40° Torino F.F.: Una giornata nell’archivio Piero Bottoni di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti (Fuori Concorso)

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Una valanga di detriti e macerie iniziano ad impastarsi. Troviamo schegge di bombe, pezzi di marmo, frammenti di statue classiche, giocattoli di legno frantumati, vestiti bruciati e tanto, molto altro ancora visto che inizia a formarsi una sorta di collina, un simbolo, un archetipo. Ad osservare e manovrare il tutto c’è lui, un architetto pronto a riconfigurare l’approccio alle cose modificando lo stato dell’arte e avendo con sé uno sguardo rivolto costantemente al futuro.

Piero Bottoni nasce a Milano e nella città meneghina consoliderà, per decenni, il suo genio e il suo sguardo. A trent’anni, in pieno regime fascista, comprende l’importanza di rivoluzionare architettonicamente l’idea di casa, abitazione. Dai suoi bozzetti, dai suoi disegni, iniziano ad emergere delle continue “crasi” tra l’ambiente e l’essere umano, una fusione che lo porterà a teorizzare e risolvere il problema delle grandi masse, di quel popolo che non ha bisogno del “popolare” viceversa del “democratico”. In una città in cui le classi agiate dominano la scena, ecco che le abitazioni per le masse create da Bottoni diventano simbolo di un nuovo passo in avanti di Milano e dell’Italia, con un design e un’attenzione ad uno spazio che diventa definitivamente urbano abbracciando le istanze esistenziali della “povera gente”. Il dopoguerra crea un traumatico spartiacque con più di trecentomila milanesi senza casa e il 15% del patrimonio edilizio completamente distrutto. Nominato commissario straordinario della Triennale quando ancora la terra trema e i palazzi bruciano, ecco che Bottoni, con il quartiere sperimentale QT8, “sorpassa” la storia creando una nuova fisiologia abitativa esorcizzando il trauma della guerra con il Monte Stella.  Su quella collina, di circa cento metri, si ammassano le tragedie e i sacrifici dei milanesi, si intravedono i calcinacci e gli oggetti di un tempo andato. Su quell’altura i milanesi potranno continuamente osservare la loro città e la forza di quel simbolo, naturale e artificiale al tempo stesso, in continua tensione evolutiva.

Il cortometraggio alterna, per circa trenta minuti di narrazione, immagini di repertorio, in cui scopriamo alcuni bozzetti, disegni, progetti architettonici del protagonista, a soluzioni di linguaggio differenti come la voce fuori campo dello stesso Bottoni che racconta la sua filosofia di lavoro o alcune interviste direttamente ai parenti del protagonista. Gli autori Martina Parenti e Massino D’Anolfi costruiscono le sequenze con un ritmo cadenzato, prestando molta attenzione alle parole, alla “poetica” del lavoro di Bottoni, da qui le didascalie che ci raccontano lo sguardo dell’architetto e la sua arte. La musica fa da cornice alle immagini e la fotografia alterna cromatismi freddi al bianco e nero richiamante il versante della memoria.

In questi giorni in cui la cronaca ha raccontato la tragedia di Ischia, ecco che al Festival di Torino arriva un omaggio ad un importante figura del Novecento italiano capace di far ripartire tutta una città colpita duramente. Quel concetto di democrazia, di spazi pensati e vissuti per l’essere umano e per la natura, diventano monito per un futuro urbano/architettonico virtuoso e non precario.


Una giornata nell’archivio Piero Bottoni; Regia: Massimo D’Anolfi, Martina Parenti; soggetto e sceneggiatura: Massimo D’Anolfi, Martina Parenti; produzione: Montgomery Film, Rai Cinema; origine: Italia 2022; durata: 35’.

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