His Three Daughters di Azazel Jacobs

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Penso che si possa convenire sul fatto che il 31 gennaio 1901 segni una data fondamentale nella storia della drammaturgia mondiale, è la data in cui al Teatro d’Arte di Mosca ha luogo la prima rappresentazione di Tre sorelle di Anton Cechov per la regia di uno dei grandi maestri del teatro moderno, ossia Konstantin Stanislavskij. La messa in scena di quel dramma costituisce un punto di partenza e di non ritorno in quello che si potrebbe definire lo scandaglio di una psicologia familiare di stampo sistemico in cui nessun individuo può essere più còlto e descritto prescindendo dalle relazioni intime che intrattiene con la propria famiglia, che vengono messe a nudo con crudezza prescindendo da qualsivoglia tabu relazionale, da qualsivoglia auto-inganno affettivo. Da Cechov in avanti si dà quasi per scontato che rappresentare una storia famigliare sia, dietro la facciata, raffigurare un inferno e che tre sorelle, dietro la più o meno velata apparenza di armonia e comprensione, nascondano una relazione basata sulla competizione e sull’odio represso, una competizione che talvolta è assoluta, ontologica e talvolta ha come oggetto del contendere l’affetto, l’attenzione del mondo, spesso da parte del mondo maschile, padri, compagni, figli.

La storia del cinema, soprattutto quella del cinema d’autore è disseminata di esempi di film su/con tre sorelle e le dinamiche e le convenzioni sono un po’ sempre le stesse, nella migliore delle ipotesi ci si muove sul sottile discrimine fra tragedia e commedia, lo scavo psicologico, la disamina relazionale presenta un larghissimo spazio dedicato al dialogo, si parla molto cioè, l’aggressività che presto o tardi potrà emergere anche a livello fisico è in primis un’aggressività di natura verbale, ciò che contribuisce ad aumentare il marcato impianto teatrale di film del genere che spesso si svolgono all’interno di ambienti chiusi, a significare se ce ne fosse bisogno il carattere claustrofobico e senza via di uscita di queste relazioni. Pensiamo, giusto per fare qualche celebre esempio cinematografico, a Interiors (1978) o a Hannah e le sue sorelle(1986) di Woody Allen oppure a Sussurri e grida (1972) di Ingmar Bergman, ma la lista potrebbe essere lunghissima.

È quanto accade nel notevole film dal significativo titolo His Three Daughters, dunque non Tre Sorelle, ma Tre figlie, anzi Le Sue Tre Figlie, là dove il pronome personale alla terza persona maschile si riferisce alla persona, rispetto alla quale si gioca la relazione delle tre donne, il padre, il padre morente. Le tre donne – fra i trenta e i quaranta (stando alle attrici la più vecchia è del 1979 e la più giovane è del 1989: Carrie Coon, Natasha Lyonne, Elisabeth Olsen tutte di straordinaria bravura, ma anche qua nulla di strano, questo tipo di drammi, questo tipo di film presentano sempre attrici  di straordinario livello) – si ritrovano letteralmente al capezzale del padre morente, un padre che per quattro quinti del film ci viene sottratto o meglio ci viene mostrato in versione metonimico-acustica, ossia sotto forma di bip proveniente da un macchinario che ne attesta l’esistenza in vita.

È interessante che di nessuna delle tre figlie si venga ad apprendere il mestiere che fanno, gli studi che hanno fatto (se ne hanno fatti), si intuisce che la famiglia non ha mai versato in acque troppo cattive, il padre è stato un burocrate di un ufficio pubblico, le figlie sono nate da due matrimoni diversi (le prime due da uno, la terza da un altro) e hanno in comune oltreché il padre il fatto di aver perso le rispettive madri. Manca dunque al regista e sceneggiatore e montatore Azazel Jacobs l’ambizione di conferire a questa storia qualsivoglia valenza sociologica, quel che conta è l’antropologia, la lotta e la fatica per affermare le proprie identità e i propri valori, o quanto meno per rifiutare quelli delle altre. Si tratta con tutta evidenza di tre persone danneggiate (non sappiamo e non ci interessa capire perché), forse danneggiate all’origine, che combattono le proprie battaglie, rispetto alle quali la figura del padre sembra a più riprese un mero pretesto. A Katie sembra solo interessare il cosiddetto DNR, cioè il modulo in cui il moribondo ancora in grado di intendere e di volere lascia scritto che in caso di stato pre-agonale o comatoso non vuole essere resuscitato, questa battaglia è divenuta per la prima sorella, che vive a Brooklyn, una questione di clamorosa importanza; a Rachel, che conviveva con il padre ancor prima di questo summit finale, interessa di poter continuare a vivere uno straccio di normalità che nel suo caso significa farsi le canne e scommettere su competizioni sportive, ciò che suscita il disappunto soprattutto di Katie che la dileggia e la costringe ad andare a fumare fuori di casa; e poi c’è Christina,  con tratti new age, che è arrivata dalla west coast e si attacca morbosamente alla sua identità di madre, lasciando intuire che forse la sua personalità non consta di molto altro, e che spreca fiato a cercar di mediare fra le altre due sorelle.

Il film è scritto tremendamente bene e pur quasi tutto girato dentro la casa del padre e di Rachel è molto riuscito anche sul piano della regia e del montaggio. Convince anche l’estrema consapevolezza di Jacobs, in una scena a cui si allude nella seconda parte del film, che il testo non può vantare alcuna velleità realistica, che il film che guardiamo è una finzione.

Il film è stato presentato al Toronto Film Festival nel settembre del 2023, e circa un anno dopo, come si dice sempre, in alcune “selezionate sale” degli USA, e  lo si può vedere in tutto il mondo, su Netflix.

Su Netflix dal 20 settembre 2024


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