House of Gucci, l’ultimo film di Ridley Scott, in maniera molto, estremamente evidente ci pone subito (o comunque lo ha posto a chi qui scrive) un essenziale anche se insolubile quesito teorico: il cinema è il cinema o invece il cinema è o si deve avvicinare alla realtà? Detto in soldoni, il verosimile filmico può e/o deve violentare la realtà storica?
Ma per uscire dal generico e fare un esempio pratico, molti sanno (o possono sapere, leggendo facilmente sul web e dintorni) che l’imprenditore italiano Maurizio Gucci (interpretato nel film da un Adam Driver sempre molto efficace) è stato ucciso a Milano nel marzo 1995 da un sicario in via Palestro. E altrettanti abitanti di Roma, vedendo il film ispirato alle vicende della nota famiglia della moda italiana, riconosceranno senza grandi difficoltà il quartiere Coppedè dove invece è stata ambientata la sequenza nel film di Scott.
Poca cosa, una sciocchezza, si potrà rispondere, in confronto alla enorme, stragrande maggioranza del pubblico internazionale che non farà mai caso a un “piccolo” dettaglio come questo. Ma di dettagli o meglio erroretti simili ci sembra pieno House of Gucci, a partire dal consueto modo come noi italiani veniamo visti e trattati dai film mainstream di Hollywood, pieni zeppi di simpatici cliché immarcescibili. Pazienza si aggiungerà, fa parte del gioco e in più il film in questione è tratto e sceneggiato a partire da un bestseller americano del 2002 The House of Gucci: A Sensational Story of Murder, Madness, Glamour, and Greed, scritto dalla giornalista Sara Gay Forden e adesso disponibile anche in italiano per i tipi della Garzanti in occasione dell’uscita del film. Che ovviamente non è piaciuto alla famiglia degli stilisti toscani, i quali hanno fatto fuoco e fiamme per impedire di farlo uscire.
Tutto ciò non è la premessa per una stroncatura ma solo per acquisire le coordinate di base con cui affrontare questa saga in pretto stile Padrino che il grande regista inglese alla ragguardevole età di 84 appena compiuti, ci ha approntato.
Per i pochi marziani che non lo sapessero, si narra una storia familiare e aziendale nell’arco di circa due decenni, dal primo incontro tra uno sprovveduto Maurizio, giovane e timido rampollo della casata degli stilisti, con la vulcanica Patrizia Reggiani (Lady Gaga, molto brava), sino alla morte dell’uomo e le sue conseguenze. In un alternarsi di fatti pubblici e privati, tra Milano, la Svizzera e New York la vicenda segue più o meno le vicende di una coppia in altalena tra amore e odio, oltre alle alterne fortune dell’azienda – quindi tra fama, genialità, momenti difficili e sofferenze insieme a tutti gli intrighi del caso sino al tragico epilogo di cui si è detto. Com’è noto, la Reggiani, è quella che si definirebbe – e qui mi perdonino le lettrici e lettori più sensibili al lessico politicamente corretto – una “buzzicona ripulita”, dal caratterino altamente deciso ma molto vendicativo, tanto da diventare socialmente pericolosa. Infatti, una volta costretta a divorziare è diventata, mossa da una cieca gelosia, la mandante dell’omicidio dell’ex marito. Per la cronaca ai più giovani: condannata nel novembre 1998 (quindi fuori dall’arco temporale del film) a 29 anni di carcere, ridotti poi a 26 in appello, la donna, definita spesso dalla stampa una “Vedova Nera”, ha tentato il suicidio in prigione ma dal 2017 è tornata in libertà per buona condotta.
Ma veniamo a come il film racconta questa storiona/storiaccia. A noi sembra che parta malissimo, dato che i vari passaggi psicologici dei personaggi vengono bellamente saltati, per esempio come da un timido e innamorato Maurizio studente di giurisprudenza si passi ad un abile e spregiudicato imprenditore di successo; oppure come mai i due coniugi si lascino e tante altre dinamiche che vengono espunte e lasciate all’immaginazione dello spettatore.
Ma al di là di tutti passaggi di sceneggiatura, la struttura narrativa sembra piuttosto quella della soap tv, dove gli attori sono lasciati a ricamare sul loro ruolo per suscitare emozioni dentro un plot che non creano loro stessi con la recitazione. Jeremy Irons è un algido padre Rodolfo Gucci che non capisce il figlio e solo lo ostacola ; Al Pacino “pacineggia” alla grande nella parte di Aldo, il fratello di Rodolfo, che è il vero motore del successo, almeno iniziale, dell’azienda; Jared Leto supera tutti in gigioneria nella parte del cugino di Maurizio, Paolo una sorta di scemo di famiglia; Salma Hayek nel ruolo della televenditrice e indovina Pina Auriemma ha destato qualche risatina in sala alla sua apparizione, ecc. ecc.
E poi il mischione, nella versione originale, tra inglese puro e slang italo-americano “padrinesco” e a volte battute in italiano di sottofondo in una logica che a me non sembra molto chiara. Paradossalmente sarebbe forse consigliabile – e lo diciamo da cinefili ultraconvinti e perciò controvoglia – vederlo doppiato nella nostra lingua per evitare questo involontario effetto di straniamento.
Non volevamo fare, come anticipato all’inizio, una stroncatura ed infatti soprattutto nella seconda parte quando House of Gucci diventa un buon melodramma classico, le cose vanno sicuramente meglio. Sempre molto ben recitato dalla coppia Lady Gaga/Adam Driver (e ciò attirerà molti fan che non andranno delusi), il film acquista corpo e risulta “very entertaining” così che alla fine non ne siamo usciti con quella sgradevole sensazione di aver buttato 150 minuti della nostra vita. E poi ci sono delle battute di questa telenovela griffata Gucci che potrebbero diventare il tormentone di Natale 2021 – tipo, ad esempio, quella in cui Al Pacino definendo il figlio Paolo un “idiota”, aggiunge: “ma è il mio idiota”.
Comunque, e a essere sinceri, dato che è appena uscito di programmazione l’ottimo e molto migliore The Last Duel non possiamo non fare, per concludere, una constatazione: Sir Ridley Scott ci appare molto più a suo agio raccontando la Francia del passato piuttosto che non il nostro paese. Non a caso aveva iniziato ormai quasi mezzo secolo fa la sua carriera con I duellanti (The Duellists, 1977), basato sull’omonimo racconto di Joseph Conrad e ambientato in epoca napoleonica.
In sala dal 15 dicembre
Cast & Credits
House of Gucci – Regia: Ridley Scott; sceneggiatura: Becky Johnston, Roberto Bentivegna; fotografia: Dariusz Wolski; montaggio: Claire Simpson; musica: Harry Gregson-Williams; scenografia: Arthur Max ; interpreti: Lady Gaga (Patrizia Reggiani), Adam Driver (Maurizio Gucci), Jared Leto (Paolo Gucci), Jeremy Irons (Rodolfo Gucci) Jack Huston (Domenico De Sole), Camille Cottin (Paola Franchi), Al Pacino (Aldo Gucci), Salma Hayek (Pina Auriemma), Reeve Carney (Tom Ford); produzione Ridley Scott, Giannina Scott, Kevin Walsh, Mark Huffam per Metro-Goldwyn-Mayer, Bron Studios, Scott Free Productions; origine: Usa, 2021; durata: 157′; distribuzione: Eagle Film