Black Mirror – (6°Stagione) di Charlie Brooker

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A cinque anni di distanza dall’ultima stagione, la serie tv antologica di Charlie Brooker, che ci parla di distopia e ipotizza scenari futuri sempre più inquietanti, esce con una nuova stagione, la sesta, composta da cinque episodi. 

Il debutto di Black Mirror avvenne nell’ormai lontano 2011, con quella prima stagione straordinaria composta da tre episodi che ancora oggi rimangono tra i migliori di sempre. La risonanza del fenomeno fu impressionante, l’espressione alla Black Mirror divenne di uso comune quando si trattava di descrivere certe atmosfere e tematiche distopiche, e dimostra quanto impatto ebbe la serie nell’immaginario collettivo. 

A quella leggendaria stagione fecero seguito altre due, composte tutte da episodi di altissimo profilo, tra cui ricordiamo White Christmas (Bianco Natale), forse in assoluto il migliore, ma anche White Bear (Orso Bianco), Be right back (Torna da me), Nosedive (Caduta libera), Hated in the Nation (Odio Universale). Poi qualcosa mutò, e si assistette ad un drastico calo qualitativo, nella quarta e nella quinta stagione. La produzione e la qualità registica, immutate, sono state inquinate da una banalità tematica, un sensazionalismo, e cosa peggiore, un moralismo completamente assente in precedenza.

Se la quarta stagione aveva ancora barlumi di qualità, (USS Callister, Hang The DJ) nella quinta non si salva quasi nulla, a partire dall’episodio interattivo di Bandersnatch, presentato come grande momento di evoluzione mediatica, altro non era che il solito film interattivo, né più né meno dei prodotti che circolano da decenni nel mercato videoludico, con una trama piuttosto fragile. Nonostante tutti gli episodi continuassero ad essere scritti da Brooker, le ambizioni ed i contenuti si fanno più esili e più banali, i tre episodi della quinta serie sono un agglomerato di luoghi comuni, riflessioni superficiali sulla tecnologia, e striscianti lezioncine morali sui pericoli dell’utilizzo dei dispositivi (Smitherseen). Con Striking Vipers (diretto da Owen Harris, una vecchia conoscenza, che fece il suo debutto con Torna da me, contenuto nella seconda stagione) si arriva a toccare il fondo, un episodio realizzato senza l’apparente minima competenza né della tematica né del contesto, con uno smarrito gusto per il dialogo che lascia posto ad una penosa standardizzazione delle conversazioni. Peccato, perché l’idea di fondo, come quasi sempre accade, anche negli episodi peggiori, non era da buttare. 

L’annuncio di una nuova stagione, dunque, genera ormai reazioni non più così euforiche, anzi, è più il timore che la mediocrità delle ultime reiterazioni si confermi piuttosto che la speranza di un risollevarsi delle sorti. 

Questa nuova, però, pur non raggiungendo i fasti qualitativi delle prime tre, ritrova qualcosa di buono. Notiamo subito ormai che Black Mirror non persegue più una cifra tematica ma solamente stilistica: di episodi che affrontano il tema della distopia tecnologica ce ne sono solamente due, gli altri sono racconti di genere horror-thriller, che mantengono un certo tipo di fotografia e di atmosfera, ma rinunciano alla coerenza del tema. Charlie Brooker vuole evolversi, esplorare nuove istanze, pur mantenendosi sotto il sicuro ombrello della sua Black Mirror, rischiando così di annacquarne l’identità. Scelta discutibile, ma che siamo disposti tranquillamente ad accettare: quel che conta, in fondo, sono le storie, e come vengono raccontate. 

Il primo episodio, che si rivelerà essere anche il migliore di questa nuova serie, contiene un’intuizione non banale ed effettua anche una diretta critica alla stessa piattaforma che ospita le serie. Si tratta di una riflessione sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale, e sulla generazione semi automatica dei contenuti, nel campo della regia, portata alle estreme conseguenze: Joan is Awful mette in scena una serie tv che si scrive da sola, basandosi sulla vita reale di un personaggio qualunque, le cui gesta vengono registrate e drammatizzate con attori generati artificialmente, a cui le star hanno prestato il volto. Tra di esse, una Salma Hayek esplosiva, che interpreta una versione estremamente spassosa e autoironica di sé stessa. In questo episodio c’è tutto, il dramma, la stupidità umana, l’ironia, e la riflessione non banale sulla tecnologia. Voto Quattro Stelle e mezzo. 

Loch Henry, il secondo episodio, costituisce il primo caso di racconto presentato sotto l’etichetta Black Mirror ma che non presenta nessuna delle caratteristiche tematiche che ha reso celebre la serie. È un thriller ben costruito, con buone atmosfere, e diversi spunti interessanti, che fanno riflettere su cosa significhi realizzare un documentario al giorno d’oggi. Molto verosimilmente, si mostra in che modo le esigenze del pubblico, e le richieste della produzione, possano modificare e stravolgere completamente l’intento iniziale degli autori. Voto Tre stelle e mezzo 

Si passa poi a Beyond the Sea, unico altro vero episodio alla Black Mirror, che vede protagonista Aaron Paul (Breaking Bad), nei panni di un astronauta, assieme ad un collega (Josh Hartnett). I due sono in missione da vari anni, isolati dal resto del mondo, ma possono ricorrere ad androidi che si trovano sulla terra, in cui viene temporaneamente trasferita la loro coscienza. La tragedia che coinvolgerà uno dei due porterà conseguenze estremamente complesse nella loro convivenza, dalla quale dipende, a tutti gli effetti, anche la loro sopravvivenza. Quattro stelle. 

Con le distopie e le tecnologie abbiamo chiuso. Gli ultimi due episodi parlano di altro. Mazey Day, il più dimenticabile e sconclusionato, è una reiterata critica al cinismo della professione del fotoreporter, con personaggi insulsi e privi di carisma, sul finale si unisce al carrozzone pure l’elemento del sovrannaturale, inaspettato, ma che non muta l’inconsistenza di una storia troppo infarcita di cliché. Due stelle. 

L’ultimo episodio, Demon 79, presentato sotto l’etichetta di “Red Mirror” potrebbe essere il preannuncio di un inedito paradigma, composto da nuovi ingredienti, con i quali Brooker sta sperimentando. La storia infatti è un mix di horror, commedia e sovrannaturale. La protagonista (Anjana Vasan, già vista in Killing Eve) possiede un innegabile carisma e la vicenda si guarda con piacere; è palese il riferimento a Death Note, sia nella presenza di un demone che nell’abbigliamento di quest’ultimo, mentre il resto della vicenda strizza l’occhio al recente film di M. Night Shyamalan, Bussano alla porta. Un prodotto insomma, altamente derivativo, che di originale presenta ben poco. Ma è sufficiente condensare questi elementi attraverso la formula registico-fotografica di Black Mirror per ottenere comunque un prodotto niente affatto malvagio. Tre stelle e mezzo. 

Che questo sia il primo episodio di una nuova serie antologica denominata Red Mirror, è ancora presto per dirlo. Ed è ancora presto, fortunatamente, per piantare l’ultimo chiodo sulla bara del brand di Black Mirror, che, con questa ultima stagione, si rimette in sesto, e sfodera un paio di perle che gli permettono di mantenere una certa dignità. Lo guardiamo allontanarsi leggermente barcollante e frastornato, ma comunque in piedi. E se questa sarà la sua ultima stagione, potremo dire che il viaggio non è stato affatto male, e ne è valsa la pena, fino alla fine. 

Su Netflix


Mirror (stagione 6) – Showrunner: Charlie Brooker; regia: Ally Pankiw, Sam Miller, John Crowley, Uta Briesewitz, Toby Haynes; episodi: 5, Interpreti: Annie Murphy, Salma Hayek, Michael Cera, Aaron Paul, Josh Hartnett, Anjana Vasan; produzione: Netflix; origine: UK, 2023; durata: 60 minuti ad episodio; distribuzione: Netflix.  

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