Deserto particular di Aly Muritiba

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Non avevamo mai sentito parlare del quarantaduenne regista brasiliano Aly Muritiba, molto celebre in patria dove ha ricevuto un gran bel po’ di premi, con alle spalle una ricca produzione cinematografica e televisiva. Piano piano Muritiba si sta affermando anche fuori dal Brasile, il suo ultimo lungometraggio Ferrugem (alle lettera: Ruggine), risalente al 2018 era stato presentato ed elogiato a Sundance e aveva anche conosciuto un breve passaggio al Giffoni Film Festival. A giudicare da questo Deserto particular, presentato in anteprima nella selezione veneziana delle Giornate degli Autori 2021, possiamo a ragion veduta affermare che si tratta di un autore di tutto rilievo, capace di raccontare una vicenda delicata senza (quasi) mai scadere nel patetico, riprendendo e variando almeno due importanti generi della storia del cinema mondiale e anche sapendo fornire un quadro plausibile del proprio paese e delle sue contraddizioni fra modernità e atavismo.

Daniel (Antonio Saboia) lavora come poliziotto a Curitiba, nel sud del paese, ma è stato sospeso per un episodio che nel corso del film non verrà mai del tutto chiarito, a quanto pare, ha aggredito pesantemente una recluta durante un addestramento, un procedimento penale pende sulla sua testa. Non si può dire che il resto della sua vita brilli in modo particolare: vive con il padre che si aggira in uno stato pressoché vegetale, salvo improvvise accensioni, la più inquietante e significativa delle quali resta una breve scena in cui si veste di tutto punto con la sua divisa militare armeggiando una pistola, il figlio del resto lo apostrofa continuamente con l’appellativo “Comandante!”, un dettaglio, questo, che molto dice sulle imposizioni superegoiche in cui è cresciuto il figlio e, chissà, forse anche della carriera professionale abbracciata. Anche il rapporto con la sorella più giovane, pur qua e là tenero e disincantato, non sembra del tutto risolto. E poi c’è Sara, la donna con cui Daniel ha una relazione virtuale che vive in una città all’altro capo del paese, con cui chatta, con cui scambia foto anche molto osé. Che però a un certo punto smette di farsi viva, la goccia che fa definitivamente saltare il precario equilibrio dell’uomo. Solo dopo questo lungo prologo di una trentina di minuti compaiono i titoli di testa, sulle immagini di Daniel che prende il suo pick-up e decide di attraversare il paese alla ricerca di Sara. Una mezz’ora fatta di un linguaggio cinematografico, preciso e allusivo al tempo stesso, con una descrizione – che resterà per tutto il film – notevolissima degli interni di cui ti sembra di sentire l’odore, con la capacità di definire attraverso pochissimi gesti e pochissime parole la relazione fra le persone, estremo equilibrio, grande parsimonia, in altre parole: scrittura.

Dopo questa prima mezz’ora ha inizio il road movie (è questo il primo genere a cui il film intende con tutta evidenza richiamarsi), ovvero l’attraversamento del paese, dalla città alla campagna, dal sud al nord, anche passando per zone davvero desertiche (anche se il deserto, di cui al titolo, è prevalentemente un altro, privato appunto, che appare necessario attraversare). Come tutti i road movie che si rispettano anche il viaggio compiuto in questo film è un viaggio dell’anima, un viaggio dolorosissimo alla conoscenza di sé. È quanto comincia ad accadere, quando apparentemente arrivato alla meta, ovvero nella cittadina di Sobradinho, celebre per una gigantesca diga sul Rio san Francisco,  nel Nord-Est del paese (a tremila chilometri di distanza) si mette in cerca di Sara, scoprendo che Sara non è Sara, o meglio non è solo Sara, ma è (anche) Robson (Pedro Fasanaro), un ragazzo che nella sua identità social ha assunto fattezze femminili.

Qui, con estrema nonchalance, il film sposta il suo punto di vista privilegiato sul co-protagonista, raccontando con la medesima delicatezza e attenzione ai particolari la vita quotidiana del ragazzo che lavora ai mercati generali, che ha un amico e confidente gay (interpretato dall’ottimo Thomas Aquino), capace di dichiarare fino in fondo la propria diversità, e una nonna a cui è stato affidato il compito di “guarire” Robson, che gli impone la frequentazione di una comunità protestante ortodossa, gestita da un pastore tremendo che evoca a ogni piè sospinto la presenza del diavolo. Un mondo terribile e retrivo che bisogna saper raccontare, e Muritiba lo sa fare, eccome. Ma non raccontiamo come va a finire la vicenda, visto che il film adesso, se pur in ritardo, circolerà anche nel nostro paese, cosa che assolutamente merita.

Ricordiamo solo che nella seconda parte il film si trasforma in un melodramma a tutti gli effetti, e lo diventa per entrambi i personaggi. Per Daniel il conflitto consisterà nel decidere se amare Sara/Robson, anche venendo a patti con la propria introiettata idea di mascolinità oppure no. Per Robson ci sarà anche da affrontare la componente religiosa: obbligato dal pastore ad avere un incontro con un altro sacerdote che dovrebbe, di nuovo, aiutarlo a “guarire”, Robson si sente dire che la felicità e la salvezza non vanno quasi mai insieme. Nel descrivere questi conflitti autenticamente melodrammatici Muritiba dimostra un rispetto assoluto nei confronti dei suoi due protagonisti, ricorrendo a una regia empatica e utilizzando alla perfezione la colonna sonora in portoghese e in inglese (alla fine sentiamo pure Total Eclipse of the Heart di Bonnie Tyler che riassume plasticamente i conflitti dei protagonisti). Gran bel film.

In sala dall’11 gennaio 2023


Cast & Credits

Deserto Particular – Regia : Aly Muritiba; sceneggiatura: Aly Muritiba, Henrique Dos Santos; fotografia: Luis Armando Arteaga; montaggio: Patricia Saramago; interpreti: Antonio Saboia (Daniel), Pedro Fasanaro (Sara/Robson); produzione: Grafo Audiovisual, Muritiba Films, Fado Filmes; origine: Brasile/Portogallo, 2021 ; durata: 120 minuti; distribuzione: Cineclub Internazionale.

 

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