Helke Sander (classe 1937) è stata una figura eminente nel panorama culturale e sociale della Germania occidentale. Regista, scrittrice e attivista, Sander ha influenzato profondamente il movimento femminista tedesco a partire dagli anni ’60. Nata a Berlino, ha studiato recitazione e regia, sviluppando presto una sensibilità acuta per le questioni di genere e i diritti delle donne. Protagonista del Nuovo Cinema Tedesco, tra le sue opere più celebri si ricorda Die allseitig reduzierte Persönlichkeit – Redupers (1978) considerato un capolavoro del cinema femminista, con cui si offriva uno sguardo critico e personale sulla vita delle donne nella società occidentale contemporanea.
Oltre al suo lavoro nel cinema, Sander è stata una delle fondatrici del movimento femminista in Germania. Stiamo parlando di un’epoca molto diversa, dove non esisteva nulla del genere, l’importanza della sua figura nella lotta per l’uguaglianza di genere e la giustizia sociale è stata fondamentale.
Ma diciamolo subito, Helke Sander trova piuttosto riduttivo il termine “femminista” per quel che riguarda il suo cinema: come cittadina, sono femminista, come artista, faccio quello che mi pare.
La regista Claudia Richarz ha realizzato un lavoro eccellente, riuscendo nella complessa operazione di restituire, attraverso la forma, lo spirito della protagonista. Lo stile del documentario, sobrio e privo di stilizzazione, ricorda le opere della Sander cineasta, l’immagine, nel suo mostrarsi dimessa e priva di fronzoli si armonizza in maniera perfetta con le parole del racconto della protagonista. Helke racconta, appunto, mentre pulisce casa: mostra vecchi oggetti, vestiti, libri, e spiega: pulire casa ha molti significati, non è semplicemente sistemare oggetti, c’è una relazione trascendente nel gesto. La voce attuale si alterna a quella di una giovane Helke, mentre, durante comizi ed interviste esprime con lucidità e forza le idee che hanno costituito la base di tutto il movimento femminista tedesco dell’epoca.
Assieme agli interventi della Sander nei vari talk show dell’epoca, vengono mostrati spezzoni di vari suoi lavori, come il già ricordato Die allseitig reduzierte Persönlichkeit e poi i tv movie Das schwache Geschlecht muss stärker werden – Weibergeschichten (1970) e Eine Prämie für Irene (1971).
“Coloro che si reputano femministe esaminano ogni singolo problema o situazione per cercare di identificare le cause dell’oppressione sulla donna.” La Sander si muove in un mondo fatto da uomini che non paiono del tutto consapevoli dei meccanismi patriarcali che hanno introiettato, e dunque, si comportano senza malizia e senza fondamentalmente avere gli strumenti per capire in cosa consista l’oppressione della donna: il lavoro da fare è enorme.
Lo sguardo della Richarz, alla sua opera seconda, si volge anche alla vita privata della sua protagonista: la relazione con il figlio, i rimproveri che lui le muove a distanza di anni, di essere sempre stata emotivamente distante. I due, ormai anziani, paiono avere entrambi trovato una serenità, li vediamo mentre conversano pacatamente passeggiando lungo la spiaggia.
Andrebbe rivisto più e più volte questo documentario, la Sander articola un pensiero che ancora non era stato formulato pubblicamente nella sua chiarezza, e grazie al quale oggi, è evidente, si è potuto costruire un modello di società migliore. Durante gli incontri e le conferenze, tende continuamente ad includere il maschile nel dialogo: gli uomini si interrogano e riescono a giungere a conclusioni autonomamente, sono chiamati a partecipare al discorso più come agenti investiti di responsabilità, piuttosto che come rappresentanti del patriarcato e quindi simbolo portatore di colpa atavica. Anche se la Sander implicitamente ammette di essere annoiata dal tipo di uomo dell’epoca, che ha ancora troppo potentemente introiettato un modello patriarcale per stare al passo con il discorso progressista della regista.
La parte finale contiene estratti del cupo e controverso BeFreier und BeFreite (1992), che riferisce gli stupri da parte di soldati russi avvenuti alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Molte delle donne che condividono la loro storia con la regista, sono rimaste in silenzio per 46 anni. Sander non incontra solo le vittime. Alla ricerca delle motivazioni dei perpetratori, si reca in Russia per rintracciare alcuni di coloro che erano direttamente o indirettamente coinvolti. Gli uomini che incontra spesso giustificano il loro comportamento. Pieno di immagini storiche spesso inquietanti, il documentario esplora un abisso: esamina la vergogna, la cultura del silenzio, gli aspetti politici e la mancanza di giustizia.
Ed è proprio ricordando quel lavoro che la stessa Sander rivela di essere stata, anche lei, come quasi tutte le donne della sua generazione, vittima di stupro, nel suo caso però, da parte di un membro del Living Theater. Proprio così, non tra i soldati, ma anche tra quegli attori animati da ideali antimilitaristi, che propagandavano la nonviolenza assumendo atteggiamenti provocatori, si era insinuato un elemento di violenta oppressione.
Va sottolineato che ancora oggi, lo stupro, come atto, mantiene una forte connotazione politica e metaforica. Un esempio ce lo offre il linguaggio politico bellico russo, ricco di metafore sessuali: Alexander Arutynov, veterano delle forze speciali, si è rivolto a Putin con questa domanda: “caro Vladimirovic, deciditi per favore, siamo in guerra o ci stiamo masturbando? Dobbiamo finirla con questa menata a secco.” In altre parole, “Basta seghe, violentiamo l’Ucraina.”
Lo stesso termine “femminicidio” dovrebbe essere usato con un significato politico, mentre viene sin troppo spesso utilizzato in maniera impropria, privandolo della forza di denuncia che lo rendeva necessario. Anche se potrebbe sembrare il contrario, viviamo in un’epoca in cui gli stereotipi sono più radicati che mai. I principi del discorso di Helke Sanders hanno dato vita a prodotti culturali che lei stessa osserva con scetticismo.
Non a caso, davanti ad una platea dei giorni nostri la regista ha affermato: “il movimento gender ha depoliticizzato il femminismo, oggi sono arrivati degli esperti che hanno messo gli asterischi, non sono tanto ottimista per il futuro”, opinione discutibile forse, ma che invita tutti noi a riflettere su cosa stia veramente alla base della questione.
In passato, il femminismo come movimento politico offriva alle donne la possibilità di cercare un posto nella società che rispondesse alle loro esigenze. Oggi, questa ricerca di autodeterminazione è diventata un conflitto interiorizzato, provocando una reazione di confusione, odio, e paura, che impedisce il dialogo tra il maschile ed il femminile.
La famosa frase di Simone de Beauvoir “Donne non si nasce, lo si diventa” spesso decontestualizzata e fraintesa, va riportata per intero per essere compresa: “Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà ad elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna”.
Alcune derive del femminismo odierno tendono a focalizzarsi su dettagli sin troppo superficiali che non considerano le sfumature con le quali va definito il maschilismo. Gli uomini di oggi si trovano spesso a dover mettere in discussione la propria galanteria, indipendentemente dalle modalità con cui si esprime. È paradossale che il dialogo fosse più incoraggiato in passato, mentre ora, in un’epoca di presunta inclusività, il femminismo populista sembra rifiutare la prospettiva maschile. Non è il gesto in sé, ma lo spirito e l’intenzione con cui viene compiuto a definirne il significato. La cavalleria viene demonizzata, mentre altri atteggiamenti politicamente corretti ma portatori di significati ben più opprimenti vengono ammessi.
Pensi che essere un uomo sia un problema politico? Chiedeva la Sander nel suo doc. tv Die Deutschen und ihre Männer – Bericht aus Bonn (1989). Questa domanda, oggi attuale più che mai, dovrebbe essere il punto di partenza dal quale (ri)cominciare a riflettere.
Helke Sander- Cleaning House- Regia e sceneggiatura: Claudia Richarz ; fotografia: Claudia Richarz, Martin Gressmann, Volker Sattel; montaggio: Martin Kayser-Landwehr, Magdolna Rokob; Suono: Manja Ebert, Shinya Kitamura, César Fernándes; Musica: Kai Richarz, Milan von der Gracht; interpreti: Helke Sander, Silvo Lahtela, Mahsa Asgari, Dorna Dibaj, Achim Lengerer, Janine Sack, Thomas Schreiber, Gesine Strempel; produzione Claudia Richarz Film, Carl-Ludwig Rettinger per Lichtblick Film; origine: Germania, 2023 ; durata: 82 minuti.
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