Festival di Venezia (28 agosto- 7 settembre 2024): Carlo Mazzacurati – Una certa idea di cinema di Mario Canale, Enzo Monteleone (Venezia classici – documentari)

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Intenso, delicato come tutto il cinema di Carlo Mazzacurati e anche doveroso (a dieci anni dalla scomparsa, avvenuta troppo presto, del regista veneto). In una parola: bellissimo. Ma procediamo per gradi, cercando di non confondere molto il lettore. Partiamo da un’immagine (ovviamente non si dirà in quale momento esatto del film essa appare), per la precisione da una serie di scatti fotografici che Nanni Moretti e Mazzacurati stesso si fanno in una di quelle cabine per fototessere che una volta si trovano di sovente per le strade di città. I soliti quattro scatti insomma, in bianco e nero questi, dove i due, come adolescenti non ancora svezzati, si divertono insieme a scherzare coi loro volti con in testa il casco da moto. C’è infatti un piccolo particolare: siamo nel 1986 (esattamente l’anno prima del secondo film di Mazzacurati, Notte italiana, che sarà lo stesso Moretti a produrre con la sua nascente “Sacher Film”) e in Italia entrò in vigore l’obbligo del casco per la circolazione dei mezzi due ruote. Infatti, sul bordo basso della foto (a mo’ di titolo di un’opera), si legge: “18 luglio 1986 – Introduzione del casco obbligatorio”. Uno dei significati pregnanti di questo documentario vive proprio in questo sentimentale fotogramma. Nel senso che ci ricorda, visto che in questi tempi a noi contemporanei sembra che ce ne siamo un po’ dimenticati, come il buon cinema è in sostanza il risultato di fortunati incontri.

Tutti i film di Mazzacurati, i suoi set che in questo documentario vengono messi a nudo, la sua integrale visione di cinema esprimono in modo speciale questa verità superiore. Fare cinema voleva dire prima d’ogni cosa prestare fede tutti insieme in un’idea e cercare di realizzarla nel miglior modo possibile. Sembra che poi Mazzacurati, così come raccontano gli attori e amici in questo film, non fosse mai stanco di offrire sempre nuovi discorsi intorno alla natura di un personaggio o sulle coordinate di una singola messa in scena. Pare fosse prolisso assai, e ciò lo caratterizzava in modo particolare. In questo documentario è possibile rintracciare in breve un modo corale di fare film in Italia che, dopo i grandissimi protagonisti del neorealismo come della commedia (che si ricorderanno sempre nella storia del cinema in particolare come enormi individualità), più sottovoce (come pare parlasse proprio Mazzacurati sul set) “la meglio gioventù” ritenta di raffigurare i nuovi tipi italiani alle prese con i loro nuovi problemi.

Messo a fuoco quest’aspetto in generale più formale, proviamo a evidenziare alcuni argomenti e questioni di contenuto che ricorrono nel cinema di Mazzacurati e che grazie a questo documentario emergono con chiarezza. Ci sono almeno tre nuclei tematici che in sintesi attraversano tutto il suo lavoro. Questi sono: identità, umanità e territorio (o, se si vuole, ambiente). Partiamo dal primo. Identità per Mazzacurati vuol dire inseguire con la macchina da presa le metamorfosi (per dirla alla Goethe) di speciali tipi di personalità capaci di elevarsi, nello spazio di gioco (per dirla invece alla Walter Benjamin) tra singolarità e universalità, al fine di un confronto aperto col senso di intenzionalità di noi esseri terrestri. Con “inseguire” qui s’intende proprio uno stare appresso, addosso a questi tipi, vederli (per farli vedere) nel loro evolversi, nel loro cambiare, nel loro mutare forma. E questo Mazzacurati lo fa diventare progetto artistico a lungo termine, nel senso che film dopo film riprendere quei personaggi lasciati precedentemente e li torna a raccontare sotto le loro nuove sembianze. È un cinema, quello suo, fatto di piccole figure esemplari d’identità che vediamo crescere nell’insieme dei suoi film, dove quest’ultimi sembrano essere delle vere e proprie stazioni di diversi percorsi esistenziali.

i due registi Enzo Monteleone (a sinistra) e Mario Canale (a destra)

A questa macro-questione è strettamente connessa la seconda: quella dell’umanità. E sì, perché il complesso e articolato affresco che il regista padovano dipinge nel corso del tempo attraverso i suoi lavori ha come fine un particolare intento: quello di indagare, in ecoscandaglio, il mondo umano contemporaneo a lui noto. V’è da sottolineare che le sue storie si risolvono esclusivamente nella prassi. È la stessa possibilità di movimento che fa di continuo riassestare le sorti dell’umano: e ciò va per Mazzacurati costantemente e intimamente scortato dall’occhio della macchina da presa. Di fatto, i protagonisti dei suoi film sono sempre in transito, si spostano, viaggiano, emigrano alla volta di un altrove immaginato che rispetto al mondo reale, quello fatto appunto in carne e ossa, sembra aver appena un vago riferimento. Da questo punto di vista, il suo cinema si potrebbe definire dell’erranza, in tempi in cui la società italiana iniziava anch’essa a esperire per esempio quella dimensione multietnica, caratteristica che l’avrebbe sempre più contrassegnata nel suo complesso. Questo dato apportava, con i suoi tempi di gestazione, nuovi confronti umani verso culture molto poco note, abitudini con cui relazionarsi, paure e insofferenze guardando al futuro. Anche qui si insinua il cercare-guardare di Mazzacurati per approfondire l’evolversi delle relazioni umane nel nostro paese alla luce di tutto ciò. Non c’è attore, infatti, che nelle interviste qui montate, non tochi questo rapporto, tra cinema e mondo umano, ripensando all’esperienza di lavoro con lui. Non manca nel suo sguardo anche una fine attenzione all’ambiente in cui le sue storie come i suoi personaggi emergono: ai paesaggi, soprattutto quelli a lui molto frequentati del Nord-Est italiano ma anche a quelli di una certa Roma sempre alla ricerca di se stessa, ai territori urbani come quelli rurali, a quanto l’habitat influenzi l’umore dei locali e a quanto esso venga a sua volta alterato da loro. Si avverte, in alcune scene dei suoi film, una sorta d’esperienza di tipo sublime.

Questo documentario ridà a pieno il senso della figura di Mazzacurati e del suo cinema. E riesce in ciò perché ci fa vedere soprattutto lui che parla (insieme anche a sequenze dei suoi film e alle testimonianze dei suoi attori e amici), che racconta i suoi inizi, le sue difficoltà, poi le sue consapevolezze dentro il mondo del cinema. È lui che narra, con metodo fenomenologico (direbbero gli studiosi di Husserl), i suoi film, soffermandosi sempre con sentita generosità sul perché portare sullo schermo proprio quella storia, quell’intreccio, quella tipologia di personaggio su cui, appunto, “valeva la pena di perderci un secolo in più”. Questo, infine, ci sembra forse, oggi più che mai, un grande insegnamento che con semplicità Mazzacurati ci lascia in eredità tramite il suo lavoro. Da un lato credere intimamente nella forma cinema, dall’altro non sprecarla, si potrebbe dire, ovvero realizzare i film di cui si avverte l’assoluta necessità.


Carlo Mazzacurati – Una certa idea di cinema; Regia: Mario Canale, Enzo Monteleone; Fotografia: Giuseppe Scampinato, Luca Zambolin, Mino Capuano, Andrea Conti; Montaggio: Simone Ludovici; Interpreti: Nanni Moretti (se stesso), Marco Messeri (se stesso), Roberto Citran (se stesso), Silvio Orlando (se stesso), Marco Paolini (se stesso), Antonio Albanese (se stesso), Fabrizio Bentivoglio (se stesso); Paola Cortellesi (se stessa), Maya Sansa (se stessa), Valentina Lodovini (se stessa), Giuseppe Battiston (se stesso), Valerio Mastandrea (se stesso), Isabella Aragonese (se stessa); Produzione: Bibi film tv, Fandango; Origine: Italia, 2024; Durata: 96 minuti; Distribuzione: Fandango.

 

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