Spettacolo teatrale andato in scena in data 1 gennaio 2022 a Il Cantiere Spazio Teatrale (Roma)
Succede che l’eco superi ciò che l’eco stessa ha causato. In durata sempre, in forza mai, in intensità forse. Poi, ovviamente, esistono le eccezioni. Il grido primordiale esprime l’identità africana, il riecheggiare dell’eco la metamorfosi della reinterpretazione, quella corale: da una voce fuoriescono dieci canti, da un tamburo dieci battiti, da una mano altrettante vibrazioni. L’abbraccio del Baobab – Tamburi, storie, danze e canti africani è uno spettacolo che trasferisce i suoni di un intero continente in un angolo di Trastevere a Roma e lo fa utilizzando una formula attenta nel porre la musica prima della parola e della danza, senza che però si scordi di fare un passo indietro e divenire così sottofondo quando le altre due richiedono uno spazio di azione. Nasce qualcosa di nuovo, come una danza vivacemente vorticosa.
E la danza vive di un ritmo, quello dei tamburi, e la pelle tesa non dimentica di lasciare il primo passo alle corde della chitarra, permettendo che il connubio di più sonorità sia la base del quadro musicale finale. A intervallare il crescere della musica una storia, quella del Baobab, simbolo di una cultura nonché albero-anima vittima di audacia e rivoltato dagli dei perché al cielo non mostri le belle foglie bensì l’intricarsi delle radici. C’è poi spazio per la danza, una danza spaccata, crepata in movimenti complessi e al contempo naturali che avvicinano corpo e musica, infrangendo la linea di demarcazione. Infine, anima vagante, elemento di disturbo e ritrovo, Ismaila Kante evoca quella dose di sfida benevola nei confronti di compagni e pubblico, rilanciando l’armonia dove parrebbe interrotta dalla sua apparizione e richiamando il crescendo finale, l’ultimo colpo di tamburi.
Per la supervisione regista di Ismaila Kante e Alessandro Sena, lo spettacolo di danza-prosa-musica fonda sulla non linearità il suo tratto tipico. Non esiste inizio o fine, piuttosto ritorni circolari iniziati da entrate solitarie, magari sfide-inviti lanciati tra strumenti, finché il coro si completa e si può correre insieme verso il picco di suono prima della ricaduta e del ri-inizio del tutto. È un girotondo continuo, una rincorsa frenetica. Né storia né sviluppo che possano contenere, ogni giro di tamburi richiede una propria autenticità senza che ciò vada a rovinare l’autenticità altra, quella accanto. Ognuno, si può dire, batte il proprio tempo, tutti insieme battono lo stesso.
La caduta nell’improvvisazione è così dietro l’angolo, un (im)previsto che comunque può ricondursi alla direzione comunitaria, quella non stabilita su spartiti, ma in un senso del ritmo entusiasmante perché tellurico, vivo e pulsante. Perché quello che si sente è un respiro, un respiro che avvolge tutti i presenti, attori e non, in un richiamo a un continente che è origine e quell’origine non la pensa bensì la esprime. Si richiama un mondo altro, in realtà un mondo da sempre nostro, quello primordialmente umano.
Alla sua seconda messa in scena, pensato come un working in progress, lo spettacolo è travolgente. Il pubblico è di continuo chiamato in causa, sfidato a scegliere a quale ritmo battere le mani, quale suonatore adottare, e si trascorre un’ora abbondante senza che il peso del minutaggio si senta. Alla fine, è davvero difficile abbandonare il teatro senza il suono dei tamburi nelle orecchie, senza che il corpo non replichi, certo goffamente, quei movimenti visti o, per i più timidi, la mente almeno non vi si richiami. Abbandonare il teatro, certo, sempre se si è riusciti a sfuggire a quello che è un abbraccio non solo artistico, ma pure umano e fisico, un senso di comunione che parte da musica danza e parola e vuole andare oltre. Senza impaccio alcuno di retorica.
L’abbraccio del Baobab – supervisione registica di: Ismaila Kante, Alessandro Sena; testi: Milena Delogu; musica: Sakou Kande; interpreti compagnia teatrale Kantiere Africa: Sakou Kande, Milena Delogu, Angiola Massolo, Antonio Acunzo, Francesco Trionfetti, Steve Joannevol, Manuela Evangelista, Anna Tomei, Ismaila Kante.