Biografilm XX° Edizione (Bologna, 7-17 giugno):  Il piano segreto di Ruben Monterosso e Federico Savonitto (Art & Music)

Ci sono due strade da poter percorrere nel momento in cui si sceglie di raccontare la storia di un personaggio non immediatamente riconosciuto e riconoscibile, ma che ha lasciato un segno preciso, potente, radicato da un punto di vista esistenziale, culturale e sociale: l’approccio frontale della kermesse di interviste che, tra la progressione della modalità aneddotica e la puntualità della riflessione critica, costruisce un ritratto il più possibile esaustivo e sfaccettato (con il rischio costante di un didascalismo un po’ illustrativo ed enunciativo); e una seconda modalità , ben più rischiosa, che spiazza qualsiasi aspettativa e propone altresì un’inedita esperienza percettiva e speculativa; i contorni meno definiti di una suggestione dentro la quale lo spettatore è parte attiva di un processo e non passivo fruitore di una serie di informazioni, magari spesso non decifrabili nella loro complessità, se non si è già in possesso di determinate conoscenze. Ruben Monterosso e Federico Savonitto, autori de Il piano segreto, scelgono di seguire quest’ultimo approccio nel presentare la figura di Michele Perriera (1937-2010), intellettuale e scrittore, regista e drammaturgo teatrale, tra le personalità artistiche più rilevanti e dense della bruciante scena palermitana della seconda metà del 900 ( fu tra i fondatori del movimento letterario di neoavanguardia  Gruppo ’63). Fin dal bellissimo incipit si è calati nell’atmosfera avvolgente e ipnotica di un fumo quasi cechoviano, che potrebbe essere quello delle sigarette, di un effetto scenico o prodotto dal calore dei riflettori che si scaldano; la scena è quella di un palcoscenico e di una platea vuota, mentre una voce off, che recita un testo di cui non è dato ancora sapere la provenienza e l’appartenenza, dice che il teatro è un luogo nel quale si va in profondità, nelle viscere, sotto terra , per “disseppellire le maschere della verità sepolte dalla storia”. Uno spazio/tempo non di celebrazione o affabulazione, ma di un’azione destabilizzante la convenzione drammaturgica e di un gesto liberatorio e creativo nei  confronti dell’imposizione/prevaricazione di una realtà emersa,  omologata e controllata, sovvertibile solo dalla radicalità di una dostoevskijana memoria del sottosuolo.

Ma Perriera, scomparso nel 2010, non è ridotto ne a una presentazione dei fatti della sua vita, né ad un ricordo in cerca di musealizzazione o di archiviazione; è una presenza vibrante e in progress, più che mai attuale quando il film è stato girato, in quel asfittico e mortifero 2020 di pandemia e reclusione, qualcosa che ha spazzato via la circostanza di qualsiasi ricorrenza o anniversario ( si trattava del decennale della morte). Monterosso e Savonitto seguono infatti le prove per le rappresentazioni di alcuni testi di Perriera curate dai figli Gianfranco e Giuditta e da suoi celebri allievi come Savino Genovese ed Emma Dante, immersi nella condivisione di una pratica immanente e continuativa del teatro, e nella sua forma di militanza poetica e politica. Un’ esperienza, si diceva, della quale si vuole offrire una restituzione che è anche un’opportunità di elaborazione in itinere del presente,  venuto ai minimi termini con le conseguenze di un recentissimo passato che si estenderanno probabilmente anche ad un prossimo futuro. E in questa spirale di coniugazioni a incastro contenenti previsioni, intuizioni e avvertimenti, le opere dell’autore palermitano ne sono la vivida e lucida manifestazioni, con alcune sue pièce, come ad esempio Buon appetito di cui Genovese stava mettendo in scena un allestimento prima della chiusura totale, espressione di una visione distopica e critica della realtà: il contagio, la malattia e il relativo isolamento sono dunque il pretesto o, appunto, l’epifania apicale nella superficie di arma di distrazione/distruzione di massa, di un piano segreto mirato a mantenere il potere di un perenne status quo emergenziale. I registi sono però attenti a non forzare l’aspetto polemico più impattante del pensiero di Perriera, restando da una parte attaccati a questo farsi e disfarsi di prove, performance, rappresentazioni destrutturate per necessità nella struttura frammenta e monologante della ripresa video, dall’altra mantenendo perfino una qualche aura  di mistero, di tratto indecifrabile, di sfuggente slittamento semantico di fronte alla facile riducibilità in tratti paranoici o complottistici.

Dal punto di vista dell’archivio Michele rimane filmato dentro un  repertorio ( dove transitano anche spezzoni dei suoi spettacoli),  ma è ancora più evocativo e toccante il tratto della grafia con la quale scriveva documenti, lettere, testi di proprio pugno e che Giuditta, in un dialogo post litteram con il padre, tira letteralmente fuori dai cassetti di una memoria che ha il peso tangibile e testimoniale del gesto. Prevale il resoconto fenomenologico di un’esistenza trascorsa in mezzo alle persone e il cui lascito non può essere che collettivo e condiviso, amplificato dalla voce di un megafono/manifestazione nel quale Emma Dante ammonisce sul non lasciarsi travolgere da un contagio altrettanto pericoloso, quella della regressione all’ignoranza, della resa depressiva all’isolamento e alla distanza comunicativa, della privazione di una prospettiva valoriale e progettuale in un momento in cui l’arte e la cultura sono trattate come gli strumenti più vietati e penalizzati nel rischio di circolazione del virus. E la presenza di un’ altra straordinaria figura come Letizia Battaglia, che fu anch’essa allieva e testimone della radicale attività sul territorio di Perriera, aggiunge anche l’importanza della dimensione comunitaria all’interno della quale l’attività teatrale è in tutti i  sensi attività politica; la presa in carico una cittadinanza attiva e di un’opportunità di inclusione, prima che quest’ultimo termine assumesse il carico del dovere e non la pulsione del desiderio, l’ affermazione di un modello precostituito e non la spontanea adesione dal basso, in uno spirito veramente rivoluzionario e consapevole.

E la stessa morte della fotografa siciliana, che avviene durante le riprese (rimarranno probabilmente gli ultimi suoi interventi in video) , non viene percepita come evento luttuoso, non spengono la forza e l’intensità di un flusso che si esprime nella foga e nel trasporto con cui il violoncellista Giovanni Sollima, che aveva collaborato anche con Perriera, suona al suo funerale. C’è un collettivo fatto carnalmente e affettivamente di corpi e voci aldilà e al di qua della scena che, pur nelle distanze di sicurezza e nei segnali acustici dei termometri elettronici che annunciano la registrata temperatura, vogliono esserci in un paesaggio dove, sulle macerie dello svuotamento da parte della figura umana ( ricorrono immagini di luoghi abbandonati sempre più confinanti con una natura che riprende ad occupare lo spazio urbanizzato), è possibile ricostruire e ridefinire il proprio posizionamento.

Il perpetuo movimento di opposizione a e di non collusione con un sistema al quale Perriera non ha mai chiesto di essere riconosciuto e riconoscibile, se non  in quanto controcampo non pacificato sulle ferite e le contraddizioni di un mondo troppo spesso senza pietà.


Il piano segreto – Regia, sceneggiatura e fotografia: Ruben Monterosso e Federico Savonitto; montaggio: Matteo Gherardini;  musiche: Pietro Palazzo, Giovanni Sollima; voce narrante: Umberto Cantone  con Giuditta Perriera, Savino Genovese, Gianfranco Perriera, Emma Dante, Letizia Battaglia; produzione: Daniele Modina e Pierfrancesco Li Donni; durata: 92 minuti ; origine: Italia, 2024.

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