Assassinio sul Nilo di Kenneth Branagh

Il verbo ‘tradire’ viene dal latino ‘tradere’ che significa ‘consegnare’. I primi traditori erano quei cristiani che rinnegavano la fede e consegnavano i testi sacri ai romani, denunciando i compagni e mandandoli così a morte.

Detto ciò, Kenneth Branagh tradisce Christie e la consegna alla contemporaneità. Di nuovo. Dopo Assassinio sull’Orient Express (2017), con Assassinio su Nilo Kenneth Branagh è deciso nel voler dare calore al freddo Poirot: il regista, nonché protagonista, vuole che il suo eroe prenda con la forza la scena e per farlo – tradendo così la rappresentazione che la Christie dava del detective – utilizza tuttavia l’elemento cardine di ogni personaggio della regina del giallo: il desiderio.

Battaglia delle Somme. Un giovane Hercule Poirot (Kenneth Branagh) salva l’intero battaglione intuendo quale sia il momento migliore per assaltare un ponte. La missione ha successo, ma il capitano del battaglione fa un passo di troppo: s’innesca una bomba e Poirot si ritrova in infermeria. Al capezzale, la fidanzata Katrine osserva il viso sfregiato del suo amato e gli suggerisce la soluzione: perché non farsi crescere un paio di baffi?

Trascorrono anni e quei baffi si trovano in Egitto. All’ombra delle piramidi la golden girl Linnet Ridgeway (Gal Gadot) ha appena sposato lo spiantato Simon Doyle (Armie Hammer), i due sono in luna di miele con invitati al seguito: il riservato cugino Andrew (segretario di Linnet), la timida assistente Louise, il deluso ex-fidanzato dott. Bessner, la travolgente cantante Salome Otterbourne e la deliziosa figlia-manager Rosalie, la dirompente (comunista) madrina Marie Van Schuyler accompagnata dall’infermiera Bowers, infine il sognatore Bouc, amico di Poirot, e la madre, pittrice Euphemia.

La tavola degli ospiti è insomma apparecchiata, all’appello manca soltanto un personaggio. O forse no. Jaqueline De Bellefort (Emma Mackey) entra in scena portando tutta la sua (splendida) furia vendicatrice: fino a poche settimane prima era la fidanzata di Doyle, è stata lei stessa a presentarlo a Linnet, certo non aspettandosi che l’amica glielo rubasse. Gli sposini fuggono con compagnia al seguito sul Nilo, via battello Karnak, ma davanti ad Abu Simbel Jaqueline torna a bordo: scenate di gelosia, spari, sangue, corse sui ponti, ricerca del dottore. In tutto ciò, Poirot stordito a letto. Il giorno dopo la giovane ereditiera viene trovata morta e colei che la odiava di più ha un alibi di ferro. Forse non era l’unica a voler vedere morta Linnet Doyle.

È chiaro come Branagh non presenti soggezione alcuna nel maneggiare l’opera di Agatha Christie. Il capolavoro dell’autrice inglese è per lui un soggetto che deve stare al suo di passo, non viceversa, e l’atteggiamento adottato può piacere o meno, tuttavia qualsivoglia critica relativa a indecisione registica è da evitarsi. Il regista inglese sa quello che fa, gestisce la storia scelta con libertà precisione coerenza, insomma con la chiara intenzione di dare una forte direzione personale alla pellicola: la trama ha ritmo, i personaggi ben delineati, le scenografie creano un ottimo sfondo (il CGI soffre un po’ gli esterni assolati ma la fotografia lo aiuta), e soprattutto la mdp cerca inquadrature non scontate che mantengono viva la pellicola e interessano l’occhio dello spettatore.

Le scene sono infatti arricchite da una girandola di punti di vista a studiare il viso dell’interrogato mentre questi è sottoposto alle incalzanti domande dell’accusa: «Poirot accusa tutti di omicidio» suggerisce Bouc e l’investigatore non può che assentire «sì, è vero». Ecco, un esempio di una sceneggiatura che vive dell’eredità della regina del mistero («il denaro è l’unico amico su cui una donna può contare» e «si è sempre vendicata nella sua vita») e nel far parlare ha occasione di rovistare nell’animo dei personaggi, prova ne è che «Poirot accusa tutti di omicidio» però – si noti – al contempo li accusa pure di «amare».

Branagh si discosta in più occasioni dalla scrittrice inglese – derive femministe comprese -, è però innegabile che sappia mantenere quello che è il lato pulsante della poetica di Christie: il desiderio. A ogni personaggio manca qualcosa, denaro o amore, la prima mancanza spesso in condizione di subalternità – e quindi mezzo – nei confronti della seconda, e questo debito nei riguardi della propria vita diventa immediatamente richiamo lancinante e acuto che desidera soluzione nell’esistenza degli altri, anche al costo di sottrarre e spezzare. È quindi una giostra di desideri tra chi ha paura di volere e chi ha paura di perdere, con l’agnello sacrificale di turno che già sa di essere condannato e attende soltanto che il coltello si decida a scendere (e la pistola a sparare).

Aggiunta personale del regista è però inoculare questo ingrediente strettamente umano in colui che meno umano sarebbe: Hercule Poirot. Il detective non è solo pasticcini e cravatte ben piegate, è invero un debole come tutti coloro che lo circondano, colpevoli o meno, e anche lui deve capire che a osservare la vita, e cercare di risolverla, ha un prezzo: quello di vivere solo la metà. È quindi un personaggio in divenire quello che si osserva, ferito e collerico, geniale e stupido, minaccioso e sentimentale, pistola in mano e lacrime agli occhi. Le ultime parole del film sono le sue, nulla più di un tentativo di frase: «magari…magari». Capire perché è stata presa una decisione – magari quella di uccidere – non è facile quanto prenderne una, e ora è il suo turno. Tutto ha però un prezzo.

Dal 10 febbraio al cinema


Assassinio sul Nilo – regia: Kenneth Branagh; soggetto: dal romanzo di Agatha Christie; sceneggiatura: Michael Green; fotografia: Haris Zambarloukos; montaggio: Úna Ní Dhonghaíle; effetti speciali: Jim Machin, David Watkins, George Murphy, Jon Bowen; musica: Patrick Doyle; scenografia: Jim Clay; costumi: Paco Delgado; trucco: Nicola Iles; interpreti: Kenneth Branagh, Tom Bateman, Annette Bening, Russell Brand, Ali Fazal, Dawn French, Gal Gadot, Armie Hammer, Rose Leslie, Emma Mackey, Sophie Okonedo, Jennifer Saunders, Letitia Wright; produzione: The Estate of Agatha Christie, 20th Century Studios, Scott Free Productions; origine: USA, 2022; durata: 127’; distribuzione: 20th Century Studios.

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