La 21esima edizione delle Giornate degli Autori dedica la serata di pre-apertura, il giorno 27 agosto, al dramma di fantascienza L’invenzione di Morel (1974) proprio in occasione del cinquantenario della sua presentazione al Festival di Cannes (Quinzaine des Réalisateurs) per rendere omaggio così a uno dei suoi co-fondatori, il regista Emidio Greco, del quale il film è stata l’opera di esordio.
Questo incredibile e raro esempio di cinema fantastico prodotto in Italia nasce da una sceneggiatura che Greco aveva scritto a quattro mani, insieme al giornalista e autore Andrea Barbato, dopo essere stato profondamente colpito dal libro omonimo dello scrittore argentino Adolfo Bioy Casares e dalle teorie dell’amico di questo, nientemeno che Jorge Luis Borges; quest’ultimo inoltre aveva contribuito con un entusiastico prologo alla prima edizione ad accrescere la notorietà del racconto. E non dimentichiamo che proprio lo stesso libro di Casares aveva dato l’idea di partenza alla sceneggiatura scritta da Alain Robbe-Grillet per il capolavoro di Alain Resnais: L’anno scorso a Marienbad (1961).
Le prime sequenze ci consegnano l’intenso e cristallino blu del mare e una piccola barca con un uomo alla deriva. È un fuggitivo, (Giulio Brogi) che vediamo approdare su un’isola apparentemente disabitata e battuta da un forte vento. La scogliera che l’uomo – del quale non verremo a sapere il nome – si accinge a esplorare, rivela però una villa (i personaggi la definiranno ‘museo’ forse anche per contestualizzarla nella sua funzione di contenitore del passato) abbandonata da tempo, svuotata di ogni segno di presenza umana, a parte i libri dimenticati sugli scaffali e ormai ricoperti, come il raro mobilio rimasto, da uno spesso strato di polvere. Un giorno però il protagonista viene svegliato dal suono di una musica (un charleston) e nota in lontananza delle coppie danzanti. Curioso, e allo stesso tempo allarmato, si avvicina senza farsi vedere per osservare chi siano queste presenze arrivate dal nulla. Viene attratto in particolar modo da una donna, Faustine (un’elegantissima Anna Karina) che cerca invano di conoscere, rivolgendole la parola. E qui, arrivati nientemeno che al 33esimo minuto, il silenzio del film e il sibilo del vento sono interrotti per la prima volta dalla voce del protagonista. Ma lei sembra ignorarlo e lui torna a nascondersi.
Col passare dei giorni, l’uomo (e noi spettatori insieme a lui), viene a scoprire sempre più dettagli su queste enigmatiche presenze materializzatesi sull’isola, ne capta le conversazioni, a volte ripetitive, a volte misteriose, fino a poter osservare una serata elegante che si chiude con una rivelazione: Morel (John Steiner), il padrone di casa, altro non è che un pazzo scienziato che, per vivere il suo amore per Faustine in eterno, invece di conquistarla, ha registrato con un macchinario di sua invenzione i movimenti di lei e degli ospiti e ora le immagini, catturate a loro insaputa, rivivranno i loro gesti in perpetuo sull’isola. Se al fuggiasco si chiariscono in breve tutti i misteri sulla presenza/assenza del gruppo, i dubbi sulla ripetitività temporale degli eventi, e inizia pure lui a sperimentare con il macchinario alla ricerca di entrare nel complicato universo immortale della donna, di cui si è inevitabilmente innamorato; così invece allo spettatore, la visione filmica – e con questa il punto di vista del protagonista – si complica oltremodo di una riflessione metatestuale sulla percezione delle immagini cinematografiche tout court: la loro origine, il loro grado di eticità, la loro esistenza o meno quando proiettate, l’influenza del futuro sul passato. E si arriva così ad analizzare l’essenza stessa del cinema. Infatti, Greco non si accontenta di dare visione ai temi centrali presenti nel breve racconto di Casares, quali l’immortalità, la paura della morte, l’amore; ma anzi li arricchisce di un profondo discorso filmico in chiave metaforica. Possiamo ben dire che L’invenzione di Morel si inserisce perfettamente nel clima di prolifica discussione critica e teorica in corso in quegli anni nel campo del cinema non solo italiano, ma anche internazionale.
Inspirandosi allo stile di Antonioni (Zabriskie Point, 1970) e di Godard (Pierrot le Fou, 1965), Emidio Greco riesce a creare un’opera di esordio particolarmente matura e credibile che vive sia di immagini sapientemente costruite, dove lunghe carrellate alternano i campi lunghi o lunghissimi ai primi piani; sia di momenti ben calibrati; sia del ritmo del montaggio e della tempistica delle rivelazioni. E ciò a dimostrare l’esistenza di un copione ben scritto fin in partenza.
Anche nei dettagli, il film rivela la preparazione non solo tecnica ma anche erudita e avanguardista del regista pugliese il quale ha lavorato per tanti anni insegnando al Centro Sperimentale di Cinematografia. Non da ultima, la scelta di costruire (insieme allo scenografo Amedeo Fago) la villa-museo come un’icona dell’architettura modernista (a metà strada fra espressionismo e razionalismo) sulla scogliera dell’isola di Malta, che riesce quasi da sola a creare un’atmosfera di alienante sospensione temporale.
Ci auguriamo che questa visione del film in sala non si concluda qui al Lido, fra i soliti ‘addetti ai lavori’ e/o frequentatori assidui di festival cinematografici, ma sia solo il punto di partenza per una rivalutazione e una riproposta di L’invenzione di Morel anche ad un pubblico più vasto.
L’invenzione di Morel – Regia: Emidio Greco; sceneggiatura: Andrea Barbato, Emidio Greco dal romanzo omonimo di Adolfo Bioy Casares; fotografia: Silvano Ippoliti; montaggio: Mario Chiari; musica: Nicola Piovani; scenografia: Amedeo Fago; costumi: Gritt Magrini; interpreti: Giulio Brogi (Naufrago), Anna Karina (Faustine), John Steiner (Morel), Ezio Marano, Roberto Herlitzka, Anna Maria Gherardi, Giancarlo Marmori, Filippo De Gara, Claudio Trionfi, Margareth Le Van, Laura De Marchi, Dolly Dee, Fiorella Infascelli, Virginia Sabel; produzione: Mount Street Film-Coop, Alga Cinematografica; origine: Italia, 1974; durata: 110 minuti; distribuzione: Viggo.