Aude Léa Rapin, a cinque anni da Heroes don’ t lie, suo primo lungometraggio – che risente molto del suo passato come fotografa e videomaker nelle zone di guerra- presentato alla “Semaine de la Critique” al Festival di Cannes nel 2019, torna dietro la macchina da presa con Planet B, un thriller distopico al femminile ambientato in Francia in un futuro non troppo lontano, nel 2039.
Il film di Rapin ha aperto ufficialmente le danze della Settimana Internazionale della Critica di quest’anno.
La regista francese, che in passato ha appunto realizzato tre documentari pluripremiati sul conflitto nei Balcani, sembra non essersi ancora liberata dai fantasmi di quegli orrori, che tornano prepotentemente negli incubi continui dei protagonisti di questo film, nei loro sguardi vuoti ma pieni di paura, nelle strade deserte di una città senza vita, Grenoble.
L’incubo metropolitano che ci presenta Rapin è un labirinto digitale in cui i protagonisti sono svuotati, inumani, pedine controllate da un sistema invisibile ma onnipotente. Ed è proprio a Grenoble dove inizialmente seguiamo un gruppo di attivisti – li chiamano terroristi – che si nascondono tra le strade cittadine notturne: tra loro c’è Julia Bombarth (Adèle Exarchopoulos), che, seguita dalle forze dell’ordine, viene colpita ad un occhio e cade a terra.
Quando si risveglia lo scenario cambia completamente: Julia si trova in riva al mare e per poco in un luogo idilliaco e con una B incisa sulla tempia.
Il senso di pace, però, dura poco.
Julia non è sola e il posto è pieno di insidie, regolato da parametri apparentemente incomprensibili, non visibili nell’immediato.
Il pianeta B, infatti, è una prigione “virtuale” dalla quale è impossibile fuggire, i malcapitati non muoiono mai ma sono costretti a soffrire in eterno, sospesi tra momenti di relativa serenità e veri propri incubi a occhi aperti pieni di sangue, acciacchi e dolore.
L’unica speranza di fuga è Nour, (S. Yacoub) capace, grazie a uno speciale visore, di padroneggiare le due dimensioni (quella fisica e quella virtuale) restando invisibile alle autorità.
Inquietante e ansiogeno fino a risultare sofficante, l’ intreccio del film si snoda su due binari paralleli: la città che mostra solo il suo volto notturno e il pianeta b virtuale, che alterna la luce del giorno e della splendida costa, con le torture subite dai protagonisti, intrappolati in una sorta di videogioco dell’orrore.
A metà strada tra The road ( John Hillcoat, 2009) e un episodio della serie distopica Black Mirror, Planet B, migliore nelle premesse che nella realizzazione, è un chiaro prodotto delle ossessioni sociofobiche esplose con la pandemia del 2020 e rielaborate sullo schermo in immagini cupe e senza speranza, con un codice di fantascienza soffocante e claustrofobico.
Per restituire al pubblico un’ atmosfera cupa, la regista gioca in continuazione di contrasti, fotografici e dimensionali. E crea un atmosfera tesa e ansiogena, in cui i prigionieri sono costretti tra le non amene mura di uno spazio di cui non sono padroni, di cui non conoscono i confini, i limiti e le regole.
Rapin, pur partendo da un immaginario sci-fi non nuovo, rintraccia di continuo similitudini e connessioni con il nostro presente traducendole in riflessioni sul sistema socio-politico ansiogeno e distruttivo in cui le proteste di chi non si arrende al silenzio sono soffocate con l’eliminazione sociale e l’intelligenza artificiale cancella ogni tentativo di dialogo e di realtà comunicativa.
Planet B, che tratteggia un’umanità persa e senza speranza, parte da ottime premesse e da spunti riflessivi profondamente attuali, così, pur perdendo d’ intensità con il procedere dell’intreccio, è comunque capace di tratteggiare un immaginario distopico incerto, scoraggiante e connesso con le inquietudini del nostro presente.
Drammaticamente attuale.
Planete B – Regia e sceneggiatura: Aude Léa Rapin; fotografia: Jeanne Lapoirie; montaggio: Gabrielle Stemmer; musica: Bertrand Bonello; interpreti:Adèle Exarchopoulos, Souheila Yacoub, Eliane Umuhire, India Hair; produzione: Eve Robin ( Les Films Du Bal), Benoit Roland ( Wrong Men); origine: Francia, Belgio, 2024; durata: 119 minuti.