L’uomo dei ghiacci – The Ice Road di Jonhatan Hensleigh

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Una lingua più scura taglia le distese di ghiaccio, obbiettivo un inferno bianco a curve e contro curve, una miniera di diamanti. Per arrivarci tre tir, pesanti mammut che avanzano nella notte tra aurore boreali e nella mattina sotto splendidi soli. Una sola regola, «non andare né troppo veloce né troppo piano», pena la morte. Jonhatan Hensleigh, regista de L’uomo dei ghiacci – The Ice Road, racconta una storia estrema in tutti in sensi. Non sbaglia tanto la mira quanto lo strumento con cui sparare: simile ai mezzi protagonisti, gli autotreni, il film si rivela pesante e goffo. Memore dei blockbuster di inizio millennio non fa molti passi avanti in termini di qualità e pecca di esagerazione. A tutto, è bene ricordarsi, c’è un limite.

Una sacca di metano scoppia nelle profondità di una miniera a Katka, Canada, un gruppo di minatori rimane imprigionato e qualcuno deve tirarli fuori portando lì delle teste di pozze capaci di perforare il terreno. Problema principale? Le teste di pozze stanno a 300 km di distanza, le ore di aria a disposizione per i minatori sono una trentina e i chilometri da percorrere sono su acque gelate, ad Aprile, quando quelle strade già sono state sbarrate. Missione disperata, quindi, che non può che richiamare gente disperata: Jim Goldenrod (Laurence Fishburne), capo della spedizione, Tantoo (Amber Midthunder), indiana dal carattere cocciuto, e il protagonista della vicenda, Mike McCann (Liam Neeson), disoccupato e in cerca di lavoro dopo che ha perso l’ennesimo a causa dell’afasia del fratello, veterano americano, Gurty McCann (Marcus Thomas), duro di testa ma meccanico eccellente.

La banda è pronta, inizia la spedizione con un regola ufficiale sopra tutte: «ridondanza tattica». Tutti e tre i tir hanno lo stesso carico, se uno va giù, gli altri devono continuare. Dove vi è una regola, però, vi è anche la negazione della stessa. Tra salvataggi riusciti e mancati, motori in fumo, onde anomale, tir ribaltati e poi raddrizzati, accuse e tradimenti, salvataggi all’ultimo minuto, valanghe, complotti sopra terra e sotto terra, ferimenti mortali e non, ponti che crollano (e la lista, ahimè, potrebbe andare avanti), si corre una lotta contro il tempo: «26 paia di polmoni» stanno succhiando tutto l’ossigeno presente nelle cavità della Terra e il pericolo non viene solo dalla natura fatta ambiente, ma pure, e soprattutto, da quella umana.

Jonhatan Hensleigh firma un blockbuster post-maturo, nel senso di nato a vent’anni di distanza da quando non avrebbe (forse) sfigurato. Il soggetto non è così errato, benché non innovativo, si appoggia a un’idea, quella delle ‘ice road’, che può essere certo interessante e fertile, peccato che sceneggiatura e CGI facciano una fatica tremenda a reggere il passo. I veicoli non reggono la traduzione in pixel, esplosioni e valanghe anche meno, e l’annegamento dei tir nei ghiacci fatica a suggerire il senso di tragedia che dovrebbe comunicare. Ci sarebbe una nota positiva, la musica. Anch’essa vecchia di un paio di decenni potrebbe risollevare le sorti della pellicola se non giocasse di antitesi e finisse per caricare di pathos scene che vengono invece sgonfiate da ciò a cui si è accennato. Si aggiunga pure una scrittura dei dialoghi e dei personaggi che sono il colpo finale.

I personaggi dovrebbero suggerire la loro vera identità, evitare di gettarla contro il povero spettatore o rivelarla palesemente, nel caso l’identità sia doppia. Così invece si trova a fare Benjamin Walker, nel ruolo dell’agente assicurativo Tom Varnay, presentato prima come ‘fuori luogo’ tra i camionisti e poi trasformatosi in ben altro. Simile discorso per la star della pellicola, Liam Neeson. Nel suo caso il personaggio non evolve, non solo all’interno del film ma anche nella personale filmografia dell’attore, almeno degli ultimi anni: il personaggio è il solito uomo freddo, temprato dalla vita, che una risposta enfatica quale: «ma ora mi hanno fatto arrabbiare» all’ennesimo evento avverso, certo non aiuta a caratterizzare. Insomma, quello che qui manca è qualcosa di fondamentale, un senso del limite, in questo caso alla sproporzione.

L’uomo dei ghiacci – The Ice Road è un film che pensa in grande senza avere le possibilità, e sinceramente i mezzi, per allacciare l’idea originaria a un prodotto finale riuscito. Nato con due decenni di ritardo, dimentica per strada la regola principale del raccontare storie, permettere la sospensione dell’incredulità del fruitore. Infranto ogni limite, alla fine della visione rimane allo spettatore o un senso di spossatezza, che nemmeno consente di soffrire le morti avvenute, o un sorriso imbarazzato tra le labbra. In entrambi i casi il divertimento lo si è dimenticato per strada, o per essere coerenti col testo, tra i ghiacci.

In sala dal 2 dicembre


L’uomo dei ghiacci – The Ice Road – Regia e sceneggiatura: Jonathan Hensleigh; fotografia: Tom Stern; montaggio: Douglas Crise; musiche: Max Aruj; interpreti: Liam Neeson, Marcus Thomas, Holt McCallany, Laurence Fishburne, Matt McCoy, Amber Midthunder, Martin Sensmeier, Matt Salinger, Benjamin Walker, Lauren Cochrane, Chad Bruce, Bradley Sawatzky; produzione: Code Entertainment, Envision Media Arts; origine: Usa, 2020; durata: 103’; distribuzione: BIM Distribuzione

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