Non credo in niente di Alessandro Marzullo

  • Voto

Non credo in niente, opera prima del modenese Alessandro Marzullo, è sopra ogni cosa un ritratto impietoso e intrinseco della cosiddetta “Generazione Z”, ovvero i “nati tra i medio-tardi anni novanta del XX secolo e i primi anni 2010”, come ci informa puntualmente Wikipedia. Insomma la generazione degli attuali trentenni, che è stata fotografata ferocemente dall’ultima produzione letteraria del teorico della “società liquida”, Zygmunt Bauman; come ci comunica senza tanti giri di parole il regista del film, che con la sua “Flickmates” ne è anche co-produttore, inserendo in esergo una citazione del filosofo polacco: “Nella nostra epoca il mondo intorno a noi è tagliuzzato in frammenti scarsamente coordinati, mentre le nostre vite individuali sono frammentate in una successione di episodi mal collegati fra loro”.

E non stupisce che Marzullo (nessun legame di parentela con l’omonimo giornalista televisivo) lo faccia, dacché la citazione di Bauman egli la trasforma in una programmatica cifra stilistica, realizzando un “viaggio al termine della notte” della propria generazione, usando uno stile per l’appunto tagliuzzato e dichiaratamente scoordinato; nel quale insomma la forma rapsodica e deragliata della sceneggiatura (dello stesso regista), della fotografia (del notevole Kacper Zieba, che usa il Super 16mm DCP) e della musica (dell’ottimo Riccardo Amorese) funge da “correlativo oggettivo” del tema che, tra citazioni di Wikipedia e di Bauman, stiamo cercando di illustrare. Ovvero, in altre parole: il nichilismo smarrito e pulsionale di chi, per l’appunto, non crede più in niente, avendo ereditato un mondo in fiamme, zeppo di detriti ideologici, palingenesi fallimentari e passioni tristi.

Tale prolissa premessa ci pare tuttavia essenziale per giustificare anche certi limiti di questo film che possiede tutti i difetti di un’opera prima: una certa pedanteria nell’esibire il pantheon di padri putativi e numi tutelari, che in questo caso vanno, dichiaratamente, dalla poetica dell’improvvisazione di John Cassavetes all’estetica elegante e rarefatta dell’hongkonghese Wong Kar Wai; l’ingenuità autocompiaciuta di estenuare alcune stilizzazioni spudoratamente “arty”; l’ambizione faconda tipicamente giovanilistica di dire troppo e subito. Dicevo però che se questi evidenti limiti del film di Marzullo vengono letti nell’ottica che proponevo, ci appariranno meno imperdonabili. In altre parole, la mia sensazione è che egli non desideri qui fare un film sulle aporie della sua generazione ma intenda piuttosto fare di tali aporie la materia stessa (e la narrazione, la superficie, etc.) del suo film.

Un film che va comunque applaudito per l’eroismo rocambolesco col quale è stato realizzato: 12 notti nell’arco di 8 mesi, a partire dal settembre del 2020; con un budget molto ridotto, anzi ridottissimo: è costato meno di 200.000 euro, ed è stato scritto sulla pelle degli attori e prodotto in tempo reale girando in location individuate in progress. Presentato in anteprima il 23 giugno 2023 alla 59ª Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, è uscito nelle sale italiane il 28 settembre dello stesso anno, in pochissime copie. Adesso è in tour promozionale fino alla prossima estate, che è il motivo per cui ve ne stiamo parlando.

Il consiglio, nonostante le critiche di cui sopra, è di recarsi a vederlo, non appena lo si dovesse intercettare; per l’ottima ragione che si tratta di un debutto per molti versi superlativo, arrivato secondo al Ciak d’oro 2023 nella categoria miglior regista esordiente, subito dopo l’ottimo Palazzina Laf di Michele Riondino,. Un debutto che rischia moltissimo, si perde in qualche lungaggine artistoide, ma carpisce l’anima di qualche frammento non coordinato dei nostri tempi, di cui appunto parla Bauman. Tra hostess un po’ vacue, velleitarie eppure vitalissime; musicisti sfruttatati e votati a un precariato anche sentimentale; attori smarriti e malinconici (direi l’epitome del cuore del film); un meccanico recitato dall’emergente Gabriel Montesi; e un paninaro-filosofo a fare da fil-rouge: lo interpreta Lorenzo Lazzarini, che con Lorenzo Giovenga e Valentina Signorelli ha fondato la casa di produzione Daitona, cui va il nostro caloroso in bocca al lupo, per un coraggio visionario di cui il nostro cinema ha dannatamente bisogno.

In tour in Italia 


CREDITS & CAST

Non credo in niente Regia: Alessandro Marzullo; soggetto e sceneggiatura: Alessandro Marzullo; interpreti: Demetra Bellina, Giuseppe Cristiano, Renata Malinconico, Mario Russo, Lorenzo Lazzarini, Gabriel Montesi, Antonio Orlando, Jun Ichikawa; fotografia: Kacper Zieba; montaggio: Francesca Addonizio; musica: Riccardo Amorese; produzione: Daitona, Flickmates; origine: Italia, 2023; durata: 100’; distribuzione: Daitona.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *