L’invenzione della neve di Vittorio Moroni

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Come un corpo a corpo che si materializza dalla linea fluida e metamorfica di un’immaginazione animata, L’invenzione della neve, l’ultimo film di Vittorio Moroni presentato in anteprima nella Notti Veneziane delle “Giornate degli Autori” e adesso in sala dal 14 settembre, prende forma sotto i nostri occhi in un ostico, intimo, accavallarsi di parole e movimenti: c’è Carmen, una donna bruna e profonda come la sirena di un qualche abissale sud del mondo, che sta guidando per andare a festeggiare il compleanno della figlioletta nella casa al mare.

Ma l’idillio favolistico e giocoso che vive nella sua testa e nelle sue parole pone da subito uno scarto, una differenza, una linea di demarcazione rispetto a quello che andremo a vedere ed ad ascoltare; Massimo ,il padre della bambina, non la sta aspettando e tra di loro non può esserci che un rancoroso, isterico scontro attraversato da una vibrante e livida pulsione di desiderio, un rincorrersi, urlarsi contro e afferrarsi per gli spazi di un luogo estraniato dalla sua essenza vacanziera  e tramutato nell’arena minimalista di una strinberghiana danza di morte,  ballata sul ritmo sincopato e sbalestrato di una rabbia che non è più giovane, ma è ancora divorante.
Tutte le responsabilità inizialmente sembrano sbilanciate sulla personalità eccessiva e istrionica di Carmen e il suo essere borderline, letteralmente ai margini, si imprime con un’ impositiva, recriminante e ricattatoria centralità, il peso specifico sotto cui si è sgretolato quel basico nucleo di fragili legami .

Pur nella sua struttura apparente di Kammerspiel frammentato tra i set di una manciata di assalti e allontanamenti di una disperatissima vitalità , tra cui un tesissimo confronto in crescendo tra Carmen e Mara, la nuova compagna di Massimo, nel negozio di animali della famiglia di lui, che si fa scenario metaforico del labile confine tra cura e oppressione, protezione e distruzione, la scrittura filmica di Moroni si apre audacemente alla dimensione fantastica e a quella della realtà ( di quest’ ultima peraltro si percepisce forte l’attaccamento ad un’ autenticità da presa diretta maturato dalla sua esperienza di documentarista).

Sembra che l’autore possa finalmente dichiarare ad alta voce di essere giunto a una corposa e compiuta espressione dei protomi di una poetica già contenuta nel suo esordio Tu devi essere il lupo (2005); in quel caso il fuoco centrale era riversato sulla figura di un padre in bilico tra una condizione monogenitoriale esclusiva ed escludente e l’apertura ad un ritorno e a una condivisione attesa e inaspettata .
In qualche modo L’ invenzione della neve potrebbe esserne anzi non tanto una rivisitazione quanto un vero e proprio controcampo/canto, il posizionamento immersivo dall’altra parte dello sguardo, dentro l’apertura lasciata intravedere dal personaggio interpretato da Valentina Carnelutti ( ancora una madre alle prese con la propria irrisolutezza e irriducibilità esistenziale): una maniera d’amare che non ha ancora trovato la misura tra lo stare troppo distante e lo stare troppo vicino e che Moroni declina in una doppia chiave e in un relativo doppio accesso.

C’è il campo largo delle relazioni familiari e istituzionali (la presenza castrante e oppressiva della madre di Massimo, la comprensione e la pietas dell’assistente sociale che si fanno ambiguamente reticenza e collusione; la sorella di Carmen, troppo passiva e remissiva per capirne e sostenerne la diversità) dentro il quale la ribellione sempre più regressiva della protagonista trova la sua deflagrazione (e in parte la sua origine); e c’è inoltre il campo ancora più largo dell’immaginario che è punto di fuga, digressione, trasfigurazione e distorsione fluida di un reale con cui non è più possibile rimanere in contatto neanche attraverso la concretezza della materia (in Tu devi essere il lupo c’erano i burattini manovrati e sonorizzati dalla suggestiva fiaba recitata in portoghese dalla Carnelutti).
La rappresentazione grafica(le animazioni sono curate da Gianluigi Toccafondo) del viscerale, uterino microcosmo di Carmen, che un segno può cambiare in un fondale di mostruosità o in un lampo di meraviglia , è uno sbalzo psicotico non compiaciuto o lirico, ma la messa in abisso, in ogni senso e di tutti i sensi, di una ferita narcisistica così dolorosa da produrre , come una partenogenesi che include la propria autodistruzione, la proliferazione di amarezze e solitudini senza fine.

Le porte e le finestre, sia che vengano aperte come sussulti di un respiro più ampio o rimangano chiuse e sbarrate nel nome di un’impotenza e di una negazione, sono i confini di un entrare fuori e uscire dentro, per parafrasare un concetto fondamentale della rivoluzione psichiatrica operata da Franco Basaglia, che Moroni trasporta cinematograficamente sul piano dell’attenzione all’ambivalente dettaglio polanskiano e simbolicamente in un alternarsi di passaggi di ragione e sentimento, nevrotico controllo e dionisiaco abbandono.

In Una moglie di John Cassavetes, Gena Rowlands/Mabel Longhetti (della quale Carmen potrebbe essere una sorta di lontana figlia oscura) donna plagiata da un contesto domestico e sociale che ne imprigionava la creativa energia vitale nello stigma punitivo di una follia disfunzionale, sembrava alla fine trovare l’equilibrio precario sul filo di un rasoio che lasciava aperto uno squarcio tra la prigione dello stato patologico e la possibilità dell’incontro relazionale.
E Vittorio Moroni, anche grazie alla recitazione senza rete della potente e mercuriale Elena Gigliotti in un personaggio femminile finalmente assoluto e vorace rispetto alla limitatezza e alla miseria del cinema italiano da questo punto di vista, spinge la sua vena cassavetiesana, fino alla sanguigna, intensa compresenza di testo e spontaneità, happening e messa in scena.
L’invenzione della neve è in fondo come la pioggia non prevista che appare quando Mabel torna a casa dopo il manicomio. Un’ evocazione nella mente di Carmen, nel suo astratto colloquio con la figlia ( o forse soliloquio tra sé e se in quanto madre di se stessa).

Qualcosa di scritto e di immaginato, di tangibile ed evanescente che assomiglia talvolta alla poesia e alla libertà.

In sala il 14 settembre e in aggiornamento al sito https://iwonderpictures.it/linvenzionedellaneve/


L’invenzione della neve – Regia: Vittorio Moroni; sceneggiatura: Vittorio Moroni, Igor Brunello, Luca De Bei; fotografia: Massimo Schiavon, Andrea Caccia; montaggio: Mattia Soranzo; musica: Mario Mariani; interpreti: Elena Gigliotti, Alessandro Averone, Anna Ferruzzo, Anna Bellato, Eleonora De Luca, Carola Stagnaro; produzione: 50notturno: origine: Italia, 2023; durata: 117’; distribuzione: I Wonder pictures.

1 thought on “ L’invenzione della neve di Vittorio Moroni

  1. Ho amato L’invenzione d3lla neve
    L’ho trovato originale e doloroso
    Un forte tratto realistico che nn risparmia lo spettatore che è si angoscia a causa dei reiterati errori della protagonista Carnen che purtroppo, ha perso prima la mamma e ora la figlia Giada.iIo credo ch3 nn si dovrebbe MSI o quasi mai togliere un figlio alla propria madre!ho sesto i quadri e i disegni vivaci e simbolici. Grazie alla bravissima protagonista e al regista

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