Lo avevamo già notato durante la scorsa Mostra del cinema di Venezia, commentando l’ultima fatica del peraltro ottimo Asif Kapadia, 2073: in questi strani giorni in cui il pianeta terra sembrerebbe essere precipitato in un cupio dissolvi apocalittico, abitato da tanti “Dottor Stranamore” che giocano pericolosamente col fuoco (in tutti i sensi), i film cosiddetti “distopici” rischiano di suonare fessi, come certe profezie di sciagura sempre in discronia colle tragedie di una cronaca quotidianamente nefasta (si pensi anche solo alla carneficina permanente in atto da oltre un anno in Medioriente; oppure ai “wargames” che infestano da troppo tempo il cuore dell’Europa).
Armageddon per nulla futuribili rispetto ai quali anche gli scenari più foschi, escogitati dagli sceneggiatori più arguti, finiranno per risultare invariabilmente meno terribili delle notizie non dico di un telegiornale (giacché le guerre si combattono anche con la propaganda delle notizie dissimulate o amplificate ad arte), ma di quelle che ci piovono ormai direttamente sugli schermetti dei nostri smartphone.
Oggi è la volta di un film molto cosmopolita (è una co-produzione anglo-tedesco-statunitense), diretto da una regista francese debuttante, Fleur Fortuné, che ha finora fatto parte con Manu Cossu del famoso duo di registi Fleur&Manu, autori di videoclip musicali di artisti come Travis Scott, Drake, M83, Likke Li. Molto apolide anche il cast, zeppo di celebrità battenti le più diverse bandiere dall’anglosfera per lo più made in Hollywood: la californiana Elizabeth Olsen, vista in diversi capitoli del Marvel Cinematic Universe, tra cui i due campioni del box-office The Avengers; la danese Alicia Vikander, da oltre un decennio attiva in pianta stabile nel cinema anglo-americano; così come l’inglese di chiare origini indiane Himesh Patel. Per tacere della londinese Minnie Driver, ben nota nel cinema mainstream d’oltre manica e d’oltreoceano almeno dai tempi di Will Hunting – Genio ribelle.
Non molto diversamente da quanto accadeva nel succitato film di Kapadia, anche qui si immagina che a causa del temibile climate change, il nostro mondo sarà presto trasformato, in un futuro manco troppo remoto, in una landa desolata nella quale anche avere dei figli sarà un lusso riservato a pochi eletti; i quali dovranno però sottoporsi a un durissimo test di valutazione, che è poi la traduzione italiana del titolo internazionale, The Assessment.
Per rendere la pietanza più sapida, però, gli sceneggiatori decidono di virare la trama verso le nuance più accattivanti del thriller “psico-sessuale”, con tutta una serie di rimandi più o meno perversi e vagamente para-freudiani. L’avvenenza assai sexy delle due protagoniste femminili aiuta non poco il viraggio verso l’erotico, per quanto angoscioso; ma in definitiva non si esce mai da una sfera tanto visivamente folgorante (del resto la regista è cresciuta a pane videoclip, lo dicevamo qualche rigo più su) quanto sostanzialmente velleitaria e in definitiva superficiale, seppure di una superficialità magniloquente. Siamo insomma in presenza di un film più effettistico che davvero intimamente sentito, come se i suoi autori volessero giocare a épater le bourgeois con una serie di scorciatoie tematiche o narrative e di strizzatine d’occhi fintamente scandalistiche. Un film palesemente derivativo, insomma, ispirato al limite del plagio al magistero del cinema di Yorgos Lanthimos o alla letteratura di Robert Sheckley.
Eppure gli spettri che il copione agita sono molto realistici e piuttosto spaventosi: il tema del controllo delle nascite al fine di ridurre il sovrappopolamento del pianeta ha già scatenato la legittima fantasia di molti teorici della cospirazione e mistici del complotto. Per non dire dell’inquinamento atmosferico e suoi derivati, of course. Giusto perciò che gli autori del cinema si esercitino a elaborare trame narrative su questo e altri temi consimili, meglio ancora se lo facessero però senza ricorrere a certe fumisterie più o meno furbesche.
The Assessment – Regia: Fleur Fortuné; sceneggiatura: Mrs & Mr Thomas, John Donelly; fotografia: Magnus Jonck; montaggio: Yorgos Lamprinos; scenografia: Jan Houllevigue; costumi: Sarah Blenkinsop; musiche: Emilie Levianaise-Farrouch; interpreti: Elizabeth Olsen, Alicia Vikander, Himesh Patel, Minnie Driver; produzione: Augenschein Filmproduktion, Number 9 Films, Project Infinity, ShivHans Pictures, Tiki Tane Pictures; origine: Gran Bretagna,/USA/ Germania, 2024; durata: 114 minuti.