbe lecito aspettarsi la riproposizione reiterata di una formula, un meccanismo, una messa in scena che confermi e amplifichi l’ affezione suscitata nel pubblico bramoso in egual misura di divertirsi e spaventarsi (o far innescare e intersecare senza soluzione di continuità queste due emozioni). Terrifier 3, ancora nella mani del suo regista/sceneggiatore/produttore/creatore Damien Leone, mantiene ed esaspera questa promessa, andando a toccare alcuni nervi scoperti di un tipo di racconto che continua a riproporre gli stilemi del genere slasher (un maniaco mascherato e indistruttibile, che si accanisce sadicamente e spietatamente  nei confronti di un gruppo di persone,  perlopiù  adolescenti o  ventenni di sesso prevalentemente femminile, utilizzando preferibilmente armi da taglio come oggetto privilegiato e maggiormente efficace per lo squartamento sistematico) diluiti- il film dura più di due ore – nella trama convenzionale di un family drama. Sopravvissuta al precedente massacro di Art the Clown (David Howard Thornton), il serial killer di Halloween che, come Michael Myers e Freddie Krueger, resuscita in continuazione dalle ceneri delle proprie carneficine e con  l’intervento di un’entità demonica, la protagonista Sienna (Lauren LaVera) va a passare il natale dalla sorella e dal cognato, ritrovando l’ adorata nipote, mentre il fratello più giovane, come lei scampato e rimasto traumatizzato nell’episodio numero 2,  è al college. Queste due situazioni simmetriche saranno la scena moltiplicata dell’ennesimo Grand Guignol che si sposta nel cuore di un’altra festività spesso utilizzata come teatro degli orrori, per via di un’implicazione basicamente inquietante: se Halloween contiene in sé, nei riti e nelle pantomime, l’aspetto terrorizzante che confonde e mescola le carte tra il gioco e la mattanza,  la ricorrenza natalizia ha bisogno di essere cambiata radicalmente di significato e di atmosfera . Un aspetto evidente fin dalla prima sequenza, dove Art The Clown, si introduce la sera della viglia in una casa allestita con tutti i più consueti addobbi e  simboli: l’albero, le corone di muschio, i biscotti di marzapane, i regali impacchettati e una bambina che sente i passi di quello che crede essere Babbo Natale sul tetto e lo aspetta scendere dalla cappa del camino.

Ma quello a cui assiste, e la prospettiva da cui guardiamo è principalmente la sua, non è la meraviglia dell’incontro fantasticato nelle fiabe o nelle leggende, bensì il trauma del massacro di madre, padre e fratello. Art the Clown fa letteralmente a pezzi, in maniera sprezzante e compiaciuta, la famiglia colta nel suo momento culturalmente e socialmente più edificante, unitario, celebrativo. Un prologo, girato avanti nel tempo rispetto agli eventi effettivamente narrati, nella  consueta struttura di andirivieni temporali della saga, e di cui talvolta non si capisce la necessità o il senso, che dà già il tono a quello che succederà o, appunto, è già successo. La dimensione sovrannaturale e satanica è questa volta più esplicita e presente e ha infatti uno spazio più esteso il personaggio di Vicky (Samantha Scaffidi), la ragazza a cui Art aveva divorato buona parte della faccia nel primo film rendendola una freak devastata nel corpo e nella psiche. Divenuta a sua volta un’assassina antropofaga, rivelerà di essere anche lei in uno stato di possessione da un Male ultraterreno , con tanto di pavimento che si apre sulla bocca dell’inferno, anche se la sottotrama che lega i due mostri  al defunto padre di Sienna, la quale ha ereditato dal genitore degli onirici poteri di preveggenza, risulta piuttosto forzata e attaccata all’alternarsi di uccisioni, alla ricerca dell’effetto più eccentrico e fantasioso su un piano visivo, per giustificare una progressione dei fatti. Per restare dentro il circuito di una distribuzione più vasta e fruibile, è chiaro che Leone ha dovuto cosi costruire una storia e dei caratteri di contorno e di supporto a torture e sventramenti, nonostante il nucleo più interessante e più atteso ruoti comunque intorno alla maniera  nella quale verrà rappresentato il prossimo omicidio.

Da questo punto di vista l’ormai franchising Terrifier possiede una crudeltà , una gratuità e una rozzezza che in qualche modo, pur di fronte talune volte all’annunciata e scontata conformazione al contesto, catturano e tengono viva l’attenzione. La suspense viene contraddetta, negata, prosciugata nel suo funzionamento elementare, che consiste nel suscitare l’attesa per qualcosa di terribile che potrebbe accadere ma che viene continuamente rimandato,  dalla fuga di un personaggio oppure, metafilmicamente, dal cut di montaggio che sostituisce il taglio dell’accetta; Leone e il suo ridanciano, diabolico e silenzioso villain non si preoccupano di far intendere e quello che promettono lo mettono immediatamente in pratica , accanendosi nell’esibire  perfino le icone tradizionali in disturbanti frantumazioni di membra e maschere (si veda la fine del povero anziano cristo di turno travestito da Babbo Natale che ha l’infausta sorte di incontrare Art e la sua furia iconoclasta). Non c’è il tempo di scappatoie o espedienti,  e anche Sienna, alla quale  viene affidato il peso specifico di essere l’antagonista del cattivo (sintesi e insieme upgrade della Laurie Strode carpenteriana, o delle Nancy e Sydney Prescott craveriane), subisce martellate e pugnalate che non seguono il procedere di uno scontro tra azione e reazione, ma esprimono un compiacimento, un’impazienza, un gesto di puro e perverso piacere del suo aguzzino. È un agire, quello di Art the clown, che spiazza i tempi dello slasher movie, anticipandone ed esponendone le conseguenze, pur avendo già ampliamente fatto capire allo spettatore sintonizzato per la terza volta su questo canale dove andrà a (s)parare. Indifferente oltretutto alla “poetica” dell’arma da taglio come richiederebbe il suo status, lo spregiudicato assassino utilizza  anche una pistola laddove la vittima è reticente o resistente a morire per dissanguamento. E non si tratta certo di pietas per diminuirne l’agonia, quanto, si diceva, di una fretta voluttuosa per passare allo stadio successivo, dove il corpo diventa cibo consumato in un orgiastico bagno di sangue dal sottotesto sessuale, in quanto la possessione, in particolare per la vorace Vicky, si manifesta fisiologicamente in una divorante oralità. L’altro elemento di interesse sta, per contrappasso, nella dicotomia delle due parti che si muovono parallelamente: le escursioni sanguinolente di Vicky e Art e l’ordinario, ma già turbato da visioni, mood domestico familiare di Sienna, in particolare nel rapporto di affetto e protezione con la nipote Gabbie. Quando si arriva alla spietata resa dei conti, l’aver creato, o aver tentato di creare visto che il risultato è troppo  smaccatamente e scopertamente meccanico e funzionale, un forma di empatia e di simpatia verso personaggi condannati ad un cruento accanimento,  produce una crepa, un fastidio, si potrebbe dire un perturbamento, per ciò che riconosciamo ma che è (tra) sfigurato in puro orrore e incubo a occhi iper aperti (come la testa di un padre premuroso e comprensivo impalata sopra un albero a mo’ di stella natalizia o una madre alla quale vengono infilati dei topi vivi attraverso un tubo conficcato in gola). Un’eccedenza che fa dimenticare temporaneamente la logorata e consumata logica del to be continued e del who’s next?

In sala dal 7 novembre 2024.


Terrifier 3 – Regia, sceneggiatura e montaggio: Damien Leone; fotografia: Geroge Steuber; musica: Paul Wiley; interpreti: David Howard Thornton, Lauren LaVera, Elliot Fullam, Samantha Scaffidi, Antonella Rose, Margareth Anne Florence, Bryce Johnson; produzione: Dark Age Cinema, Fuzz on the Lens Productions; origine: Stati Uniti, 2024; durata: 125 minuti; distribuzione: Midnight Factory (Plaion Pictures).

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