In Memoriam di Wolfgang Kohlhaase

La morte di Wolfgang Kohlhaase ( Berlino 1931-2022) segna la scomparsa del più grande sceneggiatore tedesco. Per sapere chi è stato bisognerebbe essere, in primo luogo, esperti di cinema della DDR, o più propriamente, come si diceva nei quarant’anni (1949-1989) in cui la DDR è esistita, del cinema della DEFA, acronimo di “Deutsche Film Aktiengesellschaft” (“Società per azioni del cinema tedesco”), la società statale di produzione cinematografica della Repubblica Democratica Tedesca, in capo alla quale risiedeva tutto il cinema della Germania Orientale.

E comunque, se non si fosse esperti del cinema della DDR, bisognerebbe quanto meno avere un po’ di dimestichezza con quello della Germania unificata, perché, quasi settantenne al momento della caduta del muro, Kohlhaase ha continuato a scrivere splendide sceneggiature per registi più giovani e meno giovani, in larga parte socializzati in DDR ma non solo, fra i quali spicca il nome di uno dei massimi, ovvero Andreas Dresen (1963), per il quale ha realizzato, fra gli altri, un gioiello di film intitolato Sommer vorm Balkon (L’estate davanti al balcone) del 2005, uno dei più bei film su Berlino girati all’indomani della riunificazione, disgraziatamente mai arrivato in Italia. Non a caso proprio Dresen ha scritto una breve postfazione alla ripubblicazione dell’unica raccolta di racconti scritta negli anni ’70 da Kohlhaase (tradotta recentemente in italiano da Bottega Editoriale: s’intitola Capodanno con Balzac) solo qualche mese fa presso il glorioso editore di Berlino Ovest Klaus Wagenbach (altro glorioso novantenne scomparso di recente) .

Sommer vorm Balkon (2005)

Se per caso non si conoscesse neanche Andreas Dresen, forse si conoscerà uno dei più grandi registi del Nuovo Cinema Tedesco, stavolta rigorosamente dell’ovest, ossia Volker Schlöndorff (1939), il regista, fra gli altri, della trasposizione cinematografica del Tamburo di latta tratto da Günter Grass o dell’Onore perduto di Katharina Blum tratto da Heinrich Böll. Ebbene, nel 2001 Kohlhaase scrive la sceneggiatura per un bel film, uscito anche in Italia, intitolato Il silenzio dopo lo sparo, sulla vicenda para-documentaria di un gruppo di terroristi della RAF  che con nuove identità e con la copertura della STASI ripararono in DDR nella seconda metà degli anni ’70.

Il silenzio dopo lo sparo (1999)

Se sventuratamente non si avesse dimestichezza né con il cinema della DEFA, né con quello di Dresen o di Schlöndorff, si potranno leggere queste poche righe per ricordare un autore davvero importante.

Le sceneggiature di Kohlhaase possono essere comodamente divise in tre gruppi. Il primo gruppo, che va dalla metà degli anni ’50 alla metà degli anni ’60, è forse il suo più celebre ed è esemplificato dalla trilogia poi tetralogia chiamata dei “film berlinesi” (“Berlin-Filme”) che – in un’epoca (ancora) pesantemente ispirata ai dettami zdanoviani del realismo socialista che voleva fornire della società tedesco-orientale un’immagine a tutti i costi ottimistica, didascalica e trasfigurante –  “osava” richiamarsi piuttosto all’estetica zavattiniana del pedinamento e ai film di De Sica, che Kohlhaase e il suo regista Gerhard Klein (1920-1970) avevano quasi di nascosto visto nella cineteca degli studi DEFA di Babelsberg, mettendosi a raccontare il disagio giovanile e le contraddizioni di una generazione praticamente cresciuta senza padri che faceva fatica a identificarsi del tutto con le prescrizioni dei vertici politico-culturali del partito. E segnalavano di preferenza – in linea con quanto stava accadendo in giro per il mondo (pensiamo soltanto alle innovazioni della Nouvelle vague, del Free cinema inglese o anche a film come Rebel without a cause di Nicholas Ray con James Dean protagonista) – i momenti di crisi e di crescita, i drammi dei giovani, pur nella consapevolezza che la Repubblica Democratica era e restava l’unica opzione possibile. Il film più celebre di questa prima fase, un autentico classico del cinema della DEFA si intitola Berlin Ecke-Schönhauser (Berlino Angolo Schönhauser), un film del 1957 ambientato nel quartiere berlinese (orientale, ovviamente) di Prenzlauer Berg dove vivono quattro ragazzi e una ragazza, un film non privo di tratti documentari, interpretato da attori pressoché esordienti, secondo appunto i classici stilemi del Neorealismo, allocato in questo caso né nella Roma della guerra né nella capitale del dopoguerra, ma in quella che si potrebbe chiamare Berlino città aperta, la città divisa ma non ancora tragicamente separata dal Muro che verrà edificato solo quattro anni più tardi, con i giovani costantemente tentati dai modelli occidentali ma che alla fine in larga parte vengono riassorbiti dal modello di una società più equa e più vera.

Berlin Ecke-Schönhauser (1957)

Con l’ultimo film della tetralogia che vedrà anzi non vedrà la luce otto anni dopo, Kohlhaase entra forse per la prima e ultima volta in conflitto con i vertici politico-culturali della DDR; si tratta di nuovo un film berlinese, stavolta intitolato Berlin um die Ecke (Berlino dietro l’angolo) che al pari di una dozzina di altri film resterà vittima di un giro di vite nel 1965 in esito alla riunione dell’XI. Comitato centrale del partito. Qui il testo di Kohlhaase, sempre in coppia con Klein, si avventura non solo a mostrare il disorientamento esistenziale dei ventenni nati intorno alla fine della guerra ma lo fa anche attingendo a uno stile già fortemente ispirato al modernismo cinematografico di Godard o di Antonioni. Ragion per cui, quel film, insieme agli altri di un’intera annata, verrà chiuso in un cassetto e potrà essere mostrato solamente una volta caduto il muro, alla Berlinale del 1990.

Il secondo gruppo di film, se possibile, ancor più importante del primo è quello dei film scritti per colui che è e è restato il principale regista della DDR ovvero Konrad Wolf (1925-1982), anch’egli, purtroppo, totalmente sconosciuto in Italia. Per Wolf – fra il 1968 e il 1980 – Kohlhaase scrive quattro film capaci di raccontare sia la contemporaneità per esempio in un altro storico e straziante film berlinese su una cantante solista denominato Solo Sunny (1980) – che valse alla protagonista Renate Krößner l’ Orso d’Argento come migliore attrice – sia la storia tedesca, soprattutto gli anni della guerra e dell’immediato dopoguerra in Ich war neunzehn (Avevo diciannove anni, 1968) e in Mama, ich lebe (Mamma, sono vivo, 1977), testi che dimostrano, se ancora ce ne fosse bisogno, la capacità dello sceneggiatore berlinese di raccontare storie dal basso, facendo comunque sempre trasparire in controluce le grandi vicende della Storia, con una capacità mirabile di concentrazione e di allusione, momenti di dialogo in cui non c’è mai una parola di troppo.

Renate Krößner in Solo Sunny (1980)

Vi è infine un terzo gruppo di film che attraversano la DDR e anche il cinema successivo alla riunificazione che sono le trasposizioni cinematografiche di testi letterari altrui, di cui Kohlhaase è ancora una volta maestro, si tratta quasi esclusivamente di testi della letteratura della DDR e di recente della post-DDR, alcuni dei quali noti anche in Italia, penso alla trasposizione del romanzo di Clemens Meyer Als wir träumten (2006, tradotto in italiano da Keller con il titolo Eravamo dei grandissimi) uscito nel 2015 con il medesimo titolo per la regia di Dresen oppure a quella del romanzo di Eugen Ruge, In Zeiten des abnehmenden Lichts (2011, tradotto in italiano da Mondadori con il titolo letterale ovvero In tempi di luce declinante) e il film con lo stesso titolo, inedito in Italia, girato da Matti Geschonnek nel 2017, l’ultima sceneggiatura scritta da Kohlhaase per un film che segnò una delle ultime, memorabili interpretazioni di Bruno Ganz. Nelle sceneggiature tratte da testi letterari Kohlhaase dimostra una non comune capacità di trasferire testi complessi nel medium cinematografico, con un’abilità nel selezionare il materiale, soprattutto nell’organizzazione dei dialoghi, che spesso risulta sensazionale.

Ho conosciuto personalmente Wolfgang Kohlhaase e nel  2010, dodici anni fa, lo invitai a dialogare con gli studenti a Ferrara, fu una esperienza di enorme livello, Kohlhaase era dotato di una capacità comunicativa sensazionale. L’ultima volta l’ho rivisto alla Berlinale nel febbraio del 2019, era seduto accanto a me a vedere lo splendido documentario Heimat ist ein Raum aus Zeit, che ho recensito per questa rivista.

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