Kill Me If You Can di Alex Infascelli

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Raffaele Minichiello è un uomo dai mille volti, capace, a suo modo di cadere e di reinventarsi più e più volte. Cresce in una famiglia povera a Melito Irpino e dopo essersi trasferito negli Stati Uniti a seguito del terremoto che ha distrutto quelle zone, all’ età di 17 e mezzo lascia la scuola e si arruola nei Marines, per poi imbarcarsi per il Vietnam a soli 18 anni , esperienza capace di cambiarlo radicalmente e per sempre.

Sull’ elmetto dei suoi compagni sono scritti i nomi delle fidanzate, sul suo, campeggia la gloriosa scritta ” Kill me of you can”. Egocentrico, megalomane? Forse, ma non solo.
Il nostro “eroe”, ora ultrasettantenne racconta tutte le sue vicissitudini, nel bene e nel male, con un sorriso accennato e timido sulle labbra, come fosse quasi un bambino colto nell’ atto di rubare la sua cioccolata preferita. Si coglie sul suo volto un misto tra serenità, ironia e ingenuità, nonostante tutto.
Tra le sue innumerevoli “gesta” una su tutte sembra la più rilevante, quella in grado di aver lasciato il mondo con il fiato sospeso per molte ore: Raffaele, è stato l’ autore e il responsabile del dirottamento più lungo della storia. Ma dal suo sguardo lucido e dalle reazioni delle persone attorno a lui sembra abbia rubato una bicicletta a un suo coetaneo in una giornata come tante. Ha dirottato un aereo, viene considerato come l’autore di una marachella, una birichinata, nulla più.

Nel dettaglio. Il 31 ottobre del 1969 Raffaele Minichiello, deluso dal mancato pagamento di una somma di denaro da parte dello stato americano dopo il rientro dalla guerra del Vietnam e dal rifiuto del trasferimento in Italia, a soli 19 anni, armato di un fucile, prende il controllo di un jet della TWA in partenza da Los Angeles diretto a San Francisco e poi alla fine Roma. La sua intenzione iniziale era di atterrare in Egitto, ma si accontenta di Roma.
Comincia un lunghissimo dirottamento, il più lungo nella storia dell’ aviazione compiuto per mano di un ragazzo dalla faccia pulita e dai modi apparentemente gentili e ingenui. È talmente sereno da riuscire ad intrattenere, durante il dirottamento, persino una conversazione piacevole con Tracy, l’ hostess di colore, una delle prime assunte dalla TWA, rimasta volontariamente sul volo per tutta la durata del dirottamento.
La lunga traversata aerea viene seguita ansiosamente anche dal nostro paese e Minichiello, che tenta la fuga una volta a Roma con la macchina della polizia viene fermato e arrestato.
Sconterà “magicamente” solo un anno e mezzo di carcere, a causa del malfunzionamento della giustizia – una vecchia storia nostrana – e grazie al suo avvocato, particolarmente scaltro.
Viene poi accolto dai suoi connazionali quasi come fosse un eroe, gode di popolarità mediatica, e non sembra conservare addosso la benché minima traccia del reato commesso.
E le sue traversie sembrano non finire: uscito di carcere giovanissimo, cerca di rifarsi una vita normale tra la famiglia, i figli e il lavoro (apre una pompa di benzina a Roma, vicino al bar della prima moglie). Tra la popolarità acquisita a livello internazionale e le vicissitudini personale, la vita di Minichiello sembra contenere più vite assieme, tutte molto intense.
Sfortunato, da un punto di vista sentimentale perché la prima moglie muore di parto e la seconda per un cancro allo stomaco, non sembra perdersi mai d’animo e si avvicina alla spiritualità, dopo essere tornato a vivere, dopo soli 9 anni, negli Stati Uniti.

Un personaggio interessante e poco chiaro, con misteri che lo riguardano ancora oscuri (e che comunque alla fine del film sembrano diventare abbastanza palesi), ma capace di trasmettere, nello stesso tempo, una sensazione di profonda tranquillità e di candore intatto.
Il ritratto sfaccettato di quest’uomo ci viene raccontato dai membri dell’ equipaggio, dai passeggeri, da un eccellente materiale di repertorio che spazia nel tempo, e dalla voce del figlio, primo testimone dei suoi tanti cambiamenti, delle sue mille cadute e della sua capacità incredibile di reinventarsi. Un uomo misterioso, avvolto ancora oggi da una certa dose di fascino e di carisma. Nonostante tutto.
Alex Infascelli ricostruisce con efficacia i frammenti di vita di questo personaggio insolito e bizzarro in un docufilm appassionante, ben scritto e montato.
Resta la domanda: cosa lo ha spinto a dirottare quel volo, in una sera come tante dell’autunno del 69? La risposta è, forse, più semplice di quanto non sembri.

Passato in anteprima alla Festa di Roma (Special Screening)
In sala il 27-28 febbraio e il 1 marzo


Kill me of you can –  Regia: Alex Infascelli; sceneggiatura: Alex Infascelli, Vincenzo Scuccimarra; fotografia: Enrico Parenti; montaggio: Alex Infascelli; produzione: Fremantle Italia con Rai Cinema, con la collaborazione di The Apartment; origine: Italia, 2022; durata: 90′; distribuzione: Wanted Cinema.

 

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