Sex di Dag Johan Haugerud (Festival di Berlino – Panorama) – Vincitore Premio CICAE

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“Cam caminì cam caminì spazzacamin”, qualcuno, forse, ricorderà la canzone cantata dallo spazzacamino in Mary Poppins(1964). Lo spazzacamino era la quintessenza della gioiosa spensieratezza. Non così in Sex, il bel film del norvegese Dag Johan Haugerud, presentato nella sezione “Panorama” a Berlino, a cui è stato attribuito il prestigioso premio dell’associazione dei cinema d’essai europei (CICAE), un premio non solo prestigioso ma anche economicamente di grande rilievo perché comporta la distribuzione del film in diversi paesi europei.

Accompagnata da inquadrature tendenzialmente piuttosto immobili, a sottolineare una compiaciuta teatralità (alternata a pochi ma improvvisi zoom e lenti movimenti circolari e apparentemente inutili della macchina da presa che tuttavia producono una certa tensione), la vicenda si mette in moto subito, con una lunga conversazione fra due spazzacamini, anche se i camini sono modernissimi e non dobbiamo pensare, appunto, a personaggi coperti di fuliggine come era il ragazzo di Mary Poppins. I due uomini, che non si rivolgono mai l’un l’altro chiamandosi per nome (anche nei credits i loro nomi non risultano) a occhio e croce un po’ sopra i quaranta, hanno  qualcosa di strano da raccontarsi: l’uno, sposato con due figli, ha ceduto alle avances di un cliente e ha avuto un rapporto, il primo in assoluto, omosessuale di una vita fin qui all’insegna dell’eterosessualità e della monogamia. Dichiara che la cosa gli è piaciuta, ma afferma che l’episodio non ha aperto chissà quali squarci nella sua identità sessuale, non era gay, e non lo è diventato all’indomani di questa singolare avventura. L’altro è visitato da un sogno ricorrente nel quale David Bowie gli riserva delle occhiate particolarmente sensuali, mettendolo in crisi e facendolo sentire alla stregua di un essere, appunto, desiderato, come se fosse una donna; nessuno, dice, lo aveva fino ad allora guardato così.

Le rivelazioni, soprattutto la prima (qualitativamente, forse, un po’ più sconvolgente) avviano una conversazione molto approfondita fra i due, capaci di insospettabili capacità introspettive. Lo spettatore ha qua e là la sensazione di essere un po’ preso per i fondelli, sia perché, a torto o a ragione, non viene spontaneo collegare agli spazzacamini una capacità analitica siffatta, ma forse è soltanto un pregiudizio. L’isotopia ironica si accentua in almeno altre due sequenze del film: la prima, quando lo spazzacamino desiderato da David Bowie, va insieme al figlio in visita da una specie di logopedista (a livello amatoriale lui canta e sente che la voce non sta funzionando come dovrebbe), la quale, oltre a sottoporlo a curiosi esercizi, comincia a discettare di Hannah Arendt e della differenza fra la sfera sociale e quella pubblica; la seconda è quando il medesimo personaggio si rivolge a una dottoressa che si mette a sproloquiare del carattere sacro del sangue mestruale e racconta la vicenda di una coppia gay e dell’effetto prodotto da un tatuaggio. Inutile negarlo: il film, a tratti, è decisamente esilarante e si fa fatica a pensare che, soprattutto, nelle sequenze citate, il regista e sceneggiatore abbia davvero voluto produrre un senso compiuto. Ma è proprio questo il suo bello. Talvolta viene da pensare, senza effetti splatter, a Ruben Östlund ma anche, che so io, al Lars von Trier di Il grande capo (The Boss Of It All, 2006) .

Già diverso il tono dell’altra vicenda. Perché la moglie dell’altro spazzacamino (che è peraltro il superiore del cantante dilettante) che le ha riferito tutto in tempo reale, dopo una prima reazione tutto sommato tranquilla, apre un conflitto in cui l’episodio diventa il pretesto per una disamina nient’affatto leggera che riguarda temi di capitale importanza come la fedeltà, l’amore, il tradimento, l’identità ecc. – roba che Scene da un matrimonio al confronto è una sitcom. Di qua come di là è evidente che gli avvenimenti hanno avviato una ridefinizione della propria identità sessuale ma forse anche no. Non si sa mai se prenderli davvero sul serio i due maschietti, se le considerazioni a cui pervengono lasceranno una traccia nella loro vita oppure no. Questa sospensione fra due tonalità di fondo: commedia e apologo (tra l’altro a più riprese, ma anche qui non si capisce bene se sul serio oppure no, con riferimenti di natura morale e, ancor più religiosa), funziona molto bene nel film e rende oltremodo giustificabile il premio ricevuto. A interrompere l’una e l’altra modalità, il film si sofferma reiteratamente su placide inquadrature dello skyline della città, con un compiaciuto gusto della simmetria e evidente interesse nei confronti dell’architettura, di cui si parla a più riprese. Insomma: un bel film.


Sex; regia, sceneggiatura: Dag Johan Haugerud; fotografia: Cecilie Semec; montaggio: Jens Christian Fostad; interpreti: Jan Gunnar Røise (lo spazzacamino), Thorbjørn Harr (il superiore dello spazzacamino), Siri Forberg (la moglie dello spazzacamino), Brigitte Larsen (la moglie del superiore); produzione: Motlys; origine: Norvegia 2024; durata: 125 minuti.

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