Memory Box di Joana Hadjithomas e di Khalil Joreige è un perfetto film per la Berlinale che certamente desterà l’attenzione della Giuria: film interculturale, film al femminile, film politico, film di memoria, film molto avanzato sul piano formale. A voler spaccare il capello in quattro è un film un po’ didascalico, un po’ scolastico, ma la ricchezza formale finisce per stemperare queste caratteristiche. I due cineasti sono di origine libanese, entrambi nati nel 1969, con alle spalle una produzione molto varia, essendosi cimentati in diverse forme d’arte. E del gravoso passato del Libano, soprattutto della guerra civile degli anni ’80, parlano molte delle loro opere, fra cui questa.
Siamo in Canada, alla Vigilia di Natale, figlia adolescente (Alex), madre (Maia) e nonna (Teta) si accingono a festeggiare insieme, la nonna prepara i köfte e insegna alla nipote come fare, la mamma nel frattempo ritarda perché sta facendo l’amore con un uomo, nessuno, né madre né figlia, sanno nulla di questa relazione. Quand’ecco la sorpresa: facendosi largo fra le distese di neve (il blizzard ci è andato giù pesante a quelle latitudini), un postino recapita uno scatolone. La nonna sente subito puzzo di bruciato scorgendo il mittente, il pacco viene dal Libano. Non vorrebbe nemmeno accettarlo ma la nipote insiste, è curiosa perché intuisce vagamente che grazie a quel pacco forse potrà capire qualcosa della madre fin qui così sfuggente, così silenziosa, così poco complice soprattutto in relazione al proprio passato. Quando torna a casa la madre, si capisce che il pacco rischia di diventare un autentico vaso di Pandora, neanche lei vuole saperne, ma la figlia invece sì, complice anche gli “arresti domiciliari” forzati causa neve. E in effetti da quello scatolone salta fuori una messe incredibile di materiale: diari, fotografie, disegni, documenti capaci di raccontare l’adolescenza inquieta di Liza. All’insaputa della madre che all’inizio almeno non approva, Alex si appropria del materiale e, diciamo così, lo vivifica con la sua immaginazione e soprattutto con la sua estetica da smartphone, da social media, creando per esempio dei video dalla giunzione delle foto che trova e ricostruendo per congetture neanche troppo complesse la vita della madre: innamorata perdutamente di Raja che però si arruola e viene perso di vista, amica per la pelle di Liza, a cui Maia aveva affidato quel materiale prima di lasciare il Libano (ma siccome adesso Liza è morta ecco che tutta quella roba è tornata indietro, anzi amici di Liza le chiedono se non abbia voglia di tornare a Beirut per una cerimonia in onore dell’amica), distrutta da una famiglia andata a pezzi per via della guerra civile. Si può capire, forse, come mai Maia abbia deciso di non occuparsi più del passato. Ma la rimozione, almeno da Freud in avanti lo sappiamo, non è mai una buona scelta, non paga. E Maia è sufficientemente intelligente da cogliere questa (ultima) opportunità per parlare alla figlia di quel che è stato trasformando dunque la congettura in racconto filato, potremmo dire analogico (laddove la figlia evidentemente pensa e immagina digitale) e infine portandola con sé a Beirut dove alla devastazione di 35 anni prima ha fatto seguito una ricostruzione selvaggia ma gioiosa. Come sarà gioioso tutto il nostos: rivedere gli amici di una volta e ballare, rivedere Raja che, va detto si è assai ben conservato, rivedere la Corniche, vedere/rivedere (anche su mandato di nonna Teta) il sole di Beirut, a cui sono dedicate le ultime immagini in cui torna ad avere il sopravvento l’estetica di Alex, visto che sono riprese da lei e sono tutte in time lapse. Il vaso di Pandora è diventato una cornucopia perché l’elaborazione del ricordo, anche traumatico, è sempre da preferirsi alla rimozione.
(Memory Box); Regia: Joana Hadjithomas, Khalil Joreige; sceneggiatura:Gaëlle Macé, Joana Hadjithomas, Khalil Joreige; fotografia: Josée Deshaies; montaggio:Tina Baz; interpreti: Rimi Turki (Maia adulta), Manal Issa (Maia da giovane), Paloma Vauthier (Alex), Clémence Sabbagh (Téta), Hassan Akil (Raja); produzione:Haut et Court, Parigi, About Productions, Beirut, micro_scope, Montreal, About Productions, Doha, origine: Francia, Libano, Canada, Qatar, 2021; durata: 100’.