Ingeborg Bachmann – Reise in die Wüste di Margarethe von Trotta (Concorso)

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Margherete von Trotta (al centro) con accanto i due protagonisti e le due produttrici alla Prima berlinese.

Nel novembre del 2022 è uscito in Germania un libro atteso da anni, vale a dire il carteggio fra due grandi scrittori di lingua tedesca del ‘900, ovvero l’austriaca Ingeborg Bachmann (1926-1973) e lo svizzero Max Frisch (1911-1991), autrice e autore ancora molto celebri, anche in Italia. Gli eredi di Bachmann avevano fatto di tutto per bloccare quella pubblicazione, alla fine hanno dovuto cedere, ricevendo in compenso la rassicurazione che quel materiale sarebbe stato trattato con la massima delicatezza filologica dai curatori, ciò che poi è accaduto. Perché tante riserve, perché tanta cautela? Perché fra i due – tra il 1958 e il 1962, fra Parigi (dove si conobbero), Zurigo (dove viveva lui), Roma (dove viveva lei) – vi fu una storia d’amore che non si può che definire straziante. Immaginatevi due persone con un Ego molto importante, con diverse ferite alle spalle (soprattutto lei: una storia d’amore altrettanto straziante, altrettanto impossibile con il poeta Paul Celan, il padre nazista della prima ora, essere donna in un mondo governato quasi esclusivamente da uomini) che fanno lo stesso mestiere, lui che scrive molto (romanzi, autofiction, teatro), lei che ogni singola parola la soppesa, la interroga e che avverte l’iperproduttività di lui, scandita dai tasti della macchina da scrivere, come una mitragliatrice o una staffilata. Quando nel 1962 lui decide di chiudere, lei finisce in clinica. Poi, a fatica si riprende, e cerca – al pari di lui – di elaborare quel fallimento, quel lutto attraverso i mezzi della scrittura. Nel caso di Ingeborg Bachmann, però, non solo attraverso la scrittura, ma anche attraverso un viaggio nel deserto compiuto nel 1964 a fianco di un giornalista e scrittore austriaco che rispondeva al nome di Alfred Opel.

È proprio da questo viaggio che parte l’importante film di Margarethe von Trotta (icona del Nuovo Cinema Tedesco, splendida ottantenne con una ventina di film alle spalle), intitolato appunto Ingeborg Bachmann – Reise in die Wüste. (Ingeborg Bachmann – Viaggio nel deserto), un viaggio che ad un tempo un affondo nel deserto in cui l’anima e il corpo della protagonista sono precipitati, ma anche, col suo silenzio e con la sua pace, la promessa di un’utopica resurrezione.

Il viaggio diventa di fatto la cornice narrativa intorno alla quale viene rievocato l’amore fra Bachmann e Frisch: dal primo incontro a Parigi fino all’ultima volta in cui i due si videro, nella clinica svizzera in cui Bachmann era ricoverata dopo uno dei tanti tracolli emotivi, con lui in partenza per New York. Il film cerca con successo di raccontare alcune tappe salienti della loro tormentata relazione: la concorrenza fra i due, la gelosia di Frisch, le insofferenze di Bachmann, la loro voglia di amare e in qualche modo la loro incapacità. Nel far questo, come si conviene a ogni biopic letterario, von Trotta (che come al solito ha scritto anche la sceneggiatura e che – come ha detto in conferenza stampa – non ha potuto attingere all’epistolario, uscito quando il film era già in fase di montaggio, ma che si è altrimenti documentata) ha dovuto, in qualche misura, rendere conto della grandezza dei due artisti, soprattutto della grandezza di lei, citando liriche, passaggi di discorsi, brani di prosa, ma lo ha fatto senza appesantire in eccesso il testo cinematografico. Ed è stata brava anche a selezionare fra le molte vicende che hanno visto i due protagonisti solo alcune, davvero centrali, sia per la storia d’amore sia per la carriera letteraria di Bachmann, il cui punto di vista, resta ovviamente quello privilegiato: l’amicizia e la collaborazione della scrittrice con il musicista Hans-Werner Henze (Basil Eidenbenz), l’incontro con Ungaretti (che Bachmann tradusse in tedesco, un brevissimo cameo di Renato Carpentieri), l’incontro con Opel (Tobias Resch) che la condurrà in un appasionante viaggio in Egitto.

La fine della relazione fra Bachmann e Frisch ha polarizzato in modo clamoroso gli animi dei contemporanei, soprattutto quelli appartenenti alla scena intellettuale tedesca e non solo: Frisch un maschilista stronzo che ha usato la povera collega sfruttandola a fini letterari, cannibalizzandone la vita e lasciandola dopo averla spremuta ben bene? Bachmann infedele, inaffidabile, incapace in fondo di intrattenere una relazione stabile? Molto di quello che la poetessa ha scritto dopo la fine della relazione mira a vedere in Frisch, senza che egli venga mai esplicitamente menzionato, una sorta di archetipo negativo del maschile. Morta tragicamente Bachmann nel 1973, Frisch ha provato a vedere le cose in modo, forse, un po’ più dialettico – si leggano, ad esempio, le pagine che ha dedicato alla donna nello splendido Montauk (chi scrive lo ha ritradotto l’anno scorso per Mondadori).

Da che parte sta von Trotta? È evidente, come detto, che venga nettamente privilegiato il punto di vista della scrittrice, ma c’è un episodio importante che ci fa capire come anche la regista intenda presentare una visione dialettica della fine di questa relazione. Quando Bachmann e Frisch si conoscono a Parigi, lo scrittore svizzero colpisce l’attenzione e la fantasia della più giovane collega citando a memoria alcune frasi tratte da un radiodramma premiatissimo di lei ossia Il buon Dio di Manhattan, laddove la scrittrice sosteneva, a senso, che le colpe non sono soltanto dei carnefici ma anche delle vittime. Quando, nel film, Frisch va a trovarla in clinica, mentre lei è pallida, esangue e distesa nel letto lui le ripete la stessa frase, come a dirle: se questo rapporto è fallito, lo si deve a entrambi.

Vicky Krieps e Roland Zehrfeld

Come si sarà notato, non ho, fin qui, fatto parola sugli attori protagonisti. In questo (e non solo) in questo von Trotta è stata bravissima: Bachmann è interpretata da Vicky Krieps che è semplicemente perfetta nei suoi sorrisi, nei suoi silenzi (ma non lo scopriamo adesso) e solo in brevissimi momenti somigliante alla scrittrice, Frisch è interpretato da Roland Zehrfeld, eccellente attore tedesco, che ha cercato, fin nella sua monumentale corporeità, di restituire il carattere ingombrante, quasi minaccioso di Max Frisch.

Certo, siamo in presenza, di un film, detto nel senso più positivo possibile, novecentesco, sia per il periodo di cui tratta, sia per il tipo di narrazione, per l’uso della colonna sonora, ma saremmo felici se la Giuria del festival gli dedicasse la giusta attenzione.


Cast & Credits

Ingeborg Bachmann – Reise in die Wüste; regia, sceneggiatura: Margarethe von Trotta; fotografia: Martin Gschlacht; montaggio: Hansjörg Weißbrich; interpreti: Vicky Krieps (Ingeborg Bachmann), Roland Zehrfeld (Max Frisch), Tobias Resch (Adolf Opel), Basil Eisendenz (Hans Werner Henze), Luna Wedler (Marlene), Marc Limpach (Tankred Dorst), Renato Carpentieri (Giuseppe Ungaretti), Katharina Schmalenberg (Isolde Kurz); produzione: telfilm (Zurigo), Amour Fou (Vienna), Heimatfilm (Colonia); origine:Svizzera, Austria, Germania 2023; durata: 110’

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