Il maestro giardiniere di Paul Schrader

  • Voto

Presentato nel 2022 Fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia, questo ultimo lavoro del regista e critico Paul Schrader (autore, non dimentichiamo questo dato, di uno importante studio storico-critico sul Trascendente nell’opera di Ozu, Bresson e Dreyer) sin dalle prime sequenze dei titoli d’apertura ci rimanda a Goethe, soprattutto alla sua Metamorfosi delle piante (e non solo).

In apertura, infatti, lo spettatore è portato a vedere come i fiori lentamente si trasformano, crescono e prendono forma, dal loro essere appena semplici steli verso la loro massima fioritura. E qui si dipana, in tutta la sua sintesi di forme e colori, la “volontà di potenza” di tutto ciò che è esiste perché intende esistere. E altro non si può fare, tra l’altro. Questa è la vita, è il continuum della forma formans che conosce sì delle tappe, appunto quelle della forma formata, ma è costante trasformazione attraverso quel processo temporale che dal semplicissimo giunge, attraverso il dinamismo, fino a configurazioni di materia e forma sempre più complesse. La vita, Goethe per primo nella modernità ce lo ha ribadito in modo chiaro ed esteticamente rilevante, è essenzialmente mai stasi, bensì “giorno e notte” metamorfosi.

E da qui parte Paul Schrader, costruendo le sue immagini seguendo una storia apparentemente quasi banale. Dove tutto sembra nascondersi, celarsi allo stesso tempo è invece fortemente manifesto (in ciò qualcosa ci rimanda a David Lynch, e viceversa). La sensazione dell’“eppure c’è altro” da quello che in superficie si vede non è presente nella narrazione dei fatti. La chiave di accesso qui è costituita dalle scelte formali, ancora e appunto, cinematografiche del regista. Tutto il racconto precede lentamente e anche i movimenti di macchina sono in “adagio”. Lunghi primi piani con voce narrante: c’è poco da fidarsi insomma. Lo spettatore è quindi sempre portato a dubitare di quello che in apparenza sta osservando. E qui in parte si rintraccia il fascino del film molto bene architettato.

Quintessa Swindell e Joel Edgerton

Il sig. Narvel Roth (Joel Edgerton) è esperto conoscitore delle piante e della loro esistenza. Presta servizio come un giardiniere, si potrebbe dire “a corte” (anche se l’opera è ambientata ai giorni nostri), presso una tenuta (dal passato sudista) appartenente alla facoltosa signora Norma Haverhill (Sigourney Weaver). Il loro rapporto non si esaurisce in una semplice committenza legata alla cura delle piante. Eccome se ci fosse tra loro un tempo pubblico e uno privato-intimo. Questa doppia natura della loro relazione, molto utile a entrambi, è inevitabilmente fragile e facilmente alterabile, e quindi mutabile. Si nota subito che c’è una stabilità precaria, certamente funzionale ma in bilico. Lui servile fino a quanto basta senza mai perdere dignità, lei autoritaria però assai poco autorevole. E, come accade quando sulla scena si presenta un elemento esterno, così l’arrivo della giovane Maya (Quintessa Swindell), nipote di Norma, scombina tutte le carte. Quel “piccolo mondo antico” fatto di tempi, modi, leggi scritte e non scritte, gerarchia dalla funzionalità garantita di un orologio svizzero incomincia a perdere i pezzi, si decompone, va in frantumi.

Ed ecco in scena, ancora una volta, la forza della natura che sa bene come riprendersi la scena. Questa rivoluzione vera e propria (tipo quella che governa i cicli degli astri) pone da sé le condizioni per un nuovo e rinnovato cambiamento. Da cui non ci si può né difendere né pensare di non tenerne conto. Narvel e Maya accettano la sfida e si aprono, con le dovute e necessarie difficoltà, allo stato delle cose presente, mentre Norma resta arroccata su se stessa e si aggrappa alle sue sempre più ipotetiche quanto irrealistiche linee di continuità. Questa pagina delle loro vite intrecciate, pagina che inevitabilmente devono scrivere in qualche modo assieme, comporta tutte le peculiarità della discontinuità. E qui si potrebbe anche intravedere in un certo senso la fine di alcune modalità aristocratiche, sopravvissute ai precedenti tsunami di storica memoria.

Sigourney Weaver e Joel Edgerton

Ma tornando ai nostri protagonisti, la natura che ritorna prepotentemente a riprendere i suoi spazi con i suoi tempi è sovrana e tutti noi siamo i suoi sudditi. Infatti è essa che disvela, che squarcia il velo e mostra il profondo: ciò che c’è oltre il fenomeno. E così emerge il passato di Narvel e l’attuale presente di Maya da cui adesso possono entrambi rispettivamente allontanarsi. Bisogna accettare la vita così com’è, cercando di dirsi meno menzogne possibili. Essere necessario attraversare e attraversarsi per espiare se stessi e guadagnare la vita nova. In questo scommettono Narvel e Maya, no Norma. Ecco qui allora la rigenerazione (nemmeno poi tanto cercata in fondo, ma che comunque bussa alla porta) a cui però adesso si è capaci di dire sì, di vivere e condividere. Solo così si vince il già stato, quello che comunque ci ha segnato nel corso della vita, l’accaduto insomma. Narvel deve gioco forza pulire anche tutto il suo corpo dai tatuaggi che ha “incisi” sulla pelle. “Domani te li fai cancellare”, gli dice Maya. E così ci si ripristina: rinnovando. Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. E Norma invece pensa ancora di poter annientare. Rimarrà al palo, come si dice, sempre se stessa e non accederà al futuro. Schiacciata nel e dal suo passato, nella sua solitudine, forse piena di sensi di colpa senza redenzione, Norma (regola?) non conosce evoluzione, rifiuta la purificazione e non accetta la catarsi. E qui torna di nuovo il cinema.

Il maestro giardiniere è un’occasione per ridare linfa giovane alla forma-cinema che prova, rinnovandosi sempre, a offrire nuove prospettive. In questo senso quest’opera di Schrader è educativa, quasi come un romanzo di formazione per adulti (La vita istruzioni per l’uso?). Bellissimi i diversi frame fissi che riprendono scene in esterno, soprattutto notturne: ricordano la pittura di Hopper.

«Cerco di suscitare un coinvolgimento nei confronti di personaggi che non lo meriterebbero. Per farlo, bisogna trattenere alcuni elementi che ci aspetta di vedere, spingendo così chi guarda a protendersi in avanti nei confronti di quel personaggio. È una danza un po’ insidiosa ed è agli antipodi rispetto a ciò che spesso fanno i registi», afferma Schrader. Come non dargli ragione due volte…

In sala dal 15 dicembre 2023


Il maestro giardiniere (Master Gardener)  Regia e sceneggiatura: Paul Schrader; fotografia: Alexander Dynan; montaggio: Benjamin Rodriguez Jr.; musica: Dev Hynes; scenografia: Ashley Fenton; interpreti: Joel Edgerton (Narvel Roth), Sigourney Weaver (Norma Haverhill), Quintessa Swindell (Maya), Esai Morales (agente Oscar Neruda), Eduardo Losan (Xavier), Victoria Hill (Isobel), Amy Le (Janine), Erika Ashley (Maggie), Jared Bankens (R. G.), Matt Mercurio (Sissy), Rick Cosnett (agente Stephen Collins); produzione:  David Gonzales, Amanda Crittenden, Scott LaStaiti per Ottocento Films, Northern Lights Films, KOJO Studios, Flickstar; origine: Usa/Australia, 2022; durata: 111 minuti; distribuzione: Movies Inspired.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *