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Voto
Come si è anticipato, la serie narra la storia di Modesta, nata nel 1900 in una Sicilia aspra e spietata; arcaica e retriva, come era pure nel XVIII secolo raccontato da un’altra scrittrice contemporanea, Dacia Maraini, in Marianna Ucria, da cui Roberto Faenza trasse l’omonimo film. Qui come lì si staglia la figura fiera di una donna che trae la forza del proprio riscatto, prima umano e poi sociale, dopo aver subito il più orribile degli abusi sessuali, quello incestuoso.
Così ci appare al principio della saga: rinvenuta esanime dopo la violenza carnale; lacera e scalza, sordida e lercia come Il ragazzo selvaggio di Truffaut; abusata da un maschio aguzzino che forse uccide sua mamma e sorella perché “non si stavano mai mute” (torna in mente il suocero di Giorgio Colangeli di C’è ancora domani, che rimproverava la nuora di “parlare troppo”). Dopo quel delitto esecrando, saranno ancora altri crimini orrendi, indicibili, irriferibili persino, non solo per ragioni di spoiler.
Quindi le tappe di questa via crucis di resurrezione, dalle stalle sulla Chiana del Bove, alle pendici dell’Etna; alle stelle dei palazzi nobiliari, ricreati nei gioielli architettonici del capoluogo etneo: la serie è stata girata tra la Cattedrale e Porta Uzeda; e ancora in piazza Asmundo, via San Benedetto, via Crociferi, sulla scalinata Alessi, in piazza Dante e a Palazzo San Giuliano di piazza Università.
Adottata da un convento popolato soltanto di novizie provenienti dalle famiglie della migliore nobiltà siciliana, Modesta viene accolta sotto l’egida amorevole (e qualcosa di più) di Madre Leonora, interpretata da Jasmine Trinca. Dalla lettura di Sant’Agostino, la giovane apprende che il desiderio – la vita come lo chiama lei – è “peccato, male, inferno”. Ma lei, come l’Ewan McGregor di Trainspotting, sceglie la vita. Perché, ora è chiaro – ricordate il “tipico” lukàsiano? – in queste narrazioni dei nostri anni ’20, la donna negletta e vessata più non cede, mai prona. Come l’eroina di Cortellesi, Modesta si alza fiera e reagisce, punisce i suoi carnefici, in una morale vindice da Antico Testamento. Reagisce però – e qui sta lo scarto scandaloso della storia di Sapienza, che le ha a lungo precluso le vie editoriali – anche alla tradizione della decenza. All’esempio tragico di Sant’Agata (la santa patrona di Catania), modello virtuoso di castità e temperanza fino al sacrificio della vita, Modesta – affamata di appetiti elementari sin da giovane, anzi giovanissima età – opporrà l’arte della gioia, per l’appunto.
Trasferita presso il palazzo nobiliare di una famiglia blasonata, l’eroina di Sapienza e Golino (interpretata con trasognata intensità da Tecla Insolia, nata a Varese da genitori siracusani e vista nei panni di Nada ne La bambina che non voleva cantare) conoscerà ancora le gioie dell’amore saffico e l’orrore di una fantomatica “la cosa”, che non ha nulla a che vedere col film di Nanni Moretti sulla fine del Pci … Si tratta invece di un mistero poco buffo che sarebbe crudele svelare; un tipico cliffhanger che ci proietta verso gli ultimi tre episodi, che già si preannunciano pregni di capitoli torridi e forse persino torbidi (e che recensiremo la prossima settimana).
Per ora va detto che la serie è – come si sarà intuito – piena zeppa di aspetti interessanti, che rendono impossibile sottrarsi alla curiosità di quel che segue; sebbene col passare degli episodi si ha come l’impressione che la narrazione proceda talvolta con qualche stanchezza di troppo e con una spiacevole mancanza di ritmo. Come se gli autori, tutti di primissimo rango (Luca Infascelli, Francesca Marciano, Valia Santella, Stefano Sardo, insieme alla stessa Golino) non siano stati sempre capaci di imbrigliare una materia letteraria, sfuggente e magmatica per definizione, come è quella del libro d’origine, donandole il piglio e il nerbo necessari.
Menzione speciale per Valeria Bruni Tedeschi, che ormai sembra recitare con un tasso di veridicità persino imbarazzante. Interpreta una nobildonna piemontese di origine francese, che ama il bello e odia il brutto, compreso il nome della nostra eroina (“Modesta? Che aggettivo deprimente!”). Insomma un personaggio modellato a sua misura – si direbbe – che con la sua alterigia, le sue idiosincrasie, la sua stizza, un certo dispotismo aristocratico e molta isterica joie de vivre, aggiunge vigore al racconto nell’attimo esatto in cui questo sembrava star sul punto di perderlo.
Vedremo il seguito (con una certa impazienza) …
In sala dal 30 maggio (1 parte)
L’arte della gioia – Regia: Valeria Golino, Nicolangelo Gelormini; soggetto: dal libro omonimo di Goliarda Sapienza; sceneggiatura: Valeria Golino, Luca Infascelli, Francesca Marciano, Valia Santella, Stefano Sardo; fotografia: Fabio Cianchetti; montaggio: Giogiò Franchini; musica: Tóti Guðnason; interpreti: Tecla Insolia, Jasmine Trinca, Valeria Bruni Tedeschi, Guido Caprino, Alma Noce, Giovanni Bagnasco, Giuseppe Spata; produzione: Sky Studios e Viola Prestieri per HT Film; origine: Italia, 2023; durata: 6 episodi da 60’ circa; distribuzione cinema: Vision Distribution.
