Abbiamo cinque giovani cadetti, cavie abbandonate, violente, pure ed innocenti, convinte che là fuori ci sia qualcosa di inaccettabile. Abbiamo un generale severo e brutale, responsabile dei cinque, li punisce e li educa a credere che là fuori ci sia qualcosa di inaccettabile. Abbiamo una legione di cadaveri, vittime della brutalità inconfessata delle milizie portoghesi, che sta emergendo dal sottosuolo. Abbiamo, infine, una prostituta, salvatrice, che guiderà i ragazzi verso un percorso di espiazione, presa di coscienza, e, infine, liberazione.
In anteprima italiana al Festival di Bellaria (sezione “Capitani coraggiosi”), Tommy Guns (in originale portoghese Nação Valente) è un film che sfugge alle definizioni di genere tradizionali. Non è un horror, né un war movie, poiché attinge da una varietà di generi differenti e li fonde in un originale linguaggio proprio. Mentre gli elementi horror evocano il cinema degli anni ’80, con costumi e trucco che ricordano il celebre videoclip di Michael Jackson Thriller, tali elementi vengono immersi ed integrati con altri codici cinematografici, prelevati dai film di Jacques Tourneur (I Walked with a Zombie, 1943) o Fritz Lang. Il risultato è un racconto visivo che non si limita a citare, ma che riformula costantemente i propri riferimenti visivi e pittorici. Il film si configura così come una strana creatura, decisamente atipica, che sfugge alla trappola citazionista dimostrando un’estrema attenzione a mantenere una certa distanza da rimandi estetici troppo riconoscibili e dichiarati.
Carlos Conceição ha lavorato attentamente a questo aspetto, assieme a Vasco Viana, il suo direttore della fotografia, con il quale collabora da quasi vent’anni. I due hanno riflettuto a lungo, tramite ripetute conversazioni, sull’immagine: Vasco ha cercato di assecondare ciò che Carlos faceva con la macchina da presa, ne è emerso un trattamento luminoso con accenti espressionisti, eppure discreto, non invasivo.
A livello strutturale e stilistico, l’opera si divide in tre parti: si apre con un prologo deliberatamente privo di narrazione, di relazione causa-effetto: Una scena di tenerezza intensa e sensuale tra un soldato portoghese e una ragazza appartenente a una tribù, viene brutalmente interrotta da un finale feroce, lasciandoci profondamente turbati ed incerti sul significato di ciò che abbiamo visto.
In questo senso, dice il regista, la struttura del film tende a replicare l’essenza della storia stessa: mentre essa avviene non è mai chiaro il significato degli accadimenti, che acquisiscono senso solamente in prospettiva, attraverso una distanza di 20-30 anni. A quel punto è possibile prenderli in esame, dargli un nome, e dedurre il giusto, l’ingiusto, il vero ed il falso, da ciò che, inizialmente, era solamente una suggestione.
La chiarezza della visione di Carlos Conceição si manifesta nelle due parti successive: un imponente portone verde, simbolicamente sigillato da due lucchetti, chiude, all’interno di uno spazio concettuale ed indefinito, un gruppo di soldati portoghesi. Nel frattempo, un passato intriso di sangue, con ricordi di omicidi e ingiustizie, emerge dal profondo della memoria.
I riferimenti alla guerra civile dell’Angola, che è scaturita dalla dichiarazione di indipendenza, e ai crimini commessi dal colonialismo portoghese, vengono rielaborati e trasformati in un racconto intriso di orrore e sconcerto, in cui l’assurdo e il razionale coesistono.
Conceição ha trascorso la sua esistenza tra l’Angola ed il Portogallo. Il suo film (in Concorso al Festival di Locarno 2022 dove si è aggiudicato il Premio Europa Cinemas Label) però, guarda più a quest’ultimo, ed alla profonda vergogna rappresentata dal suo passato colonialista, non ancora superato, né elaborato. Fu esattamente quando cadde il fascismo, nel 1974, che le ultime colonie conquistarono l’indipendenza, ma gli ultimi anni della presenza coloniale portoghese in Angola furono particolarmente sanguinosi. La guerra civile che seguì si protrasse fino al 2002 e portò via con sé più di mezzo milione di vittime. “È impossibile parlare del fascismo portoghese senza affrontare assieme anche l’argomento della decolonizzazione di paesi come il Mozambico, Angola, Capo Verde.” Dice il regista, che colloca Tommy Guns all’alba dell’indipendenza dell’Angola dal Portogallo, per parlare ad una coscienza collettiva. Una coscienza incapace di perdonarsi, e di guardare negli occhi l’orrore compiuto in un capitolo ancora troppo doloroso della propria storia.
“Mi perdonerai?” dice il giovane soldato rivolgendosi allo zombie del povero domestico angolano che uccise mentre tentava di fuggire.
La risposta dello zombie, che racchiude l’unica via possibile per l’espiazione e per il perdono, non ve la diciamo. Perché Tommy Guns è un film da vedere. Molto consigliato
Tommy Guns (Nação Valente) – Regia e sceneggiatura: Carlos Conceição; fotografia: Vasco Viana; montaggio: António Gonçalves; interpreti: João Arrais, Anabela Moreira, Gustavo Sumpta, Leonor Silveira, Miguel Amorim, Ivo Arroja, André Cabral, João Cachola, Vicente Gil, Diogo Nobre, Ulé Baldé, Sílvio Vieira, Meirinho Mendes; produzione: Terratreme Filmes; origine: Portogallo/Francia/Angola, 2022; durata: 120 minuti.