Festa del Cinema di Roma: Berlinguer – La grande ambizione di Andrea Segre (Concorso – Film d’apertura)

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Andrea Segre è uno stimato regista veneto, ma anche ricercatore in Sociologia della comunicazione e dei processi culturali. Si è specializzato nel cinema documentario sin dalla sua opera d’esordio, Lo sterminio dei popoli zingari; ma ha anche diretto pregevoli opere di finzione, come Io sono Li (2011), in cui il principio ispiratore della sua poetica, ovvero la “marginalità”, è un dato sia etnico che etico. Ma Andrea Segre, che ha diretto Berlinguer – La grande ambizione, scelto come film d’apertura, in Concorso, della Festa del Cinema di Roma, non è Marco Bellocchio e neppure Giovanni Piperno. Non è Bellocchio che in Buongiorno notte ha rievocato le pagine più tragiche ed emozionanti della storia nazionale contemporanea, persino riscrivendole; ma neppure, più di recente, Giovanni Piperno, che maneggiando accuratamente ed empaticamente i materiali d’archivio di AAMOD, in 16 millimetri alla rivoluzione resuscita lo spettro del comunismo italiano, che è stato anche una narrazione di immagini, emozioni e miti quasi secolare.

Invece Segre, sulle cui spalle gravava, va detto, un compito molto gravoso – perché come tutti i film d’apertura il suo film dovrebbe gettare le fondamenta ideali della Festa in fieri, come fece egregiamente, sia da un punto di vista merceologico che culturale, lo scorso anno C’è ancora domani di Paola Cortellesi; e perché la biografia che ha deciso di filmare riguarda una figura tra le più straordinarie del nostro ‘900 – a nostro parere, delude, in parte, entrambe le attese. Il suo Berlinguer, infatti, non riesce mai davvero a trascendere la mera aneddotica cronachistica, facendosi – poniamo – elegia lirica o epica struggente; e al postutto non è nemmeno più in grado di restituire la flagranza spudorata del reperto documentale, come durante la passata stagione hanno fatto molto adeguatamente dei doc puri come Prima della fine – Gli ultimi giorni di Berlinguer o Arrivederci Berlinguer!

Incerto sulla strada da prendere e sul format da adottare, Berlinguer – La grande ambizione rimane ostaggio di questa incertezza, galleggiando a metà del guado tra la ricostruzione mimetica ad ogni costo, affidata a un trucco prostetico che denuncia quasi sempre la sua inadeguatezza congenita; e il ricorso a materiali di repertorio (ancora dell’AAMOD) che pretenderebbero di riesumare la salma del passato del nostro Paese, facendo appello alla mozione degli affetti della nostalgia, senza riuscirci mai, forse, davvero fino in fondo.

Elio Germano

Poco vale la sincera passione politica del regista, di cui si intuisce l’integrità, perché la si conosce sin dalle precedenti fatiche; ma che qui non riesce a bastare. E anche un mostro di bravura come Elio Germano, costretto qui a un mimetismo da imitatore televisivo (guardando il trucco pesante o l’espediente del colletto della giacca rialzato vengono in mente più Alighiero Noschese e Maurizio Crozza che le metamorfosi del metodo Strasberg), non può ripetere il miracolo di ridare vita a celebrità della nostra cronaca recente, come Antonio Ligabue o Matteo Messina Denaro, risultando in definitiva convincente solo nel pur meticoloso lavoro di calco del peculiare dialetto sassarese, che viene riesumato con una fedeltà fonetica sbalorditiva.
Eppure la materia era tanta e tutta incandescente: raccontare la storia di un uomo politico gigantesco, al centro degli snodi drammatici e decisivi del Secolo breve, e del partito che nel periodo in cui lo ha guidato si è trasformato in una magnifica epopea collettiva che ha riguardato la vita privata e i destini collettivi di masse sconfinate. Ecco forse troppo incandescente per il pur bravo regista nato a Dolo, il quale ha faticato non poco a metterla adeguatamente a fuoco, forse perché essendovi personalmente coinvolto non è riuscito a trovare la fatidica “giusta distanza”.
E però, sprofondati come siamo in questo presente privo di speranze, storditi dalla vertigine del precipizio di un conflitto planetario che parrebbe davvero dietro l’angolo, vogliamo pensare (magari proprio con l’ottimismo della volontà di quel Antonio Gramsci che il film e il suo protagonista rievocano spesso e volentieri) che la testimonianza di un esempio così magnifico (di leader e di masse), possa servire e rendere la prospettiva dei nostri anni un po’ meno disperata. Ce lo auguriamo. 


Berlinguer – La grande ambizioneRegia: Andrea Segre; sceneggiatura: Andrea Segre, Marco Pettenello; fotografia: Benoît Dervaux; montaggio: Jacopo Quadri; scenografia: Alessandro Vannucci; costumi: Silvia Segoloni; musiche: Iosonouncane; interpreti: Elio Germano, Stefano Abbati, Francesco Acquaroli, Paolo Calabresi, Roberto Citran, Pierluigi Corallo, Nikolay Danchev, Svetoslav Dobrev, Luca Lazzareschi, Lucio Patanè, Andrea Pennacchi, Paolo Pierobon, Elena Radonicich, Fabrizia Sacchi, Giorgio Tirabassi; produzione: Vivo film, Jolefilm, Rai Cinema; origine: Italia, Belgio, Bulgaria, 2024; durata: 122 minuti; distribuzione: Lucky Red.

 

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