Ada di Kira Kovalenko

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Dopo esser stato proiettato a Cannes nel 2021, dove ha vinto la sezione “Un certain regard”, e dopo aver rappresentato la Russia all’ultima edizione degli Oscar, esce in Italia Ada, il secondo lungometraggio della giovane e talentuosa regista Kira Kovalenko. Non solo dobbiamo rammaricarci per l’uscita a fine stagione che rischia di far passare praticamente sotto silenzio un film di livello, ma dobbiamo biasimare anche la scelta di un titolo che certamente sottolinea un dato incontrovertibile, ovvero la centralità dell’omonima protagonista femminile, un titolo che tuttavia nasconde quello che, per stessa ammissione della regista, è uno dei principali punti di riferimento. Ché il titolo letterale (e anche quello internazionale) del film è Unclenching the fists, ovvero “aprendo i pugni”  – e il riferimento è con tutta evidenza al film di esordio di Marco Bellocchio, I pugni in tasca.

Non ci troviamo nell’Appennino piacentino ma in Ossezia, più precisamente in Ossezia del Nord (il film è tutto parlato, appunto, in osseto), regione caucasica divisa fra la Russia e la Georgia. I più informati delle spesso turbolente vicende politiche, etniche, terroristiche legate alla Russia e all’ex Unione Sovietica ricorderanno l’Ossezia del Nord per la città di Beslan, dove nel 2004, in una scuola, ebbe luogo una strage, causata da separatisti ceceni, che causò la morte di più di 300 persone. Da quel poco che ci viene raccontato in merito al passato ma soprattutto da quel che ci viene mostrato (tante cicatrici), si capisce che Ada, la protagonista, è con ogni probabilità una sopravvissuta di quella strage.

Perché il riferimento a Marco Bellocchio? Perché il film racconta con la medesima ossessività del regista piacentino il carattere patologico delle costellazioni famigliari, la dipendenza, i ricatti, la famiglia come cosmo che lungi dal fornire protezione produce violenza fisica ma soprattutto morale e frustrazione. Ada è colei che più di ogni altro fa le spese di queste perverse dinamiche,  soprattutto per colpa del padre, un uomo che nel corso del film subisce un progressivo processo di degenerazione psichica fino a chiudersi in un completo mutismo, ma che fin quando è in grado di agire e di parlare tiene prigioniera la figlia (le ha sequestrato il passaporto): nel paesino, un tempo centro minerario, adesso largamente residuale, e nella casa, dove la ragazza oltre che di lui deve occuparsi del fratello affetto da un evidente deficit cognitivo. La promessa di felicità o quanto meno di fuga è rappresentato dal terzo fratello Akim e dalla sua moto che giunge in visita al paesello da Rostov dove vorrebbe condurre la sorella liberandola dal giogo della famiglia. Come se non bastasse: Ada è anche al centro della corte insistente di Tamik, un neanche troppo antipatico ragazzotto del luogo, al quale a un certo punto la ragazza si concede anche in una delle scene più tristi viste negli ultimi tempi (quanto a scene tristi il film, va detto, presenta proprio l’imbarazzo della scelta).

Non riveliamo la conclusione che pure apre uno spiraglio in questo scenario così desolante. Aggiungiamo, invece, che Kira Kovalenko, trentaduenne, cresciuta alla scuola di cinema di Sokurov e compagna di un altro regista talentuoso ossia Kantemir Balagov, è in possesso di uno stile molto preciso, con la macchina da presa che sta addosso ai corpi dei personaggi, in particolare della protagonista, lo sfondo, che pure molto ha contribuito a determinare ciò che i personaggi sono diventati, è spesso sfuocato, impreciso perché a Kovalenko interessa prima di tutto il presente, come stanno le cose adesso e non eziologicamente perché sono diventate così.

Dal 14 luglio in sala


Cast & Credits

Unclenching the Fists (Ada) – Regia: Kira Kovalenko; sceneggiatura: Kira Kovalenko; fotografia: Pavel Fomintsev; montaggio: Vincent Deveaux, Mukharam Kabulova; interpreti: Milana Aguzarova (Ada), Alik Karayev (il padre), Soslan Khugayev (Akim); produzione: Non-Stop-Production;  origine: Russia 2021; durata: 96′; distribuzione: Movies Inspired.

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