Matilda De Angelis, diretta nuovamente da Matteo Rovere dopo il suo esordio in Veloce come il Vento interpreta in questa miniserie di sei puntate una Lidia Poët rivoluzionaria, anticonformista, sfacciata nei costumi e nel linguaggio, libera nell’ espressione di se stessa, fin troppo ribelle e tenace.
Una donna moderna, forse troppo attuale, considerando che Lidia Poët, ha vissuto, lottato e combattuto le sue battaglie nella Torino austera di fine Ottocento.
La “vera” Poët, infatti, laureata in legge con una tesi sulla condizione femminile e sul diritto di voto per le donne, ha vissuto con l’ obiettivo finale di diventare avvocato in un contesto socioculturale ( e in un mondo) ancora troppo popolato e dominato dagli uomini.
Superato l’ esame di abilitazione provò ad iscriversi all’ Albo nel 1883, ma la corte d’appello revocò ingiustamente la sua iscrizione con la seguente motivazione:
“Disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra, agitarsi in mezzo allo strepito dei pubblici giudizi, accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano, e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene di osservare: costrette talvolta a trattare ex professo argomenti dei quali le buone regole della vita civile interdicono agli stessi uomini di fare motto alla presenza di donne oneste”.
Questa lunga premessa è necessaria perché la legge di Lidia Poët comincia proprio da questo mancato riconoscimento.
Le sei puntate, impregnate della giusta atmosfera noir con un caso da risolvere per ogni puntata, prendono vita proprio dalla ingiusta sentenza pronunciata ai danni della giovane donna dalla Corte d’ appello.
La protagonista non si arrende e a caccia della verità ad ogni costo, trova ugualmente il modo per esercitare la sua professione lavorando nello studio di suo fratello Enrico ( Pier Luigi Pasino) e assieme alla sete per la giustizia, intreccia anche un rapporto appassionato con Jacopo Barberis (Eduardo Scarpetta), giornalista della gazzetta piemontese, spesso suo complice (e non solo) nel risolvere delicate indagini.
Nella realtà, Lidia Poët, che pure aveva esercitato sotto l’egida del fratello per tutti gli anni precedenti, riuscì ad accedere alla professione solo nel 1920, molti anni dopo l’ inizio del mancato riconoscimento. Il cammino per il giusto diritto di esercitare la sua professione fu, quindi, lungo, tortuoso e complicato.
La De Angelis, veste invece i panni di una donna ” spensierata” e solare che non sembra calata nel suo tempo, perché la sua Lidia risulta troppo intraprendente, ribelle, troppo libera e attuale nel pensiero, nelle abitudini e nei dialoghi.
La giovane protagonista è molto spesso ironica, leggera nell’ approccio alla vita e la sua lotta, il suo tormento interiore e i contrasti con la società di riferimento non escono mai fuori. La sua caratterizzazione risulta eccessivamente realistica e l’ intreccio, romanzato e frizzante, sembra costruito con l’ obiettivo di piacere a tutti i costi a un pubblico esteso.
Sembra quasi di vedere nella protagonista una donna moderna calata improvvisamente in una Torino di fine Ottocento austera e rigida: lei e i personaggi che le ruotano attorno sono inoltre dotati di una sagacia propria dei nostri tempi, assolutamente poco credibile per il contesto culturale di allora.
Esiste quindi, come premessa necessaria, un problema di credibilità, dovuto a una forzata attualizzazione del contesto di riferimento e dei personaggi.
Detto questo, la portata della storia che racconta la legge di Lidia Poët, per quanto romanzata, è fondamentale perché si tratta di una donna che per gran parte della sua vita ha lottato per il giusto riconoscimento dei suoi diritti. È importante che il valore di questa storia sia conosciuto e approfondito nel dettaglio. E per quanto i personaggi che popolano la serie risultino eccessivamente moderni e accattivanti c’è una base di verità dalla quale poter partire per approfondire e studiare i dettagli di una storia che non può restare nell’ oblio. Non solo.
La miniserie, pensata come puro intrattenimento, funziona, nel ritmo e nella struttura, che risulta perfettamente circolare: le puntate scorrono piacevolmente e il risultato è divertente, e a tratti appassionante.
Lidia, Enrico, Jacopo, personaggi principali, sono affascinanti, autoironici e moderni, incastonati in una serie che riesce ad intrigare e al tempo stesso a incuriosire lo spettatore, soprattutto nella risoluzione dei casi.
Manca tuttavia un giusto approfondimento della psicologia sociale del contesto di riferimento e un’ analisi dettagliata del periodo della (bellissima) Torino gotica di fine ottocento.
Su Netflix
La legge di Lidia Poët – Regia: Matteo Rovere, Letizia Lamartire ; ideatori: Guido Iuculano, Davide Orsini; sceneggiatura: Guido Iuculano, Davide Orsini; scenografia: Tonino
Zera; costumi: Stefano Ciammitti; musica: Massimiliano Mechelli; interpreti principali: Matilda De Angelis, Eduardo Scarpetta, Pier Luigi Pasino, Sara Lazzaro, Sinead Thornhill, Dario Aita; produzione: Groenlandia; origine: Italia, 2023; durata: 40′ per episodio; distribuzione: Netflix.