Sages-Femmes di Léa Fehner (Festival di Berlino – Panorama)

Sages-femmes significa in francese ostetriche e a un gruppo di donne che svolgono questo mestiere la regista Léa Fehner (quarantaduenne originaria di Tolosa, dove il film si svolge) dedica il film presentato a Berlino nella sezione Panorama. Il film, con pochissime eccezioni, mantiene l’unità di luogo che è quella del reparto maternità di un ospedale pubblico. Nel caos, ampiamente documentato da una nervosissima mdp a mano, si delineano, con una certa lentezza, alcune figure principali su cui a poco a poco si appunterà la maggior attenzione, anche se il film mai dismetterà la propria attitudine documentaristica, esemplata dalle riprese di un numero incredibile di parti, come mai ci è capitato di vederne al cinema.

Proprio su questa doppia modalità si regge il film: una storia riconducibile (anche) a un film di finzione e un documentario che a tratti vuole essere anche di denuncia sulle condizioni estreme in cui le ostetriche si trovano a lavorare nella sanità pubblica, una denuncia che culmina con una manifestazione – che ha tutta l’aria di essere autentica – che chiude la pellicola, un corteo che intende esprimere solidarietà nei confronti di un mestiere fondamentale ma tremendamente usurante, non sufficientemente riconosciuto in termini di qualità della vita (turni massacranti che vanno a discapito dell’esistenza privata di tutte loro) e probabilmente anche di remunerazione.

Se lo scopo era quello di trasmettere allo spettatore la condizione di perenne emergenza in cui le ostetriche lavorano, non c’è dubbio che il film abbia colpito il bersaglio. E all’interno di questa emergenza, il film ha anche, mi pare, colpito il bersaglio nel rappresentare il miracolo della nascita, l’emozione di un evento che accade in ogni istante nel mondo e pure costantemente diverso, naturale eppure potenzialmente rischioso che richiede vigilanza, attenzione, cura dei dettagli.

Paradossalmente il punto più debole del film è proprio laddove esso si discosta dall’attitudine documentaristica, cioè allorché l’autrice cerca di enucleare all’interno del microcosmo ospedaliero una vicenda che vede protagonista due apprendiste ostetriche che vivono in modi diversi lo stress a cui sono sottoposte, una madre extracomunitaria che è fortemente tentata di abbandonare il figlio e che viene seppur temporaneamente “adottata” dalle ostetriche le quali per soprammercato vivono insieme e un ostetrico un po’ imbranato e nerd che viene, a sua volta, ospitato a casa delle due. Qui Sages-femmes un po’ s’incarta nella sua irresolutezza e anche in un atteggiamento un po’ discriminatorio nei confronti del maschietto, davvero caricaturale nella sua gestualità, riservando solo nel finale una sorpresa che vede protagonista la -apparente tetragona – caposala, interpretata da Myriem Akheddiou, che stando ai credits sembra la sola attrice professionista di questo film, onesto ma certamente nient’affatto memorabile.


Sages-femmes (Midwives) – regia: Léa Fehner; interpreti: Khadija Kouyaté, Héloïse Janjaud, Myriem Akheddiou, Quentin Vernede, Tarik Kariouh; origine: Francia, 2023; durata: 97 minuti.

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