Cattiverie a domicilio di Thea Sharrock

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Il titolo inglese Wicked Little Letters, ovvero “letterine malvagie”, suona meglio di Cattiverie a domicilio, ma entrambi rendono l’idea della vicenda raccontata da questa commedia asprigna diretta da Thea Sharrock e scritta da Johnny Sweet. Leggo che non è piaciuta granché ai critici, io invece la raccomando: sarà perché, pur con tutte le differenze del caso (trama, periodo e ambientazione), l’ho vista come una variazione riuscita sul tema di C’è ancora domani, non in bianco e nero e molto meglio recitata.

Il fatto è vero, anche se la regista 48enne introduce digressioni e cambia il colore di pelle di alcuni protagonisti, magari per aderire alle nuove sensibilità. Tutto accadde a Littlehampton, un paesino del West Sussex, tra il 1920 e il 1923, e sembra quasi impossibile che ci siano voluti tre anni per appurare la verità.

Edit Swan e Rose Gooding, zitella inglese la prima con genitori in casa, immigrata irlandese single con figlioletta la seconda, sembravano amiche. Invece Edith, nel maggio 1920, cominciò a ricevere lettere anonime sempre più oscene, ricolme di insulti fantasiose, come scritte da uno scaricatore di porto ma con calligrafia ricercata. La colpa fu subito addossata a Rose, che abitava nell’appartamento accanto, troppo diversa da Edith per non destare sospetti: sboccata, ribelle, indocile, a suo modo una donna moderna, sessualmente spregiudicata, quindi considerata una poco di buono, una “puttana”.

Jessie Buckley

Secondo la formula di un certo cinema british, accurato nella ricostruzione e ben recitato, il film mischia un po’ le carte e resoconta nel frattempo la via crucis della povera Rose, finita pure in carcere due volte nella realtà. Per fortuna una giovane poliziotta di origine indiana, Gladys Moss, dotata di intuito e buon senso, ruppe il muro d’ipocrisia borghese che circondava lo scandalo arrivando, con uno stratagemma, a individuare il vero latore di quelle letterine/letteracce. E mi fermo qui, anche se qualcuno capirà presto vedendo il film.

Non saprei dire se Cattiverie a domicilio sia appesantito da un sentimento politicamente corretto spinto all’eccesso o se, pur parlando degli anni Venti, il copione evochi qualcosa delle maldicenze odierne via social. Certo gli uomini, specie il padre arcigno e tiranno di Edith non ci fanno una bella figura, al pari di una certa società patriarcale oggi oggetto di quotidiana fustigazione; e lo sguardo femminile della regista conta nella messa a fuoco dello strano rapporto tra le due amiche-nemiche, ovvero la trattenuta Edith e l’esuberante Rose, benissimo incarnate rispettivamente da Olivia Colman e Jessie Buckley, mentre Timothy Spall e Anjana Vasan molto caratterizzano i ruoli del padre imbecille e della poliziotta ingegnosa.

Uscendo dal film, dopo 102 minuti, mi sono chiesto, da maschietto avanti con l’età, se io debba rimproverarmi qualcosa nel rapporto con le donne. Di sicuro sì, ma la curiosa storia narrata ha anche l’onestà di dirci che non tutto è spiegabile a partire dalle convenzioni sociali, palpitando un ramo di rabbiosa follia in ciascuno di noi.

In sala dal 18 aprile


Cattiverie a domicilio (Wicked Little Letters) – Regia: Thea Sharrock; sceneggiatura: Jonny Sweet; fotografia: Ben Davis; montaggio: Melanie Oliver; musica: Isobel Waller-Bridge; interpreti: Olivia Colman, Jessie Buckley, Alisha Weir, Timothy Spall, Gemma Jones, Joanna Scanlan, Eileen Atkins, Lolly Adefope, Hugh Skinner, Anjana Vasan, Malachi Kirby; produzione: Blueprint Pictures, South of the River Pictures, StudioCanal; origine: GB/Francia, 2023; durata: 102 minuti; distribuzione: BIM in collaborazione con Lucky Red.

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