Los Colonos di Felipe Gálvez Haberle

  • Voto

Tierra del Fuego, Cile, 1901

Qui un uomo senza braccio significa un uomo in meno, comprendi?

Così viene detto prima che un proiettile entri nella testa del ferito. Chi spara è stato un soldato della regina, grado tenente, ora vile mercenario a spasso nella Terra del fuoco con l’obbiettivo di delimitare i territori di confine tra Argentina e Cile. Quando gli chiedono chi sia, la sua risposta è sempre la stessa:

Mi chiamo Alexander McLennan, lavoro per José Menéndez.

Il nuovo ordine è quello di liberare la via che porta al mare, dimodoché le pecore abbiano strada facile. Per farlo McLennan si accompagna a un mercenario americano, Bill, e a un meticcio, Segundo, dalla mira infallibile. Con questa armata dovrà far fronte a qualsiasi nemico, anche a coloro che avversi non sono, come la popolazione nativa degli Ona che ha fatto l’unico errore di nascere in quelle terre. Che alla fin fine si parli  di pecore al pascolo non semplifica la questione poiché

Le tue pecore sono, dicono, così voraci e selvagge che divorano anche gli uomini stessi.

Los Colonos è la prima regia di Felipe Gálvez Haberle, vincitrice a Cannes 76 del premio FIPRESCI e in concorso nella categoria Un Certain Regard e Caméra d’Or. Ed è un’opera prima che è un gioiello di scenografia, fotografia e regia. Basti dire che la grana della pellicola è talmente sporca da risultare di una bellezza primitiva. Haberle coglie quella che è l’anima del Western, cioè l’ampiezza di respiro che rende piccolo piccolo e disperato l’uomo in cammino nel nulla, e la mette sotto indagine in modo serrato, senza arretrare di un passo. I fucili sparano, le valli si spalancano, i cavalli nitriscono e noi percepiamo distintamente il gelo dell’acqua e il caldo del fuoco di quelle terre splendide, ma l’epica che vi è in tutto ciò è sezionata: non si sta parlando di uomini che diventano grandi, si sta parlando di uomini che uccidono e che devono essere ricondotti a giudizio per le loro azioni. Siamo quindi in una revisione del Western fatta tuttavia con le armi del Western medesimo. Il genere, insomma, guarda dentro di sé.

Abbiamo ucciso molti selvaggi, e continueremo se necessario.

Al centro della pellicola lo sterminio dei Selknam, popolo nativo di quelle terre. Il film non cade nella trappola dello splatter o della violenza sprecata a piene mani, bensì s’impegna a raccontare in tono epico, e al contempo disperato, l’omicidio di massa. Gli occhi non sono quelli di McLennan – bel personaggio oltre tutto, anche oltre se stesso, alla deriva completa – ma di Segundo, meticcio che osserva la morte dei suoi simili e comunque non fa nulla per fermarlo perché scisso nella testa come nel sangue. È nei primi piani sul suo volto che si legge questa lotta interiore infinita, anche lui persona piombata in questo mondo come gli altri, ma con la sfortuna di avere la pelle colorata. Certo gli va meglio degli altri, i puri di sangue indiano, perché la morte ha un prezzo e in questo caso

Una sterlina per un orecchio, due sterline per un utero di donna.

Los Colonos è una pellicola che ha il respiro di un altro tempo, per la serietà e la raffinatezza del prodotto. Da vedere in silenzio, sgranando gli occhi per la qualità del lavoro, lontana dall’ artefatto che era un lavoro come The Revenant di Iñárritu. Pigliando a piene mani dal genere e da chi quel genere lo ha rivoluzionato in toto – Sergio Leone –, si prende la disperazione e il silenzio dei personaggi ben delineati, i dialoghi lapidari, i titoloni a presentare personaggi e situazione, si muta però la colonna vertebrale e la parte terminale: cavalcate, assalti, spari, duelli e trielli lasciano spazio a un’indagine precisa e tagliente sui fatti storici avvenuti.

La resa dei conti non è scoprire chi avrà l’oro o chi sopravvivrà, bensì comprendere di chi siano le colpe, anzi, se vi sia una colpa da ritenere tale perché alla fine uno sterminio tira l’altro e finisce per inflazionarli tutti. Perciò, che tremila indiani siano stati uccisi forse poco importa. Ciò che importa è che la nazione Cile sia nata e cresciuta, su corpi privati di orecchie e uteri alla modica cifra di una sterlina.

P.S.: l’ultima scena sola merita il tempo della visione.

 

In sala dal 7 marzo e in streaming su MUBI dal 29 marzo.


The Settlersregia: Felipe Gálvez Haberle; sceneggiatura: Felipe Gálvez Haberle, Antonia Girardi, Mariano Llinás; fotografia: Simone D’Arcangelo; montaggio: Matthieu Taponier; musica: Harry Allouche; interpreti: Camilo Arancibia, Mark Stanley, Benjamin Westfall, Alfredo Castro, Marcelo Alonso, Sam Spruell, Mishell Guaña, Adriana Stuven; produzione: Quijote Films, Rei Cine, Quiddity Films, Volos Films, Cine Sud Promotion, Snowglobe, Film I Väst, Finite Films, Sutor Kolonko; origine: Cile/Argentina/Regno Unito/Taiwan/Germania/Svezia/Francia/ Danimarca, 2023; durata: 97’; distribuzione: Lucky Red (Cinema), MUBI (streaming).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *