How to Save a Dead Friend inizia mostrando, metaforicamente, l’ultima pagina di un libro Il libro è la storia della vita di Kimi, un ragazzo come tanti, che viveva in una squallida periferia di una grande città Russa (ma che potrebbe essere una città di una qualsiasi altro paese europeo), in un quartiere che veniva chiamato la “Federazione della Depressione”, adolescente negli anni che sono seguiti alla caduta del muro. Autodistruttivo e nichilista, orfano di una ideologia, senza nessuna speranza nel futuro, se non quella di perdersi. Erano anche gli anni del post-punk, la musica era entrata a dettare nuovi ritmi e diverse sensibilità. In Russia spopolavano gruppi rock che venivano a loro volta esportati in Europa, in nome di quella che negli anni 2000 veniva chiamata Ostalgie (la nostalgia di quando il mondo era ancora diviso in due).
Il mito di Kimi erano i Joy Division il gruppo guidato da Ian Curtis, morto suicida appeso a una rastrelliera della cucina. Il suo scopo nella vita: cercare di provare più droghe possibili, di tutti i tipi, in attesa di una morte che se non fosse arrivata, se la sarebbe cercata altrimenti.
Cercare la morte era anche l’impegno di Marusya, che a 16 anni aveva deciso che non c’era spazio per vivere un altro anno ancora, ma che poi, all’improvviso, come spesso capita, ha incontrato Kimi iniziando con lui a vivere una profonda e complicata storia di amore e di amicizia.
Marusya Syroechkovskaya, che di questo film è la regista, ha trovato un uomo e il cinema, la macchina da presa, come strumento di salvezza e forma attraverso il quale elaborare il lutto e riuscire a raccontare la propria storia. “La macchina fotografica mi ha fornito la distanza di cui avevo bisogno, facendo sembrare tutto non reale. Forse girare per me – dice la regista – è diventato quello che la droga è diventata per Kimi: una fuga dalla realtà, da tutto ciò che non ha funzionato per noi”.
Kimi Morev, ha continuato per anni a vivere di espedienti e di droghe; si è perso nel sistema sanitario russo; nella sua strampalata famiglia che sicuramente lo ha amato ma che non ha saputo dargli strumenti che lo potessero aiutare a reagire; nell’incapacità di immaginare un futuro che lo potesse salvare.
Ma How To Save A Dead Friend è soprattutto la storia di una generazione e di una coppia, una storia che racconta come non è vero che con l’amore si possa vincere ogni cosa, una storia intensa che è durata 12 anni, dove, probabilmente molte cose non sono dette, dove non esiste chi ha torto o chi ha ragione. Un amore tra persone all’apparenza forti e determinate, ma che in fondo nascondono tutte le debolezze che nascondiamo anche noi.
Le ragioni che posso stare dietro ad un suicidio sono sempre imperscrutabili. Ma probabilmente quando il desiderio di porre fine alla propria vita è un desiderio collettivo qualche considerazione si può fare. Kimi e Marusya hanno perso tantissimi dei loro amici, chi morto per scelta consapevole, chi, invece, per decisione alla droga. “Volevo salvare il tempo – dice sempre la regista -, lo spazio e le cose che ci hanno formato mentre crescevamo. Il film è anche un tributo a Gregg Araki e Harmony Korine; alle opere d’arte di David LaChapelle; a tanta, tantissima musica: dal post-punk al grunge, all’emo e alla witch house; alle transizioni di Windows Movie Maker, alle prime estetiche del web e ai forum di Internet, quando Internet non era ancora controllato dalle aziende e censurato dal governo, quando era un luogo in cui potevi esprimerti liberamente e trovare un senso di appartenenza”.
Una generazione che viveva con il sogno di un’altra cultura e di un’altra vita, e che però trovava, come referenti politici, Dmitrij Medvedev, Boris Eltsin e un giovanissimo Putin che, alla sua prima elezione, dichiarava come la libertà dovesse essere un fondamento della nuova Russia. Perché la forza di questo film, del suo racconto lucido e tragico, è il riuscire a far vedere come quello che abbiamo intorno, influenza noi nelle nostre piccole decisioni.
E così la storia di due ragazzini diventa la storia di una nazione che non ha saputo elaborare la fine del comunismo, che non ha saputo costruire un modo per ritornare alla democrazia, a dare un progetto nel quale potessero sentirsi coinvolti tutti. Kimi, Marusya e tutti i loro amici, i loro genitori e i loro fratelli, sono stati lasciati ai margini, senza possibilità né di vivere né di sognare un futuro diverso. È una storia che spaventa, perché racconta, anche a noi, che il mettersi di lato, il pensare di poter vivere da soli, chiusi nelle nostre disperazioni, dimenticando quello che ci circonda, non può portare a soluzioni felici. E racconta anche di quanta possa essere enorme la responsabilità della politica nel costruire una generazione di disperati, di come la Russia è cambiata, di come queste storie possano appartenere a tutti. Di quello che sta succedendo oggi nel mondo, e di quello che potrebbe ancora succedere.
Marusya Syroechkovskaya oggi, quella Russia la ha dovuta abbandonare. La repressione verso le voci dell’opposizione è diventata per lei pericolosa e insostenibile.
“Quando perdi qualcuno vicino, qualcuno che ti conosceva bene, parte della tua storia scompare insieme a lui. Tutto ciò che rimane da fare è raccogliere i ricordi prima che si trasformino in polvere digitale”.
In sala dal 12 aprile
How To Save A Dead Friend – regia: Marusya Syroechkovskaya; riprese: Kimi Morev e Marusya Syroechkovskaya; sceneggiatura: Marusya Syroechkovskaya; montaggio: Qutaiba Barhamji; musica: Felix Mikensky; produttori: Ksenia Gapchenko e Mario Adamson; coproduttori Anita Norfolk, Alexandre Cornu, Marusya Syroechkovskaya produzione: Sisyfos Film e Docs Vostok; coproduzione: Folk Film, Les Films du Tambour de Soie, Marusya Syroechkovskaya, Lyon Capitale TV e Rundfunk Berlin- Brandenburg in collaborazione con ARTE e con il supporto di Swedish Film Institute, Norwegian Film Institute, Western Norway Film Centre; con il supporto di Fritt Ord Foundation, IDFA BERTHA fund, CNC; origine: Svezia, Norvegia, Francia Germania, 2022; durata: 103 minuti; distribuzione: Zalab.