Il filo invisibile di Marco Simon Puccioni

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Il cinema di Marco Simon Puccioni è fatto di incontri – talvolta non troppo lieti, ma sempre e comunque fortunati: fra le (numerosissime) opere del regista romano spiccano in particolare Riparo, sorta di coro a tre voci presentato sul red carpet berlinese del 2007, e Come il vento, hommage alla vita e al lascito morale di un’inflessibile Antonia Miserere qui magistralmente interpretata dall’impeccabile Valeria Golino. A passare in sordina è, però, il bipartito My Journey to meet you, progetto ambizioso e polifonico con cui l’autore sceglie di raccontarsi al piccolo e grande pubblico: Prima di tutto (2016) e Tuttinsieme (2020) aprono un pertugio verso l’intima quotidianità delle famiglie con genitori omosessuali, tentando di sfatarne i cliché e i grotteschi miti che spesso e volentieri maturano all’ombra dei mass media.

Partiamo da qui, dunque: si, perché Il filo invisibile rielabora in termini di finzione il viaggio-documento già immortalato fra il 2016 e il 2020. Le costellazioni di partenza rimangono fedeli a loro stesse, alla tragica normalità che contraddistingue l’ordinario, all’irrequieto anonimato nel quale gli sceneggiatori scaraventano i personaggi – nessuno escluso. Quasi ripercorrendo la trama dei mosaici precedenti, Puccioni allestisce un film dentro al film: alla cinepresa troviamo Leone (Francesco Gheghi), il sedicenne goffo e un po’ sparuto nel quale la stragrande maggioranza degli spettatori non avrà alcuna difficoltà a riconoscersi. Ad introdurci nel microcosmo di questo adolescente privo di segni particolari è una coloratissima carrellata di immagini che sembrano provenire dal vivace marasma del Web: in occasione di un progetto scolastico, il ragazzo dischiude il sipario sul palcoscenico della propria esistenza, puntando i riflettori del suo smartphone sugli attori di una commedia umana piuttosto comune.

Così, stringiamo amicizia con i congiunti del nostro eroe in miniatura: Paolo (Filippo Timi) e Simone (Francesco Scianna) sono la classica coppia di vecchia data, i genitori imperfetti toccati in sorte a chiunque si nasconda dietro il teleschermo. Il concetto di parentela è universale, così come universale è il volto delle sue componenti. E infatti, papà e papà non sono purtroppo esenti dalla triste logica della consuetudine, ma si perdono nel tradizionale e noiosissimo quadretto familiare ben noto ad ogni teenager che si rispetti: entrambi egoriferiti, entrambi leggermente frustrati, entrambi immersi nell’intricata ragnatela di nevrosi che avviluppa l’amor domestico, Paolo e Simone sono i perfetti prodotti dell’eterna e irreprensibile istituzione chiamata famiglia. La differenza è però racchiusa nel come, e non nel cosa – vale a dire, nelle battaglie che i due partner hanno dovuto sostenere per accedere all’agrodolce monotonia dell’usuale.

A chiudere il felice idillio è Tilly (Jodhi May), madre biologica di Leone e amica storica del nostro duo. Tilly va e viene come una sorella maggiore, la sua presenza discreta porta ordine nel groviglio sentimentale di cui i due padri sono talvolta preda. Ancora non lo sappiamo, ma la donna si rivelerà essere la chiave di volta necessaria per disinnescare le tensioni che regolarmente minacciano il precario focolare. Al di fuori del nido d’infanzia gravita il liceo con le sue comparse – che sono, nell’ordine: il proverbiale compagno d’avventura Jacopo (Emanuele Maria Di Stefano), la bella e (solo apparentemente) irraggiungibile Anna (Giulia Maenza), il misterioso e ribelle Dario dall’animo gentile (Matteo Oscar Giuggioli). Insomma, conosciamo la generazione Z con la stessa piacevole facilità con cui inghiottiamo un sorso d’acqua fresca.

Un sorso d’acqua fresca è in effetti la metafora giusta per descrivere lo stile e il linguaggio cinematografico di Puccioni, sospeso in un limbo fra gravità e leggerezza, fra commedia e dramma: il film non si limita a raccontare l’epopea gioiosa e politicamente corretta della cosiddetta famiglia omosessuale, ma ci apre una finestra sulla famiglia – punto e a capo. La trama ruota interamente attorno alla travagliata e sofferta separazione dei due padri, allo squallore mucciniano sprigionatosi dal tradimento, dalla vendetta, dalla lotta per l’affidamento del figlio ancora minorenne. Nel giro di pochi minuti, la favola a occhi aperti di Leone si sbriciola, trascinando con sé i finti assiomi che ne reggevano le fondamenta: c’è un po’ di amarezza nello scoprirsi parte di un mondo i cui ingranaggi sono perfettamente interscambiabili. C’è un po’ di sollievo nell’emanciparsi dall’obbligo di essere pubblicamente ineccepibili, o meglio, di soddisfare le strane aspettative altrui.

Con la levità necessaria a sfiorare i temi più insidiosi, il regista ci mostra i fili invisibili che si dipanano nei momenti di rottura, lacerazione e ricostruzione dei rapporti interpersonali. Ad unire i protagonisti è un affetto che va oltre i semplici legami consanguineo-burocratici, manifestandosi nelle diverse sfere di una quotidianità collettiva ed ampliando la nozione di nucleo domestico a più vasti orizzonti. Il lungometraggio finisce così com’è iniziato, ovvero con l’irruzione della verità e delle sue fotografie nel gradevole incantesimo della fiction adeguatamente vestita a festa: Leone avrà il coraggio di prendere in mano la tela della propria esistenza e tradire i luoghi comuni, portando a termine il progetto scolastico e accomodandosi, alla fine della proiezione, in platea accanto a noi.

Su Netflix dal 4 marzo


Cast & Credits

Il filo invisibile – Regia: Marco Simon Puccioni; sceneggiatura: Marco Simon Puccioni, Luca De Bei; fotografia: Gian Filippo Corticelli; montaggio: Francesco Fabbri; interpreti: Filippo Timi (Paolo), Francesco Scianna (Simone), Francesco Gheghi (Leone), Valentina Cervi (Monica), Matteo Oscar Giuggioli (Dario), Emanuele Maria Di Stefano (Jacopo), Giulia Maenza (Anna), Mauro Conte (Riccardo), Alessia Giuliani (Elisa), Gianluca De Marchi (Domenico), Jodhi May (Tilly), Gerald Tyler (Leroy); produzione: HT Film; origine: Italia 2022; durata: 90’.

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