Berchidda Live. Un viaggio nell’archivio Time in Jazz di Gianfranco Cabiddu, Michele Mellara, Alessandro Rossi

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A partire dal sontuoso Ennio: The Maestro, diretto da Giuseppe Tornatore nel 2021, il documentario musicale sembra conoscere in Italia una sorta di age d’or: tra i tanti titoli ci piace citare Io, noi e Gaber di Riccardo Milani ed Enzo Jannacci – Vengo anch’io di Giorgio Verdelli, entrambi candidati ai David di Donatello. Oggi tocca a Berchidda Live. Un viaggio nell’archivio Time in Jazz raggiungere la sala grazie alla distribuzione della Cineteca di Bologna, dopo un applaudito passaggio all’ultimo Torino Film Festival.

In questo caso però, non si tratta dell’illustrazione più o meno riuscita di vita e opere di un illustre musicista, come negli esempi succitati; ma del racconto di un’esperienza letteralmente straordinaria, questa: Paolo Fresu, uno dei trombettisti (in realtà suona anche il flicorno) più colti e popolari dei nostri tempi, nel 1988 decide di ritornare nel minuscolo paesino in provincia di Sassari (Berchidda) da cui era partito per i suoi successi artistici, per fondare un festival musicale (Time in jazz), che in breve acquisisce fama e caratura internazionale. Sul palco del paese, nelle sue viuzze, dentro le chiese campestri, nella foresta demaniale dell’imponente monte Limbara, nel corso del tempo, giunge a esibirsi il gotha della musica mondiale, non solo jazz: tra gli altri, Ornette Coleman, Stefano Bollani, Uri Caine, Bill Frisell, Enzo Avitabile, Ezio Bosso, Enrico Rava, Ludovico Einaudi, Gianmaria Testa, Richard Galliano; per citare solo i nomi più universalmente noti.

Ciò è accaduto, accade e speriamo accadrà ancora a lungo perché Fresu, oltre a essere uno straordinario musicista, è anche un interprete del suo tempo – come dice egli stesso, in una delle tante interviste realizzate negli anni che punteggiano il documentario – in quanto ogni vero artista deve essere in grado di farsi testimone del passato, voce del presente e ponte verso il futuro. Egli lo fa usando il linguaggio del jazz, nella sua accezione più ampia, che per sua natura è concepito su meticciato sonoro, ibridazioni culturali e osmosi territoriali. Non è un caso se in Berchidda live assistiamo a connubi apparentemente impossibili come quello tra le tradizioni etnografiche di un paesino sardo di 2600 anime e l’avanguardia americana degli Art ensemble of Chicago; tra gli inconfondibili canti sacri di Cuncordu e Tenore de Orosei e la musica africana. Un manifesto del dialogo tra i popoli, insomma, che fa bene al cuore; in questo mondo incendiato dalle guerre, volute più dai troppi dottor Stranamore che siedono sugli scranni dei vari governi mondiali che dai popoli costretti a combatterle.

Non è un caso che qui, tra i tanti autorevoli musicisti che compongono una sorta di concerto lungo 90 minuti, appaiano di quando in quando degli attori, soprattutto teatrali come Marco Baliani o Alessandro Haber; o come Lella Costa che si commuove leggendo le pagine di un cantore della tradizione sarda come Sergio Atzeni; e Erri De Luca, il quale ci ricorda con la sua solita autorevolezza che la Sardegna appartiene a nulla se non al mediterraneo, luogo di mescolamenti dovuti alla sua libertà e alle sue migrazioni; ai matrimoni e alle guerre, agli stupri e alle carestie. Appunto.

Sì perché il film che vi stiamo raccontando non è solo un catalogo di eccellenti performance, ma è anche inevitabilmente il ritratto della Sardegna. La Sardegna di Tempio Pausania della famiglia De André, lontana appena 20 chilometri da qui; e quella di Gavino Ledda, l’autore del romanzo autobiografico Padre padrone da cui fu tratto il film omonimo dei fratelli Taviani che vinse la Palma d’oro al Festival di Cannes. La Sardegna borgo natìo a rischio spopolamento, come accade nel recente Un mondo a parte di Milani (è proprio questa una delle funzioni del festival, spiega Fresu: arrestare questa emorragia); la Sardegna dolce e selvaggia, che sta dentro al film come fosse uno dei protagonisti.

Ecco, Berchidda live è tutto questo, e però è soprattutto il frutto di un lavoro immenso dei tre registi, che sono riusciti a condensare in 90 minuti 1500 ore di riprese realizzate da uno di loro, Gianfranco Cabiddu (un passato da etnomusicologo, con una significativa attività nel teatro di Eduardo e Carmelo Bene; e anche qualche fortunata puntata nel cinema mainstream, come La stoffa dei sogni, con cui ha vinto nel 2017 il David di Donatello per la migliore sceneggiatura “non originale”), il quale da oltre 25 anni ha documentato con la sua cinepresa i momenti salienti del festival di Fresu. Al suo fianco la coppia di autori bolognesi Michele Mellara e Alessandro Rossi, che da oltre vent’anni si dedicano a interpretare i materiali d’archivio.

L’interpretazione (per certi versi molto simile a quella praticata da Giovanni Piperno con 16 millimetri alla rivoluzione, anch’esso presentato al Torino Film Festival, e oggi in complicato tour promozionale in giro per l’Italia) a noi è parsa ben compiuta: Cabiddu, Mellara e Rossi sono stati capaci di affondare le mani in oltre duemila nastri digitalizzati e infondergli nuova vita, restituendo sullo schermo bidimensionale del cinema quasi quarant’anni di gesti artistici e retaggi territoriali; e una scintilla di vita in questo mondo – non ci stanchiamo di scriverlo – che altrove odora di morte.

In sala dal 15 aprile 2024


CREDITS & CAST

Berchidda live – Un viaggio nell’archivio Time in jazz Regia: Gianfranco Cabiddu, Michele Mellara, Alessandro Rossi; soggetto e sceneggiatura: Gianfranco Cabiddu, Michele Mellara, Alessandro Rossi; fotografia: Stefano De Pieri, Antonio Cauterucci; montaggio e supervisione alla post-produzione: Massimiliano Bartolini; interpreti: Paolo Fresu; Gianfranco Cabiddu; Ornette Coleman, Stefano Bollani, Omar Sosa, Uri Caine, Art Ensemble of Chicago, Erri De Luca, Lella Costa, Daniele di Bonaventura, Bill Frisell, Enzo Avitabile, Ezio Bosso, Carla Bley, Enrico Rava, Gianluca Petrella, Ernst Reijseger, Ludovico Einaudi, Alessandro Haber, Nils Petter Molvaer, Jaques Morelenbaum, Gianmaria Testa, Marco Baliani, Richard Galliano, etc.;  produzione: Ilaria Malagutti per Mammut Film; origine: Italia, 2023; durata: 90 minuti; distribuzione: Cineteca di Bologna

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