Air – La storia del grande salto di Ben Affleck

  • Voto

Una scarpa è solo una scarpa finché qualcuno non la indossa.

L’America non ha una cultura. Basti pensare che prendono il nome di un intero continente per chiamarsi, nonostante siano soltanto una porzione di esso. Gli USA non hanno una cultura, invidiosi dell’Europa se la sono dovuti creare per mezzo di due mondi: il cinema e lo sport. Quando questi due s’incontrano, la mitologia statunitense si definisce. Air – La storia del grande salto rende cinema la storia del dio del basket, il più grande professionista di tutti i tempi, e di cosa si è messo ai piedi per il cammino di apoteosi, le Air Jordan. Una scarpa con un mercato attuale da quasi 4 miliardi. Ben Affleck si fa regista e mette su pellicola un film perlopiù statico ma immerso pienamente nel 1984, con un cast spaziale e una regia che si fa certosina in ogni singola scena, forse troppo, al limite del posticcio. Abbastanza buona la sceneggiatura nel gestire i molteplici dialoghi – a tratti ricorsivi –, anche se l’inciampo nell’apologia di brand è dietro l’angolo. Ma dopotutto, come disse Andy Warhol, marketing e arte non sono poi così distanti.

Just do it?

Lo abbiamo preso da un condannato. Lo disse al boia il giorno dell’esecuzione.

Sonny Vaccaro (Matt Damon) ha due passioni: l’azzardo e il basket. Per coerenza perde denaro in entrambi, nel primo caso sono soldi suoi, nel secondo quelli del suo brand. La Nike. Alla Nike stanno cercando da anni una figura di riferimento per sponsorizzare le proprie scarpe da basket. Per ora vendono prevalentemente scarpe da corsa, ma i neri per esempio non corrono.

I neri non corrono 42 km senza motivo, i bianchi li prenderebbero per ladri.

Ci vogliono allora delle scarpe da basket e qualcuno che le porti. Qualcuno come Michael Jordan. Ma Jordan è conteso: Converse e Adidas lo vogliono assoldare, chi per affiancarlo a Magic Mike e Bird, chi per farne la testa di ariete della prossima generazione. Michael è abbastanza chiaro a riguardo: accetterà qualsiasi brand che gli darà 250 mila dollari e una Mercedes. Qualsiasi brand, tranne Nike. Inizia allora un lavoro di squadra che vede Phil (Ben Affleck), il Ceo di Nike, e i dipendenti della saetta nell’impresa impossibile di convincere il campione. Ma per arrivare a lui bisogna prima passare dalla madre, Deloris Jordan (Viola Davis), perché lei lo sa bene:

Una scarpa è solo una scarpa, finché non la indossa mio figlio.

Credo che sia abbastanza chiaro, e comunque non scontato ripeterlo, che certi budget se li possono permettere soltanto gli americani. E poiché si parla dell’incontro di due miti, fare cinema e parlare di sport, il livello dell’asticella non è alto, è più che alto. Sempre tenendo conto che di un film per il mainstream parliamo. Ben Affleck realizza così un prodotto godibile per le quasi due ore di visione, un film che riprende temi cari ai film americani – il piccolo marchio che si sogna grande, l’impresa impossibile che per essere conquistata necessita soltanto di maggiore volontà, la ricerca del meglio a rischio di perdere tutto – e lo mette in non-azione, poiché la vicenda avviene per buona parte tra pareti che sono quelle della sede centrale della Nike. Per compensare la mancanza di azione fisica, il movimento viene trasporto in una regia alla ricerca perenne dello spunto come in dialoghi che evitano l’appiattimento sul già visto – ma non sul già detto, almeno a livello di narrazione – cercando di strafare, soprattutto dal punto di vista comico. E la drastica trasformazione in personaggi delle persone aiuta non poco. Il lavoro non manca di funzionare, anche se a tratti posticcio e inevitabilmente autocelebrativo.

L’apologia della saetta viene comunque contenuta – nei limiti del marketing. A discolpa si può dire che questa è una storia che merita di essere raccontata, tanto per la vicenda in sé tanto per la figura a cui si lega, Michael Jordan. Se in effetti un biopic sul campione NBA andrebbe incontro al doppio rischio di essere tanto celebrativa quanto riduttiva, prendere la storia del campione da un punto di vista laterale permette di porre attenzione tanto sul campione quanto su un America che non esiste più. In linea con la tendenza celebrativa degli ultimi anni, che va dal racconto della Hollywood degli anni d’oro ai biopic sugli artisti o sull’ultima danza della miglior squadra di basket di tutti i tempi – The Last Dance (2020, di Jason Hehir) -, la pellicola si colloca in quella linea nostalgica che racconta di un tempo nel quale il problema principale era mettere le proprie scarpe ai piedi del miglior giocatore del mondo e in secondo piano scivolano problemi attuali quali i cambiamenti – sociali, ecologici, politici, economici – che investono il nostro mondo occidentale. Si sa, il cinema è racconto, e cosa di meglio di raccontare la nostalgia di un tempo andato? L’importante è non rimanervi incastrati, o compiacersi di esserlo o credere realmente nella patina dorata della memoria perché appunto di patina si tratta, a volte rigorosamente doppia.

Air – La storia del grande salto è quindi un buon film, intelligentemente prodotto in un periodo nel quale il marchio Air Jordan sta di nuovo prendendo il volo sul mercato mondiale. Pellicola capace di riaffermare i valori di un’azienda, studiarne la storia, rinsaldare il rapporto con la sua star di eccellenza, è anche un prodotto interessante per come evita di sedersi sugli allori e cerca di rimodulare alcuni metodi narrativi che se non rinfrescati, rischierebbero di far cadere il film nel già visto e nello stancante. Il lavoro sui dialoghi, per esempio, non così scontato. Al regista si può soltanto contestare un errore di precisione: sporcare a volte la pellicola, può far solo bene. Per il resto, come insegna la stessa Nike, e un detenuto pronto all’esecuzione, se devi fare un film che coniuga sport e marketing e cinema, prendi un grande cast e

Just do it

Su Prime video 


Air – La storia del grande salto (Air)– Regia: Ben Affleck; sceneggiatura: Alex Convery; fotografia: Robert Richardson; montaggio: William Goldenberg; scenografia: François Audouy; costumi: Charlese Antoinette Jones; interpreti: Matt Damon, Ben Affleck, Jason Bateman, Marlon Wayan, Chris Messina, Chris Tucker, Viola Davis, Julius Tennon, Gustaf Skarsgård, Barbara Sukowa, Joel Gretsch, Dan Bucatinsky, Tom Papa; produzione: Amazon Studios, Mandalay Pictures, Skydance Media; origine: USA, 2023; durata: 112’; distribuzione: Warner Bros. (in sala) poi Prime Video.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *