C’era una volta in Bhutan di Pawo Choyning Dorji

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Nel 2006 alla televisione il re Jigme Singye Wangchuck, sovrano dal 1972 del Bhutan, annuncia la sua intenzione di abdicare: seguiranno le prime elezioni democratiche del paese in cui i cittadini dovranno esprimere il proprio volere attraverso il voto. Sono tutti preoccupati, soprattutto la grande parte di popolazione rurale che vive in villaggi incastonati tra le montagne dell’Himalaya. Per insegnare loro la modalità del voto, le autorità mandano dei funzionari a censire uomini e donne e ad organizzare una elezione fittizia, come esempio.

Nel villaggio di Ura alcune persone reagiscono a loro modo, sconvolte dallo scompiglio emotivo causato dal trovarsi a un passo da tale novità politica. Il lama Ap Penjor, in ritiro da anni nel suo monastero, chiede a Tashi, un giovane monaco che vive con lui, di procurargli delle armi perché bisogna rimettere a posto le cose, lui sa come. Mancano quattro giorni alla luna piena e il lama compirà un rituale religioso il giorno della luna piena.

Il film è scandito in quattro parti, le tre giornate che precedono il plenilunio e quella dell’evento. Una madre e una bambina, Tshomo e Phurba, vengono coinvolte nella organizzazione delle finte elezioni, ma il padre fa propaganda per uno dei tre candidati e questo crea problemi a scuola alla piccola.

Benji è un uomo evoluto che vive in città, ha una moglie in dialisi, ha problemi economici, è sotto osservazione da parte della polizia, si arrabatta per guadagnare. Ha incontrato un turista statunitense, il signor Ron, e gli sta facendo da guida in giro. L’americano è un collezionista di armi antiche, cerca da anni un fucile reduce da molte battaglie e finito sulle montagne Himalayane non si sa come (il lama Ap Penjor, che ne è in possesso, dice che ha ucciso molti tibetani durante la guerra).

L’accesso alla televisione e ad Internet appena concesso dalla monarchia imbambola grandi e bambini, ipnotizzati come davanti a una magia superba. Al baretto di fortuna lungo la strada tra due villaggi un piccolo apparecchio televisivo trasmette pezzi di film su James Bond: sparatorie, inseguimenti, esplosioni, fumo, fuoco, scintille, scoppi. La folla composta da bambini, passanti, tra cui Tashi in cerca di armi, ne resta stregata, la maggior parte convinta di vedere qualcosa di reale, non frutto di finzione cinematografica. Nella purezza di una vita ascetica, il monaco ordina un’acqua nera, bevendo per la prima volta una bottiglietta di coca cola.

Alle elezioni si può votare rosso, blu e giallo, scegliere ciò che può rendere più felice: il rosso per lo sviluppo industriale, il blu per la libertà e l’uguaglianza, il giallo per la conservazione. Dietro il seggio elettorale campeggia un poster incorniciato del re, vestito di giallo. Le elezioni finiscono col 95% dei consensi per il giallo, il colore del re: i funzionari statali non ci avevano pensato.

L’ingenuità con cui molti contadini dal viso segnato dalla vita all’aria aperta affrontano l’evento epocale corrisponde alla purezza d’animo necessaria a raggiungere il distacco dai beni terreni e tentare di accedere all’illuminazione, come nel cammino del Buddha. La propensione al bene, a farlo e riceverlo, e la convinzione di poter essere felici, come esseri umani, come popolazione e come nazione, è qualcosa che all’occhio occidentale risulta difficile da accettare: l’americano collezionista di armi si ritrova schiacciato dalla noncuranza e dal disprezzo del denaro che, in Buthan, nella nazione che ha introdotto il concetto di felicità nazionale lordo, alternativo al prodotto interno lordo (fondato su quattro pilastri: sviluppo socio-economico sostenibile ed equo, tutela ambientale, promozione e preservazione della cultura e buon governo), non tutto si può comprare con i dollari, la valuta più forte al mondo. Il signor Ron se ne andrà con in valigia un grosso fallo rosso di legno intarsiato: “I falli sono molto importanti nella nostra cultura, crediamo che ci aiutino a distruggere la dualità, avvicinandoci alla illuminazione”. Essere contro la violenza in ogni caso, questo il monito del buddismo.

Attraverso la semplicità dei gesti, la gentilezza di modi, i sorrisi aperti e gli sguardi puliti il film racconta un modo di vivere desueto e felice, pacifico e autentico in cui ci si domanda se insegnare a votare alle popolazioni rurali, l’essere democratici voglia dire essere moderni. Il lama anziano si chiede: È un insegnamento del Buddha? Come facciamo a essere sicuri che faccia bene per noi? Nessuno potrà rispondere a tale quesito, nemmeno un film. Dal 2008 il Bhutan è passato da una monarchia assoluta a una monarchia costituzionale.

In sala dal 30 aprile 2024


C’era una volta in Bhutan (titolo internazionale: The Monk and the Gun) –  Regia: Pawo Choyning Dorji; sceneggiatura: Pawo Choyning Dorji; fotografia: Jigme Tenzing; montaggio: Gu Hsiao-Yun; musica: Frederic Alvarez; interpreti: Tandin Wangchuk, Kelsang Choejey, Deki Lhamo, Pema Zangmo Sherpa, Harry Einholm; produzione: Dangphu Dingphu per A 3 Pigs Production, Films Boutique, Journey to the East Films, Tomson Films, Closer Media, Animandala, N8 Studios, Wooden Trailer Productions; origine: Taiwan/Francia/USA/ Hong Kong/ Bhutan, 2023; durata: 107 minuti; distribuzione: Officine Ubu.

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